Di Giancarlo Mei
In modo molto curioso il suo nome viene da sempre escluso dalla maggior
parte dei manuali di ricapitolazione dei vari generi musicali, siano essi
attente guide al rock, alla fusion, alla new age, alla dance o al jazz.
Probabilmente questa è la spiegazione di tanto scempio: la musica
di Gino Vannelli non è mai stata facilmente collocabile, a meno
di non prendere tutte quelle definizioni "di comodo", e farne un ipervitaminico
frullato sonoro, una mistura che ricordi a chi le si avvicina la possibilità
che ognuna delle varie sfumature possa emergere sull'altra senza troppa
difficoltà, a seconda delle specifiche ambizioni o necessità
dell'autore in quel determinato momento. C'è però un'altro
modo per tagliare la testa al toro, e focalizzare meglio questo quarantatreenne
di Montreal: semplicemente quello di parlarne come di un cantante, indubbiamente
tra i più bravi, sottili e dotati dei molti che si sono cimentati
nell'arte antica di esprimersi con microfono e corde vocali dai Settanta
ad oggi. Nella sua lunga carriera, iniziata a circa sedici anni in Canada
(e poi spostatasi nell'allora più stimolante California) Vannelli
ha pubblicato solo dodici album, pochi se vogliamo; un numero che fa subito
riflettere sulle sue specifiche caratteristiche di artista esigente, attento
ai minimi particolari e soprattutto indipendente dalle pressanti logiche
commerciali richieste dalle case discografiche. Lo incontriamo a Roma,
dove è giunto per il suo nuovo tour mondiale, e gli chiediamo ovviamente
qualcosa del suo nuovo album, probabilmente il progetto più jazzistico
ed intimo finora da lui realizzato. "Per fare Yonder Tree" ci dice Vannelli
con voce gentile e pacata dinanzi ad una ricca colazione, "ho dovuto costruire
uno studio fatto appositamente per l'album. Si tratta di una sala pensata
proprio per suoni acustici. Quello che ho imparato con questo disco è
stato appunto il fatto di riscoprire strumenti come il pianoforte, il contrabbasso,
il vibrafono. Ora il mio interesse è in questa direzione. Per la
composizione avevo un sacco di materiale, ma c'è voluto parecchio
tempo per limarlo e lavorarlo. Poi abbiamo scelto attentamente la band,
ed infine lo abbiamo suonato. Praticamente sono stato sul disco per un
paio d'anni di lavoro." A Montreal quest'anno Vannelli ha aperto l'annuale
ed importantissimo jazz festival. "Oh sì, è vero; è
stato molto divertente, perché alcune persone erano lì un
po' dubbiose e mi dicevano: "Sei un po' cambiato. Anzi, sei proprio cambiato!
Perché lo hai fatto?". L'italocanadese sorride, e poi prosegue "A
me sembra ovvio, sono passati vent'anni, e mi ero stufato di cantare sempre
"I Just Wanna Stop" nel solito modo: "Rrring....For Your Loooovee..." (e
ridacchiando accenna una irresistibile autoparodia, ndr). Così partendo
da quel concetto abbiamo fatto nuovi arrangiamenti anche per le altre canzoni
da eseguire in concerto. E del nuovo progetto discografico, gli chiediamo,
è completamente soddisfatto? "No, qualcosa si poteva fare meglio;
anche se certe cose le ritengo davvero riuscite, per esempio il brano "Walter
Whitman Where Are You". Ad ogni modo un senso di insoddisfazione penso
sia costruttivo per un artista, perché lo spinge a fare meglio nel
progetto immediatamente successivo." Qualcos'altro sta bollendo già
in pentola? “Sì, il prossimo album sarà qualcosa di jazzato,
sai, amonicamente complesso, con movimenti pianistici alla Bill Evans.
Sotto però vorrei mantenere molto funk alla Tower of Power.
Avrò Dave Garibaldi alla batteria ed ho già in mente
grandi melodie con parecchi cambi armonici. Penso però che qualche
canzone sarà un pochettino più commerciale di Yonder Tree,
visto che questo non lo è poi tanto”. Sorride e poi aggiunge ancora
"Il disco sta vendendo molto bene, almeno per essere una cosa un po' underground".
Ma da dove vengono tutti questi stimoli e le idee compositive che da sempre
accompagnano la sua scrittura, quelle che lo hanno spinto a creare un "suo"
suono fin dai lontani tempi del esordio con "Crazy Life"? "Da giovanissimo
ho ascoltato un sacco di musica classica. Autori e compositori come Verdi,
Puccini, Ravel e Debussy; e poi tutti i romantici con quei bellissimi
fiumi melodici. Quella è stata una grande influenza su tutto ciò
che ho fatto. Lì ho preso il giusto per accordi che cambiano, e
melodie che vanno continuamente in posti diversi, che non si ripetono mai.
Non dico questo per vanità, ma sinceramente non mi aspetto che la
gente capisca davvero fino in fondo cosa sia questo album." Ed il jazz
che peso ha avuto nella sua formazione? "Moltissimo, mio fratello era un
appassionato e poi devi sapere che mio padre era un cantante blues e jazz.
Arrivò molto vicino a registrare un album, ma sfortunatamente non
ci riuscì. Io ho un incredibile rispetto per i cantanti jazz". E
del Sinatra dei tempi d'oro cosa ne pensa Vannelli? "Penso che ai
ragazzi di venti o venticinque anni oggi Sinatra non faccia più
molta impressione, perché la sua energia non è più
la stessa. Ma se solo potessero sapere, se solo andassero ad ascoltare
le sue cose più vecchie, magari del periodo Capitol... Ma anche
September Of My Years rimane uno dei migliori album di ogni tempo. Io personalmente
impazzii quando sentii quella roba per la prima volta. Gli arrangiamenti,
i suoni, come tutto veniva arrangiato...incredibile. Uno degli ultimi grandi
album che riuscì a registrare fu quello con Antonio Carlos Jobim
(Francis Albert Sinatra And Antonio Carlos Jobim, Reprise 1968,
ndr). Smisi di seguire Sinatra con molta attenzione con i primi anni Settanta,
perché fu così duro per me scoprire che gli altri album che
seguirono non riuscirono più ad essere a quell'altezza." Quando
abbiamo nominato Sinatra gli occhietti furbi di Vannelli hanno cominciato
a brillare lasciando trasparire tutta la stima e la passione che un cantante
come lui può avere per chi forse rimane il più importante
vocalist del nostro secolo. "Ho sempre voluto incontrare Frank Sinatra",
aggiunge quasi con rammarico "ma non ci sono ancora riuscito". E Vannelli
invece, come cantante, sta ancora studiando? "Sì, anche se è
molto, molto duro. So di avere lo sturumento adatto, ma ogni devo lavorare
ogni giorno, come se la mia voce fosse un muscolo. È difficile controllare
le note per renderle levigate, distese. La maggior parte dei cantanti non
lo fa, ma a me piace perché era lo stile di Sinatra. Ascoltare uno
come lui quando sei giovane ti conquista. Io comunque non mi ritengo ancora
perfetto. Vorrei fare meglio, ma purtroppo quando sei attivo su troppe
cose contemporaneamente non hai molto tempo a disposizione. Lavoro alle
mie partiture per piano come compositore, autore delle liriche e
produttore; il tempo mi vola via. Come cantante ora ho quarantatre
anni; sto arrrivando ad una situazione nella quale potrei essere al mio
meglio, perché la mia voce è più profonda di quanto
non fosse, pur mantenendo la stessa estensione in alto. Questo album comunque
è stato molto impegantivo per me, perché a volte non c'é
molto altro attorno alla voce, come in "Walter Whitman", è così
è diverso da cose come "Black Cars”. Dunque torniamo a parlare del
senso del disco: "Nei circoli più spirituali, l'albero è
sempre associato all'idea stessa della vita, come ad esempio nella cabala
ebraica. Così "Yonder Tree" vorrebbe rappresentare tutto ciò
che vorresti ed in qualche modo ti è lontano, quel qualcosa
che continui a guardare, a cercare e che ti spinge a fare meglio, è
un disco sulla vita e sulla gioia di vivere. Cosa, tra l'altro, che ho
cercato di rappresentare nell'inserto di tap dancing contenuto in "Fallen
in Love". Ho sempre pensato che ballare il tip-tap fosse la cosa più
gioiosa che un essere umano possa fare..." Gioioso e comunicativo, ecco
il Vannelli moderno, senza più quell'alone di malinconia che venne
fuori ai tempi dello spiacevole contrattempo del mai pubblicato Twisted
Hearts, un disco completo nel 1982, del quale riuscì ad arrivare
nelle charts solo il dinamico singolo a quarantacinque giri "The Longer
You Wait" "L'album era totalmente finito, ma alla compagnia (la Arista,
ndr) non piacque. Non tanto le canzoni, ma quel tipo di approccio. Volevano
qualcosa sul tipo "blue eyed soul" e non quel sound più energico,
quasi fosse una sorta di rock. Volevano che facessi roba sul genere degli
Air Supply, ed io non potevo e non volevo farlo. Ebbi degli scontri
terribili con la Arista, ma purtroppo persi. Non riuscii più a registrare
nei tre anni succesivi. L'album era tutto suonato nel mood di "The Longer
You Wait". Era molto semplice, basso batteria e chitarra". E che fine hanno
fatto i master del disco? Con l'attuale febbre per le rare tracks che anima
gli appassionati dell'acid jazz, se pubblicato oggi quel disco avrebbe
certo un mercato pronto a riceverlo... "I masters sono di mia proprietà.
Uhm”, aggiunge bevendo una tazza di cappucino, “interessante quello che
dici; penso che anrdò a risentirmi quel materiale, e magari penserò
meglio a questa eventualità”. Parlando con lui emerge nitida l'immagine
di un artista onesto, sincero, che non disdegna di citare anche i colleghi
che stima di più. "Ho amato il lavoro precedente di k.d. Lang (Ingenue,
ndr) era country ma molto intimo, molto bello. Comunque ascolto di tutto,
anche perché come produttore sono sempre interessatissimo ai nuovi
suoni. Nell'86 ho conosciuto Sting, un ragazzo molto umile, gioioso
del quale apprezzo buona parte delle sue cose; è davvero uno dei
migliori artisti in circolazione”."E Donald Fagen? "Oh lui è
bravo, straordinario e molto, molto intelligente. Scrive sempre pezzi con
splendidi accordi e liriche bellissime. Penso che lui possa essere davvero
il più importante composiore dei nostri tempi. Don è in tutti
sensi la vetta della pop music. Sai, più volte ci siamo fatti rispettivamente
degli inviti ai nostri concerti, anche se in realtà non ci siamo
mai davvero conosciuti”."Tutto ad un tratto e senza troppi preliminari
Vannelli ci rivela una primizia davvero imprevedibile. "Ho appena fatto
un duetto con un artista italiano, Gianni Bella. Il disco verrà
fuori verso la fine dell'anno prodotto da mio fratello Joe. È roba
commerciale ma molto buona; secondo me lui scrive e canta molto bene. Nei
suoi pezzi ho trovato delle buone aperture e melodie molto carine. Pensa,
ho cantato il pezzo con lui in italiano...” E con gli occhi al cielo ed
una sorta di sorriso sul volto comincia a sussurrare nella nostra lingua
"Accendi la tua sigaretta, amore mio, sei la più bella donna...poi.."
dice esplodendo in una risata contagiosa "non me la ricordo più.
L'abbiamo fatta anche in spagnolo" Il check-sound del concerto incombe.
Gli chiediamo per chiudere quale sia stato il momento più emozionante
della sua carriera di performer? "Mah, pensandoci bene direi uno dei miei
primi concerti, quand'ero giovanissimo e capitò qualcuno con una
video camera. Finita la serata rividi le immagini e osservai i volti della
gente. Era tutta felicissima, ed era lì per me. In quel momento
capii di essere arrivato a qualcosa, sentii che potevo davvero farcela.
Devo ammettere però che ogni sera per me è una forte emozione.
Ogni sera è la stessa cosa; mi chiedo tutte le volte "ricorderò
tutte le parole?", riuscirò a dare il meglio, a cantare con la giusta
intonazione? Poi prendo fiato, vado sul palco e mi diverto".
Giancarlo Mei