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Articolo di Scorpiniti Margherita

Aree: Psicologia dell’Educazione- Psicologia Sociale

TITOLO: L’Inserimento scolastico degli alunni immigrati

Abstract
L’inserimento scolastico degli alunni stranieri nel Paese ospitante può presentare diversi ostacoli. Le difficoltà che dovrebbe affrontare un alunno immigrato durante la frequenza della nuova scuola, potrebbero essere relative alla socializzazione con i compagni di classe perché non comprende la nuova lingua e/o per fattori emotivi, o riguardanti il disagio legato alla percezione di una certa insofferenza altrui nei suoi riguardi. Tali difficoltà non gli consentirebbero un efficace e immediato inserimento nel gruppo dei pari. Probabilmente questa scuola possiede i mezzi per accoglierlo e riuscire a creare un’ efficace collaborazione con la sua famiglia al fine di consentirne un adeguato inserimento scolastico e contemporaneamente lo sviluppo della propria identità. Cosa viene fatto oggi per favorire l’integrazione dei bambini immigrati? Il nostro sistema scolastico non separa i bambini stranieri dal resto della classe, ma li integra con gli altri compagni italiani. Offre loro ore di insegnamento extra anche per potenziare la lingua italiana. Favorisce un costante dialogo tra i docenti e le famiglie immigrate. Se i compagni autoctoni potessero non ignorare le origini del loro coetaneo straniero forse la sua integrazione risulterebbe facilitata, perché questa conoscenza consentirebbe di suscitare in loro curiosità e rispetto verso usanze e costumi diversi. L’educazione interculturale è co-educazione, scambio di saperi, maturazione comune di esperienze e competenze dove le barriere dovrebbero mostrare la loro provvisorietà e inconsistenza. L’utilizzo dei principi dell’educazione interculturale, a partire dai primi ordini di scuola, può favorire una riduzione del pregiudizio sociale verso chi appartiene a una diversa etnia. La Scuola, aiutata dagli enti locali, possiede le risorse capaci di produrre una ristrutturazione percettiva dell’ intolleranza verso gli immigrati che ne impedisce l’integrazione sociale.

Introduzione
La presenza dei primi immigrati stranieri in Italia per motivi di lavoro risale agli anni ’60. Solo negli ultimi 30 anni si è registrata una notevole crescita del fenomeno migratorio sia in Italia che nel resto dei Paesi dell’Unione Europea. Oggi l’immigrazione sembra aver cambiato aspetto: da fenomeno a tempo determinato è diventato tendente all’insediamento visti i ricongiungimenti familiari e le nascite dei figli degli immigrati che hanno favorito questo cambiamento. Questo ultimo tipo di immigrazione ha permesso una forte crescita del numero dei figli immigrati nelle scuole italiane in modo particolare nei primi ordini di scuola.

Secondo il MIUR, la distribuzione geografica ha riguardato più le regioni del Centro-Nord che quelle del Sud, nelle quali, le nazionalità maggiormente diffuse sono quella albanese, marocchina ed ex jugoslava; in aumento sono anche gli studenti provenienti da Romania ed Equador. Questa nuova realtà multietnica e multiculturale pone delle difficoltà sia sul versante economico-sociale, sia su quello culturale. Qualsiasi progetto di integrazione comporta interventi in campo formativo, necessari per ricostruire le basi culturali che occorrono per una convivenza civile tra autoctoni e immigrati.

Contenuto
Lo stanziamento in un dato paese di un gran numero di immigrati stranieri, nel corso del tempo, e il loro inserimento nei diversi settori lavorativi, può generare nella popolazione autoctona segni di intolleranza. Un’ ottica sociale più ampia ci permette di scorgere che la diffidenza verso chi non si conosce è un aspetto dei processi di attribuzione sociale propri dell’uomo. Dal modo col quale gli uomini cercano di spiegarsi gli altri individui, il loro comportamento, le loro intenzioni, motivazioni, personalità si generano atteggiamenti, stereotipi e pregiudizi che hanno componenti cognitive, emozionali e comportamentali. Vari fattori spingono gli abitanti di un determinato paese ad allontanare e a giudicare con diffidenza i gruppi di immigrati stranieri:

- la mancanza di conoscenza;

- la convinzione che il gruppo a cui sentono di appartenere sia comunque migliore della maggior parte degli altri gruppi.

La diffidenza verso chi non si conosce, che secondo la psicologia sociale è un aspetto del tutto naturale riguarda anche i bambini.

Il pregiudizio nella prima infanzia, dovrebbe essere valutato considerando sia i fattori emotivi e affettivi che quelli cognitivi che partecipano alla nascita e alla riduzione di esso (Aboud, 1988). Alla luce dei problemi con i quali si scontrano tutti i giorni gli immigrati nel nostro paese, proviamo ad immaginare il vissuto di un bambino straniero che viene iscritto presso una scuola italiana, ipotizzando le difficoltà che dovrà affrontare prima di riuscire ad inserirsi nel gruppo dei suoi compagni di classe. Gli alunni del posto potrebbero non approvare l’inserimento (nel loro gruppo già formato) del nuovo compagno, a prescindere dal comportamento corretto o scorretto di quest’ultimo. Se questa fosse la loro scelta dimostrerebbero di essersi basati su una certa diffidenza verso il bambino che non conoscono ancora. La diffidenza a priori che manifestano verso il soggetto sconosciuto non è quindi legata a qualcosa di effettivamente riscontrabile in lui e si deve probabilmente ad una emulazione dell’atteggiamento dei loro adulti di riferimento, stando ad alcune teorie, mentre secondo altre non dipende da essa perché invece i bambini assorbirebbero positivamente dal loro contesto sociale l’atteggiamento etnico dominante, anche se i genitori hanno un ruolo decisivo nella sua definizione. Queste ultime teorie sarebbero spiegate con la diminuzione del pregiudizio con la crescita ( lo sviluppo cognitivo verso i sette anni d’età) e dall’assenza di correlazione tra il pregiudizio dei figli e quello dei genitori. Quei compagni che sono un pò ritrosi verso la possibilità di fare amicizia con i bambini stranieri, o li isolano a priori, escludendoli da subito dalle loro amicizie, oppure attuano comportamenti scorretti dimostrando insofferenza verso il loro disagio. Come abbiamo visto in precedenza, secondo un’ importante teoria della psicologia sociale, il comportamento dell’individuo influenza il comportamento degli altri e ne è influenzato. Percependo gli altri, l’uomo cerca di spiegarsi dal loro comportamento le loro intenzioni, personalità e dalle sue rappresentazioni del mondo si generano a volte pregiudizi e stereotipi. Il pregiudizio viene inteso come un giudizio dato prima di poter avere una conoscenza adeguata della questione (G. Allport). L’uomo pensa per categorie astraendo e generalizzando i concetti.

La generalizzazione però inizia a diventare un’operazione logica scorretta quando:

- la si inferisce da pochi casi conosciuti o conosciuti non direttamente;

- la si applica poi a ogni singolo caso di quella categoria.

Le categorie del pregiudizio sono gli stereotipi, cioè le caratteristiche rigide e irreversibili che, in base alla generalizzazione errata, vengono estese al gruppo e, all’interno di esso, a ogni singolo individuo. La motivazione del pregiudizio viene attribuita da molto teorici alla sfera-affettiva, a un contenuto di desiderio ( attrazione o repulsione verso un gruppo) che influenza il procedimento di pensiero. Sempre secondo quest’ultima teoria, l’ostilità per un gruppo diverso da quello con cui ci si identifica ha la funzione di rendere più coeso il gruppo del soggetto, parte cioè dal bisogno di proiettare all’esterno (nel gruppo estraneo) tutti gli aspetti negativi e aggressivi che si non vogliono riconoscere nel proprio gruppo, ecc. Allora, nel pregiudizio sociale verso gli immigrati l’ostilità viene diretta su di loro perché costituiscono un gruppo minoritario e quindi più debole, facilmente attaccabile. La formazione del pregiudizio in epoca infantile non si può impedire. Gli esseri umani sin dalla nascita devono fronteggiare al meglio molte situazioni diverse, per questo sviluppano precocemente la capacità di organizzare la realtà in categorie ( genere, età, razza, etnia, ecc.) mostrando sin da piccolissimi atteggiamenti pregiudiziali. Con la crescita, dopo gli otto anni d’età, le capacità cognitive progressivamente acquisite dal bambino e la strutturazione del mondo fisico e sociale con cui entra in contatto dovrebbero consentirgli di uscire dal pensare rigidamente per categorie fisse (raggruppando solo ciò che è simile e separando ciò che è diverso), sviluppandogli una maggiore flessibilità di pensiero. Con il principio di flessibilità il bambino inizia a percepire stimoli nuovi alla luce delle preesistenti categorie, considerando oltre alle somiglianze anche le differenze che questi possono presentare. Svilupperà la capacità di classificazione multipla che consiste nel dividere le persone in più categorie simultaneamente e in modo flessibile superando la sola capacità di raggruppare ciò che è simile e separare ciò che è diverso (riguardo le caratteristiche degli oggetti, delle persone, ecc.).

Tornando ad analizzare le difficoltà attraversate da un ipotetico alunno immigrato, non italiano, il fatto che le sue origini siano sconosciute provoca negli altri bambini autoctoni una naturale diffidenza (che dovrebbe sparire successivamente) che in qualche misura riceve probabilmente l’influenza dell’ atteggiamento etnico dominante nel loro contesto sociale La scuola può proporre metodi capaci di rieducarli affinché ristrutturino il loro modo di percepire e giudicare l’immigrato e possano riuscire a costruire insieme un percorso comune fatto di amicizia e collaborazione. Come può prospettarsi l’integrazione dell’alunno immigrato? L’alunno straniero che viene iscritto ad una classe per lo più composta da alunni di un’altra nazionalità , avrà un tipo di integrazione che sarà influenzata da questi principali fattori:

- l’età dei bambini e il loro sviluppo cognitivo;
- il grado di estroversione del nuovo compagno;
- il livello di impegno da parte della Scuola verso un’ educazione multiculturale;
- gli aspetti che lo accomunano o differenziano dai suoi compagni (interessi extra-scolastici: sport, giochi, letture, ecc.).

Possono essere diverse le risposte alla iscrizione presso la nuova scuola, che il bambino può
manifestare, evidenziando chiari segni di disagio, Può accadere che non accetti se stesso perché si sente rifiutato dai suoi nuovi compagni e si percepisca diverso, oppure che possa tendere verso l’isolamento anche in quei contesti nei quali invece venga ricercato. Se ha una personalità fragile, un comportamento suscettibile e introverso ed è palese il suo disagio, se dopo almeno un mese non avrà socializzato con nessuno dei pari è opportuno informare la famiglia della possibilità di ricorrere all’aiuto dello psicologo scolastico. In assenza di tali aspetti, il bambino dovrebbe invece rispondere adeguatamente alla nuova iscrizione, perché potrebbe essere ben motivato ad accettare questo cambiamento.

Conclusione
La presenza nel nostro Paese di persone provenienti dai paesi del Sud del mondo e dell’Est europeo
sta modificando gli aspetti culturali della nostra vita: nel mondo del lavoro, nella scuola, tra le pareti
domestiche e in altri settori. L’Italia è da diverso tempo una società multietnica e nella scuola si rileva ampiamente la presenza di iscritti di nazionalità diverse. Il nostro sistema scolastico, secondo un’ottica interculturale, fornisce alle nuove generazioni gli strumenti per combattere sul piano intellettuale, culturale, etico, religioso e psicologico, quegli stereotipi che sono causa di conflitto.
A prescindere dalla presenza fisica nelle scuole di alunni di provenienza diversa, si dovrebbe
infondere un’ educazione che sia all’altezza di una società complessa e mista come è la nostra, in
grado di consentire ai futuri cittadini di favorire l’inserimento delle minoranze senza diffidenze e
pregiudizi. Partendo dal presupposto che la conquista del sé non può prescindere dal confronto con gli altri, si può puntare l’azione didattica sui seguenti obiettivi:

- favorire le relazioni interpersonali basate sulla conoscenza reciproca;
- favorire lo scambio e l’interazione;
- recuperare i rapporti scuola-famiglia;
- utilizzare i percorsi ad esempio offerti dall’informatica per integrare i vari linguaggi: simbolico, iconico e sonoro;
- favorire le relazioni empatiche; promuovere un atteggiamento multietnico attraverso la
conoscenza di altre realtà sociali.

I contenuti che si possono utilizzare per il lavoro di gruppo dipenderanno anch’essi dalle scelte
degli insegnanti e da eventuali idee proposte dai bambini di quella data classe. Come si può attuare in una classe un progetto finalizzato ad avvicinare gli autoctoni alla conoscenza dei loro compagni immigrati? Si può organizzare ad esempio un circle-time sulle difficoltà relazionali che avranno reso poco serena la vita in classe e che si ripercuotono nei rapporti scuola-famiglia;

- si può proseguire chiedendo agli alunni di individuare le circostanze in cui si verificano le
condotte aggressive e di analizzare le motivazioni che associano a tali comportamenti (difficoltà di comunicazione, isolamento, intolleranza, ecc.);

- si può decidere di far scrivere una breve storia sulle possibili difficoltà incontrate da un bambino che deve lasciare la propria nazione, magari immaginando di essere al suo posto;

- infine si possono leggere i contenuti dei testi prodotti, farli illustrare graficamente e lasciare che gli alunni aggiungano loro eventuali commenti allo scopo di vedere se si rendono conto del disagio che si prova quando si è costretti ad abbandonare il proprio Paese.

Dunque, l’accoglienza del nuovo arrivato può includere un’ analisi dei suoi bisogni e l’opportunità
di rendere nota agli altri alunni la storia del suo Paese di provenienza, delle tradizioni e ricorrenze
che lo caratterizzano allo scopo di valorizzare la sua cultura; a tutto ciò si può aggiungere l’utilizzo
di attività ludiche di gruppo (giochi sociali già noti o ideati e adattati dagli insegnanti, ecc.) che
contribuiscano a favorire il rispetto reciproco e la collaborazione. Secondo un’ottica più ampia, le esperienze di contatto e conoscenza reciproca, tra etnie diverse, come hanno dimostrato i risultati di varie ricerche psicosociali, possono ridurre il pregiudizio e rendere possibile la cooperazione tra autoctoni e immigrati: allora, trasferire queste conoscenze al lavoro scolastico potrebbe favorire risultati efficaci anche nelle relazioni amicali tra bambini di etnia diversa. Col procedere dell’anno scolastico, l’alunno straniero che inizialmente si può essere trovato a disagio se ha sperimentato l’insofferenza dei compagni e la difficoltà di farsi accettare, grazie alle collaborazioni scuola- famiglia- enti locali, e alla didattica mirata a facilitare il suo inserimento in classe, percepirà una maggiore appartenenza al gruppo e inizierà a vivere con più serenità il suo percorso scolastico, consapevole di aver trovato nuovi amici che stanno imparando a rispettarlo e a comprenderlo.

Dott.ssa Margherita Scorpiniti
riferimento bibliografico per citare questa fonte:
Scorpiniti, M. (2007)

L’inserimento scolastico degli alunni immigrati
Rivista di Scienze Psicologiche

Roma, 30 Marzo 2007.

Bibliografia di riferimento
Aboud, F. E. (1988) Children and Prejudice. U.K. Basil Blackwell, Oxford.

Giannini, L. (2005) La collaborazione tra scuola e famiglia in chiave interculturale,
www.indire.it (07 Aprile2005)

G.V. Alunni stranieri nella scuola italiana, www.indire.it (www.csa.fi.it/areainterculturale/alunni_stranieri_2.html)

Mazzara, B.M., Appartenenza e pregiudizio- Psicologia sociale delle relazioni interetniche, Roma, La
Nuova Italia Scientifica, 1996

Mazzara, B.M. (1997). Stereotipi e Pregiudizi. Il Mulino, Bologna, 1997

Pittau, M. Educazione Interculturale, www.utopie.it
(www.utopie.it/formazione/educazione_interculturale.htm)

Scorpiniti, M. (2006), Collaborazione Scuola- Famiglia: “alleanza educativa o rischio di ingerenza”?
Aspettative reciproche e difficoltà degli insegnanti.
SRM Psicologia Rivista (www.psyreview.org). Roma,19 Gennaio 2007