17 GENNAIO 2001  
 
Varapodio / Autore della ricerca e dell'analisi dell'importante comparto Tommaso Calabrò, neodottore in Scienze agrarie
L'olivicoltura nella storia dell'economia della Piana

 Vincenzo Vaticano


Vecchia macina olive - Tommaso Calabrò, ex sindaco

VARAPODIO – È sicuramente un importante ed inedito studio sull'evoluzione del sistema olivicolo nella Piana di Gioia Tauro. Una vera e propria analisi storica su questa grande pianura, densamente abitata da 180.000 persone di 33 comuni, posta in un anfiteatro naturale formato dalle propaggini degli Appennini ed i monti Poro e S. Elia. Si tratta della tesi di laurea con la quale Tommaso Calabrò, varapodiese neolaureato in Scienze agrarie a Reggio, setacciando biblioteche, archivi privati e raccogliendo notizie testimoniali, ha cercato di “mettere a fuoco” e stabilire (con risultati decisamente apprezzabili), in quale periodo si è realizzato quello che è considerato un inconfondibile paesaggio con "cultivar" uniche al mondo per le caratteristiche possedute e per il loro impatto sul territorio. Un'esposizione, è il caso di rilevare, che ha destato l'interesse e l'attenzione di parecchi studiosi e addetti ai lavori. Non a caso, infatti, la rivista scientifica specializzata “Italus Ortus” recentemente ne ha pubblicato un ampio resoconto elaborato dallo stesso autore con l'ausilio del prof. Paolo Inglese, dell'istituto di coltivazioni arboree dell'Università di Palermo. A grandi linee, ovviamente, e in modo estremamente sintetico, ecco alcune importanti e salienti considerazioni che emergono esaminando questa ricerca storica. Ritrovamenti archeologici, testi greci e latini, monete antiche permettono di datare i primi impianti olivicoli e di fare ipotesi molto attendibili sulla presenza dell'olivo nella Piana di Gioia Tauro già dal VII-VI secolo a.C., dove giunse dalla colonie greche della Calabria ionica diffondendosi poi su due direttrici principali: dallo Zomaro, già fino a Medma, l'attuale Rosarno, e da Zervò, giù verso Mella, nei pressi dall'attuale Oppido Mamertina, seguendo il corso del fiume Petrace fino a Metauria, oggi Gioia Tauro e Taureana. Qui l'olivo fu per lungo tempo una cultura secondaria, e, pur se, durante la successiva denominazione romana fu intensificata, con gli arabi, per motivi commerciali, decadde. Sotto la dominazione normanna e sveva l'olivo "ebbe miglior sorte", ma decadde nuovamente con la dominazione spagnola. A partire dal 1500, con le attendibili testimonianze e le accurate descrizioni del territorio, riportate nei loro scritti da storiografi come Alberti, Barrio e Marafioti, la ricerca entra nel vivo e analizza l'evoluzione della coltivazione dell'olivo nella Piana, il cui sviluppo, peraltro, risulta piuttosto lento dal 1500 fino alla seconda metà del secolo XVIII, quando, in particolare dopo il terremoto del 1783, la diffusione dell'olio diviene tanto impetuosa ed imponente da cambiare completamente la fisionomia della Piana, fino ad allora in gran parte coperta di boschi, acquitrini o coltivata a cereali. A questo rilancio e al notevole miglioramento dell'olivicultura contribuì in maniera determinante un agronomo e grande illuminista calabrese, il marchese Domenico Grimaldi, il quale, durante la dominazione dei Borboni, introdusse profonde innovazioni tecnologiche nei metodi di coltura dell'olivo e nell'estrazione dell'olio che, con la diffusione dei frantoi idraulici "genovesi", assunse carattere industriale. Con intuito e coraggio, egli, rigettò i vecchi sistemi e inculcò l'adeguamento al sistema praticato in Ligura, e perciò detto "genovese", con lo scopo di far ottenere sia una maggiore quantità di olio sia una qualità superiore dello stesso. Dai resoconti dei viaggi effettuati in Calabria dai suddetti autori, i primi due centri di diffusione olivicola, risultano, comunque, occupare una piccola parte del territorio pianigiano e risultano essere posti ai suoi antipodi. Uno localizzato nel territorio compreso tra i comuni di Varapodio, Oppido, S. Cristina, Cosoleto, Delianuova, Sinopoli, S. Procopio, Melicuccà, Seminara, Palmi. L'altro nei comuni di Feroleto della Chiesa, Maropati e Galatro. Oggi l'ovicultura è praticamente diffusa nei territori di tutti i comuni della Piana. Dalla descrizione dei luoghi fatta soprattutto dal Barrio, risulta poi sfatato il luogo comune della esclusiva esistenza, nell'antichità, delle attuali varietà di ulivi dominanti nella Piana ovvero di piante "sinopolesi" ed "ottobratiche". Barrio, infatti, riferisce della presenza, proprio a Sinopoli, ed in tanti altri  comuni adiacenti di «olive grosse come le mandorle e carnose, preparate in botti, molto buone da mangiarsi». Olive, quindi non "sinopolesi" ed "ottobraiche" (piuttosto piccole), ma antiche varietà introdotte probabilmente in età greca e soppiantante poi gradatamente. Alla fine del suo excursus storico, l'autore –  che vanta una discreta conoscenza del settore e delle difficoltà in cui si dibattono gli olivicoltori, essendo stato nel recente passato giovanissimo sindaco di Varapodio (dal 92 al 96) e membro del Consiglio direttivo del Parco nazionale dell’Aspromonte –, dopo un'ampia trattazione della situazione attuale dell'intero comparto olivicolo della Piana, estremamente complesso nella sua struttura, tra le tante riflessioni rileva come «la vetustà delle piante, la carenza e la difficoltà della loro gestione e della raccolta, la scarsa quantità dell'olio ed i redditi assai modesti impongono l'individuazione a breve termine di strategie di conservazione di ciò che può essere mantenuto, e di rinnovamento, con nuove piantagioni di olivo od altra specie».

 

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