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Riassunti di
“Istituzioni di diritto privato”
Riassunto del libro “Linguaggio e regole di diritto
privato” – Iudica, Zatti – Quarta edizione, CEDAM
Facoltà di Economia – Università degli Studi di
Firenze
Agosto 2005
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INDICE
CAPITOLO 1 9
L’ORDINAMENTO GIURIDICO 9
LE PAROLE DEL
DIRITTO 9
LE FONTI DEL
DIRITTO ITALIANO 10
ENTRATA IN VIGORE
10
ABROGAZIONE DELLE
NORME 11
ILLEGITTIMITÀ
DELLE NORME 11
FONTI DI
COGNIZIONE 11
CAPITOLO 2 11
LA STRUTTURA
DELLA NORMA GIURIDICA 11
IL TESTO
NORMATIVO. NORMA E DISPOSIZIONE 12
CAPITOLO 3 13
L’AMBITO DEL
DIRITTO PRIVATO 13
LA CODIFICAZIONE 13
USI E COSTUMI 13
EQUITÀ 13
IL DIRITTO
PRIVATO E LE RELAZIONI TRANSNAZIONALI. 13
CAPITOLO 4 14
LE SITUAZIONI GIURIDICHE 14
SITUAZIONE E
RAPPORTO GIURIDICO 14
DOVERE – OBBLIGO, FACOLTÀ, POTERE 14
SOGGEZIONE E
ONERE 14
DIRITTO
SOGGETTIVO 14
INTERESSE
LEGITTIMO NEL DIRITTO PRIVATO 15
UFFICIO E POTESTÀ
15
DIRITTI ASSOLUTI
E RELATIVI 15
DIRITTI
POTESTATIVI 15
OBBLIGAZIONE 15
TITOLARITÀ 16
SUCCESSIONE 16
ESTINZIONE DI
DIRITTI E OBBLIGHI. LA RILEVANZA NEL TEMPO. 16
ASPETTATIVE 16
ABUSO DEL DIRITTO
16
CAPITOLO 5 17
FATTI E ATTI GIURIDICI 17
FATTI E ATTI NEL
DIRITTO PRIVATO. ATTI GIURIDICI NEL SENSO AMPIO 17
GLI ATTI ILLECITI. L’ILLECITO
CIVILE. 17
GLI ATTI (LECITI) NEL CODICE
CIVILE 18
L’IDEA DI
AUTONOMIA PRIVATA 18
DISTINZIONI TRA
ATTI GIURIDICI 18
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NEGOZIO GIURIDICO
18
EFFICACIA E
VALIDITÀ DEGLI ATTI GIURIDICI 18
LEGITTIMAZIONE 19
RAPPRESENTANZA 19
RAPPRESENTANZA
ORGANICA 19
CAPITOLO 6 19
I SOGGETTI 19
LA DETERMINAZIONE
DEI SOGGETTI 19
LA PERSONA FISICA 20
CAPACITÀ
GIURIDICA 20
SCOMPARSA, ASSENZA, DICHIARAZIONE
DI MORTE PRESUNTA 20
I LUOGHI DELLA
PERSONA: DOMICILIO, RESIDENZA, DIMORA 20
CAPACITÀ D’AGIRE 20
LA POSIZIONE DEL
MINORE. LA POTESTÀ DEI GENITORI. 21
INTERDIZIONE E
INABILITAZIONE 22
PERSONE GIURIDICHE E SOGGETTI COLLETTIVI 22
AUTONOMIA
PATRIMONIALE 22
TIPI DI PERSONE
GIURIDICHE PRIVATE 23
CONNOTATI
GENERALI DELLE PERSONE GIURIDICHE 23
PERSONE
GIURIDICHE PUBBLICHE 23
CAPITOLO 7 23
I BENI 23
CONCETTO DI BENE
NEL CODICE CIVILE 23
RELAZIONI TRA
COSE 24
DIVERSE CATEGORIE
DI COSE 24
COSE E VALORI. IL CORPO UMANO 24
OLTRE LE COSE 25
BENI IMMOBILI E
BENI MOBILI 25
LE UNIVERSALITÀ. IL PATRIMONIO 25
I FRUTTI 25
BENI PUBBLICI 25
CAPITOLO 8 26
LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE 26
STRUMENTI DI PUBBLICITA’ 26
NOZIONI GENERALI 26
PUBBLICITÀ
IMMOBILIARE E FORME ANALOGHE 26
LE PROVE 27
PRINCIPIO
DISPOSITIVO E ONERE DELLA PROVA 27
I MEZZI DI PROVA 27
PROVE DOCUMENTALI
27
LA PROVA PER
TESTIMONI 28
CONFESSIONE E
GIURAMENTO 28
LE PRESUNZIONI 28
GLI ATTI DELLO
STATO CIVILE 29
LA CERTEZZA NEL TEMPO 29
PRESCRIZIONE 29
LA DECADENZA 29
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LA LITE 29
DIRITTO E AZIONE 29
AZIONE, INTERESSI
QUALIFICATI, INTERESSI DIFFUSI 29
L’ECCEZIONE 30
CAPITOLO 9 30
I DIRITTI DELLA PERSONA 30
PERSONALITÀ E
DIRITTI INVIOLABILI 30
VITA, INTEGRITÀ
FISICA E SALUTE 30
AUTODETERMINAZIONE, GESTIONE DEL
PROPRIO CORPO, LIBERTÀ FONDAMENTALI 31
DIGNITÀ E
INTEGRITÀ MORALE 31
LA TUTELA DELL’IDENTITÀ 31
DIRITTO ALLA VITA
PRIVATA E ALLA RISERVATEZZA 31
CAPITOLO 10 31
UGUAGLIANZA E DIFFERENZE 31
STATUS PERSONALI 31
CITTADINANZA 32
CAPITOLO 11 32
IL DIRITTO DI PROPRIETA’ 32
IL CONTENUTO
DELLA PROPRIETÀ: PROBLEMI E FONTI NORMATIVE 32
LA PROPRIETÀ
PRIVATA NEL CODICE CIVILE 32
LA PROPRIETÀ
FONDIARIA 32
RAPPORTI DI
VICINATO 33
LA PROPRIETÀ
EDILIZIA 33
LA PROPRIETÀ
AGRICOLA 34
MODI DI ACQUISTO
DELLA PROPRIETÀ 34
MODI DI ACQUISTO
DELLA PROPRIETÀ PUBBLICA 35
CAPITOLO 12 36
I DIRITTI SU COSA ALTRUI 36
I DIRITTI REALI “LIMITATI” 36
USUFRUTTO, USO, ABITAZIONE 36
SUPERFICIE E
PROPRIETÀ SUPERFICIARIA 37
ENFITEUSI 37
SERVITÙ PREDIALI 37
CAPITOLO 13 38
LA COMUNIONE 38
LA COMUNIONE 38
IL CONDOMINIO
DEGLI EDIFICI 38
LA MULTIPROPRIETÀ
39
CAPITOLO 14 39
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IL POSSESSO 39
NOZIONE DI
POSSESSO 39
I REQUISITI DEL
POSSESSO. LA DETENZIONE 39
L’ACQUISTO DEL
POSSESSO 39
GLI EFFETTI
SOSTANZIALI DEL POSSESSO 39
CAPITOLO 15 40
TUTELA DELLA PROPRIETA’ E DEL POSSESSO 40
AZIONI PETITORIE 40
AZIONI A DIFESA
DELLA PROPRIETÀ 40
AZIONI A DIFESA DEI
DIRITTI LIMITATI 41
AZIONI
POSSESSORIE 41
AZIONI DI
NUNCIAZIONE 41
CAPITOLO 16 41
L’OBBLIGAZIONE 41
IL RAPPORTO
OBBLIGATORIO E LE SUE FONTI. 41
LA PRESTAZIONE 42
RAPPORTO TRA
DEBITORE E CREDITORE 42
CORRETTEZZA E
BUONA FEDE 42
OBBLIGO E
RESPONSABILITÀ 42
CAPITOLO 17 43
ADEMPIMENTO E INADEMPIMENTO 43
L’ADEMPIMENTO 43
MODALITÀ DELL’ADEMPIMENTO 43
I SOGGETTI DELL’ADEMPIMENTO 44
L’INADEMPIMENTO 44
GLI EFFETTI DELL’INADEMPIMENTO 44
LA MORA DEL
DEBITORE - APPROFONDIRE 44
LA MORA DEL
CREDITORE 45
RISARCIMENTO DEL
DANNO 45
I MODI DI
ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO 46
TIPI PARTICOLARI DI OBBLIGAZIONE 47
OBBLIGAZIONI
PECUNIARIE 47
OBBLIGAZIONI CON
PLURALITÀ DI OGGETTI 47
OBBLIGAZIONI CON
PLURALITÀ DI SOGGETTI. LA SOLIDARIETÀ 48
SUCCESSIONE NEL CREDITO E NEL DEBITO 48
LA SUCCESSIONE
NEL CREDITO: SURROGAZIONE, CESSIONE 48
LA SUCCESSIONE
NEL DEBITO: DELEGAZIONE, ESTROMISSIONE, ACCOLLO 48
CAPITOLO 18 49
LE GARANZIE 49
LA RESPONSABILITÀ
PATRIMONIALE DEL DEBITORE 49
LIMITAZIONI DI
RESPONSABILITÀ 49
CAUSE DI
PRELAZIONE 49
I PRIVILEGI 49
LE GARANZIE DEL
CREDITO 50
IL PEGNO E L’IPOTECA 50
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LA FIDEIUSSIONE 51
MEZZI DI
CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE 51
CAPITOLO 19 52
AUTONOMIA CONTRATTUALE 52
IL CONTRATTO: REALTÀ E
DEFINIZIONE 52
FUNZIONE ED EFFICACIA
DEL CONTRATTO 52
IL CONTRATTO COME
ATTO GIURIDICO 52
IL PRINCIPIO DI
BUONA FEDE 52
AUTONOMIA
CONTRATTUALE E SUOI LIMITI 52
LA LIBERTÀ DI
CONTRARRE 53
CAPITOLO 20 53
GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO 53
LA MANIFESTAZIONE
DELLA VOLONTÀ CONTRATTUALE 53
LA CONCLUSIONE
DEL CONTRATTO 53
TRATTATIVE E
RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 54
CONTRATTO
PRELIMINARE 54
CONTRATTI DI
SERIE E CONTRATTI DEL CONSUMATORE 54
LA CAUSA DEL
CONTRATTO. I MOTIVI 55
CLASSIFICAZIONE
DEI CONTRATTI IN BASE ALLA CAUSA 55
L’OGGETTO 55
LA FORMA 55
FORMA SCRITTA E
STRUMENTI INFORMATICI 56
GLI ELEMENTI
ACCIDENTALI. CONDIZIONE, TERMINE, ONERE 56
CAPITOLO 21 57
L’EFFICACIA DEL CONTRATTO 57
VINCOLO E RECESSO
57
DIVERSI TIPI DI
EFFICACIA 57
L’INTERPRETAZIONE
DEL CONTRATTO 57
INTEGRAZIONE DEL
CONTRATTO 58
EFFICACIA DEL
CONTRATTO RISPETTO A TERZI 58
CESSIONE DEL
CONTRATTO E SUBCONTRATTO 58
LA RAPPRESENTANZA. LA PROCURA 58
SIMULAZIONE DEL
CONTRATTO 59
USO INDIRETTO E
FIDUCIA 59
CAPITOLO 22 59
VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO 59
LE VICENDE DEL
VINCOLO CONTRATTUALE 59
NULLITÀ E
ANNULLABILITÀ 60
I PRINCIPALI CASI
DI NULLITÀ 60
LE CAUSE DI
ANNULLAMENTO. L’INCAPACITÀ 60
I VIZI DEL
CONSENSO 61
LE AZIONI DI
NULLITÀ E ANNULLAMENTO 62
IL CONTRATTO
INIQUO. LA RESCISSIONE 62
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CAPITOLO 23 63
LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO 63
LO SCIOGLIMENTO
DEL CONTRATTO 63
RISOLUZIONE PER
INADEMPIMENTO 63
CLAUSOLA PENALE E
CAPARRA CONFIRMATORIA 63
RISOLUZIONE PER
IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA 64
RISOLUZIONE PER
ECCESSIVA ONEROSITÀ 64
CAPITOLO 24 64
I CONTRATTI DI ALIENAZIONE 64
LA VENDITA 64
CAPITOLO 25 66
I CONTRATTI DI UTILIZZAZIONE 66
LA LOCAZIONE 66
IL COMODATO O
PRESTITO D’USO 67
MUTUO O PRESTITO
DI CONSUMO 67
CAPITOLO 26 67
I CONTRATTI DI PRESTAZIONI D’OPERA O DI SERVIZI 67
IL MANDATO 67
CAPITOLO 27 68
CONTRATTI PER LA RISOLUZIONE DI CONTROVERSIE 68
LA TRANSAZIONE 68
COMPROMESSO 68
CAPITOLO 28 68
ATTI E FATTI DIVERSI DAL CONTRATTO 68
PROMESSE
UNILATERALI 68
GESTIONE DI
AFFARI 68
PAGAMENTO DELL’INDEBITO 69
ARRICCHIMENTO
INGIUSTIFICATO 69
CAPITOLO 30 69
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITA’ 69
PROBLEMI E
FUNZIONI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE 69
LE FONTI DI
RESPONSABILITÀ 70
LA REGOLA DELL’ART. 2043 70
GLI ELEMENTI
OGGETTIVI DELL’ILLECITO: IL DANNO INGIUSTO E IL NESSO CAUSALE 70
GLI ELEMENTI
SOGGETTIVI: IMPUTABILITÀ 70
RESPONSABILITÀ
OGGETTIVA 71
LA RESPONSABILITÀ
PER FATTO ALTRUI 71
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IL DANNO 71
IL RISARCIMENTO 71
RESPONSABILITÀ
CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE 72
CAPITOLO 44 72
IL GRUPPO FAMILIARE 72
NOZIONE GIURIDICA
DI FAMIGLIA 72
I PRINCIPI COSTITUZIONALI
72
LE RELAZIONI
FAMILIARI: CONIUGIO, PARENTELA, AFFINITÀ 72
IL SISTEMA
MATRIMONIALE ITALIANO 73
IL MATRIMONIO NEL
CODICE CIVILE. LA DISCIPLINA DELL’ATTO 73
GLI EFFETTI DEL
MATRIMONIO 74
IL REGIME
PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA 74
LA CRISI DELLA
FAMIGLIA. LA SEPARAZIONE PERSONALE 75
LO SCIOGLIMENTO
DEL MATRIMONIO. IL DIVORZIO 75
LA FILIAZIONE 76
LA FILIAZIONE
LEGITTIMA 76
LA FILIAZIONE
NATURALE 76
L’ADOZIONE 77
LA FAMIGLIA DI
FATTO 78
GLI ALIMENTI 78
CAPITOLO 45 78
LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE 78
GLI EFFETTI DELLA
MORTE. LA SUCCESSIONE 78
L’OGGETTO DELLA
SUCCESSIONE: L’EREDITÀ E IL LEGATO 78
APERTURA DELLA
SUCCESSIONE. DELAZIONE. VOCAZIONE 79
I TITOLI DI
SUCCESSIONE 79
CAPACITÀ DI
SUCCEDERE E INDEGNITÀ 79
LA VOCAZIONE
LEGITTIMA 79
LA VOCAZIONE TESTAMENTARIA
80
IL TESTAMENTO
COME ATTO DI ULTIMA VOLONTÀ 80
I DIRITTI DEI
LEGITTIMARI 81
ACQUISTO DELL’EREDITÀ E DEL
LEGATO 82
IL BENEFICIO DI
INVENTARIO. LA SEPARAZIONE DEI BENI 82
PETIZIONE DELL’EREDITÀ. EREDE APPARENTE
83
LA DEVOLUZIONE
DELL’EREDITÀ; I MECCANISMI DI
SOSTITUZIONE 83
LA COMUNIONE
EREDITARIA E LA DIVISIONE 83
CAPITOLO 46 84
LE LIBERALITA’ TRA VIVI 84
DONO E LIBERALITÀ
84
DISCIPLINA DELLA
DONAZIONE 84
Alcune parti del libro non sono state riassunte. Molti capitoli sono stati tolti direttamente dal
professore, altri gli ho tolti io perché non avevo molto tempo. Il criterio di selezione degli
argomenti che ho seguito va in base al fatto se gli argomenti li ritroviamo anche in “Diritto
Commerciale”… e quindi ecco che ho saltato la parte dell’imprenditore e tutti i contratti tipici e
atipici più caratteristici per l’esercizio dell’impresa (Franchising, Leasing ecc…). Speriamo bene!
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CAPITOLO 1
L’ORDINAMENTO GIURIDICO
Le parole del diritto
La parola diritto deriva dal latino medioevale
directus.
Lo scopo ultimo del diritto è di perseguire in una
certa comunità organizzata, un ideale di giustizia. In
negativo, il diritto serve a impedire che ognuno si
faccia giustizia da solo; serve quindi ad evitare violenza e
vendetta.
La parola legge può essere intesa con tre
connotazioni diverse:
- Legge inteso come insieme, come universo di regole.
In questo caso equivale al diritto, anche se si
può intendere uno specifico universo di regole come la
“Legge morale”.
- legge intesa come testo legislativo, prodotto
secondo determinate procedure.
- legge intesa come regola o come descrizione della
regolarità fattuale (leggi della fisica).
Come già detto il diritto è un universo di
regole. Una regola impone a qualcuno un dovere e di conseguenza
viene riconosciuto un potere o una libertà ad altri.
Quindi si dice che la regola riconosce e attribuisce un
diritto.
Ecco che si distinguono:
- diritto oggettivo come insieme di regole legali
- diritto soggettivo come una libertà, una posizione
di vantaggio.
Una regola è una proposizione la cui funzione è
quella di prescrivere un comportamento, cioè di qualificarlo
obbligatorio (deve essere tenuto), vietato (non deve
essere tenuto) o lecito (può essere tenuto). La regola non
descrive ma prescrive. Ecco i tipi di prescrizione:
- individuale: riguarda il comportamento di uno o più
individui determinati
- concreta: la prescrizione riguarda una o più
situazioni determinate
- generale: riguarda il comportamento di chiunque di
trovi in una determinata situazione
- astratta: prescrizione valida in ogni situazione che
sia uguale a quella prevista.
Ad esempio una sentenza è una prescrizione individuale
e concreta (il giudice condanna Tizio a risarcire
Caio), l’ordinanza è una prescrizione generale e
concreta (il sindaco impone a tutti – generale – gli abitanti di
spalare la neve in caso di nevicate –concreta-)
Per regola di diritto intendiamo prescrizioni legali
che prescrivono in modo generale ed astratto, cioè ciò che
si può o si deve fare nelle varie situazioni tipo previste.
(Art. 927 chi trova una cosa mobile deve restituirla
al proprietario).
Hanno quindi carattere generale ed astratto le regole
contenute nei codici, nelle leggi o nei decreti e nei
regolamenti.
Norma è
sinonimo di regola.
La prescrizione di un comportamento può essere resa
efficace dal collegamento con una regola strumentale
che prevede conseguenze negative per chi viola la
prescrizione. Queste conseguenza sono appunto le
sanzioni:
- sanzioni civili, risarcimento di un danno provocato
ad altri
- sanzioni penali, detenzione
- sanzioni amministrative, ammenda
Fonti del diritto: qualsiasi atto o fatto idoneo a produrre norme giuridiche in un
sistema dato.
Una prima distinzione si può fare tra fonti scritte e
fonti non scritte, anche se nei sistemi contemporanei si fa
la distinzione fra precedente giudiziario e atto
legislativo.
Il precedente giudiziario consiste nella
decisione già avvenuta su un caso analogo. Da una decisione (o da
una serie) si ricava una regola che vale per i casi
analoghi
L’atto legislativo è il procedimento con cui
un’autorità che ha il potere di legiferare produce un testo che
contiene regole di diritto.
L’art. 1 delle Disposizioni preliminari al Codice
Civile elenca le fonti del diritto italiano,mentre l’art. 70
della Costituzione stabilisce che la funzione
legislativa spetta alle camere. Queste norme, dette di
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produzione,
servono a stabilire come una legge può essere prodotta. Anche queste sono
prodotte, ma non si
può risalire all’infinito ovviamente; all’origine di
tutto c’è sempre un fatto storico.
Ecco che attraverso il sistema delle fonti si
costituisce un ordinamento giuridico, che è un universo di
regole di diritto che formano un insieme unitario e
ordinato perché sono prodotte in conformità ad un
apparato di fonti legittimato da un unico fatto
costitutivo, che ha dato vita all’organizzazione di un gruppo
sociale.
A far parte dell’ordinamento giuridico entrano a far
parte solo quelle regole che superano la selezione delle
fonti e, dato che le fonti sono indicate
dall’ordinamento, è “diritto” solo ciò che l’ordinamento definisce
diritto.
Per l’ordinamento dello stato, “diritto” è solo il
diritto dello Stato italiano. Il diritto degli altri stati
rappresenta solo un fatto.
Il diritto internazionale ha proprie fonti
(principalmente consuetudini internazionali e trattati) e proprie
norme, che ogni membro della comunità internazionale è
tenuto a rispettare. Anche se ciò che è illecito a
livello internazionale può essere lecito a livello
nazionale. Solo attraverso la ratifica di una Convenzione
internazionale questa avrà efficacia a livello
nazionale. Tuttavia nel nostro ordinamento il diritto
internazionale ha un canale preferenziale poiché
l’art. 10 della Costituzione dice che l’ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute. Quindi rende le norme
generali del diritto internazionale efficaci
nell’ordinamento interno.
Generalmente gli ordinamenti tendono a separare il
potere legislativo da quello giudiziario. La separazione è
meno netta in quegli ordinamenti dove la
giurisprudenza è fonte di diritto (cioè dove parte delle regole
originano dal precedente giudiziale).
Comunque sia un ordinamento completamente chiuso non è
realizzabile poiché la regola di diritto,
comunque prodotta, è formulata in una proposizione
prescrittiva che dovrà quindi essere interpretata. Ecco
che entrano in gioco idee, influenze e giudizi del
singolo giudice che si trova a dover decidere.
Esistono poi finestre che il sistema lascia aperte
per opportunità. In molti casi il legislatore sfrutta concetti
indeterminati come il dovere di buona fede, di
correttezza o il comportamento di buon costume, o il metro
del comune senso del pudore, che possono essere
concretizzati al momento dell’interpretazione da parte del
giudice in base alla realtà sociale.
Le fonti del diritto italiano
1) Costituzione (e leggi costituzionali)
2) Il Trattato, i regolamenti e le direttive Cee
3) Le leggi dello stato e delle regioni – intese come
leggi in senso formale o come atti legislativi che
hanno la stessa forza della legge (decreto-legge;
decreto legislativo delegato).
4) I regolamenti – che possono essere emanati dal
governo, dalle regioni, dalle province e dai comuni. I
regolamenti governativi intervengono a disciplinare
l’esecuzione delle leggi.
5) Le norme corporative ancora in vigore (o le norme
poste da contratti collettivi con efficacia erga
omnes)
6) Gli usi – vale come fonte del diritto se richiamati
da altre fonti (ad esempio l’art. 1374) o in materie
non regolate da altre fonti. L’uso deve avere come
requisito una generale e costante uniformità di
comportamento e la convinzione di osservare un obbligo
giuridico.
Questo non è precisamente l’elenco riportato
dall’articolo 1 delle Disposizioni preliminari.
Entrata in vigore
Una volta che la disposizione normativa è stata
prodotta, affinché divenga parte dell’ordinamento, è
necessario pubblicarla sulla Gazzetta ufficiale della
Repubblica (se si tratta di una legge statuale) o sul
Bollettino Ufficiale della Regione (se si tratta di un
atto regionale) o affissarla all’albo (se si tratta di norme
comunali).
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In questo modo si garantisce la conoscibilità della
norma prima della sua entrata in vigore. Dopodichè deve
trascorrere un periodi di vacanza che normalmente è di
15 giorni (art. 73, comma 3 Cost – art.10 comma 1,
disp. Prel.)
Normalmente vale il principio di irretroattività della
legge, cioè la legge non dispone che per l’avvenire.
Fuori dal campo penale il principio è derogabile dal
legislatore, in ambito penale il principio è garantito dalla
costituzione.
Abrogazione delle norme
Nel caso in cui due norme siano in conflitto tra loro
è necessario cancellare una delle due. Il criterio è quello
cronologico: se le norme derivano dalla stessa fonte o
da fonti di pari forza prevale la norma più recente.
Altrimenti prevale la norma che deriva dalla fonte più
forte (principio gerarchico)
L’art.15 delle disposizioni preliminari indica tre
ipotesi di abrogazione di una norma:
- per dichiarazione espressa dal legislatore
(abrogazione espressa)
- per incompatibilità tra le vecchie e le nuove
disposizioni (abrogazione tacita)
- perché la nuova legge regola l’intera materia già
regolata dalla legge anteriore (abrogazione tacita)
L’art.75 della costituzione prevede il referendum
popolare abrogativo indetto su richiesta da 500mila
elettori o da 5 consigli regionali.
La desuetudine, cioè la costante disapplicazione della
regola, non costituisce causa che porta all’abrogazione
della legge.
Una volta abrogata una legge questa non scompare
definitivamente, bensì perde vigore dalla data
dell’abrogazione mantenendo la forza prescrittiva per
i casi avvenuti in data precedente all’abrogazione.
Nel caso in cui il legislatore provveda a raccogliere
ed a riordinare le leggi in unico atto normativo (testo
unico o
codici) si ha un’applicazione interessante dell’abrogazione.
Il diritto transitorio regola il passaggio da
una disciplina all’altra, nel caso in cui situazioni sorte sotto il
vigore della vecchia disciplina non siano risolte al
sopravvenire della nuova.
Illegittimità delle norme
Dire che una norma è illegittima significa rilevare un
vizio nella sua formazione, che la rende inidonea alla
sua funzione regolatrice (contrasto con le fonti di
ordine superiore, violazione di criteri di competenza). Il
giudice a cui è richiesto di applicare la norma può
effettivamente rilevare la sua illegittimità costituzionale,
ma non può risolverla. Solo la corte costituzionale
può giudicare la norma incostituzionale. Una norma
illegittima, fino a che non viene eliminata, continua
ad avere effetto.
Fonti di cognizione
Si chiamano fonti di cognizione quei documenti in cui
si raccolgono i testi delle norme giuridiche formate
attraverso le fonti di produzione e sono:
- Costituzione
- Codici (codice civile, procedura civile, penale,
procedura penale, navigazione)
- Leggi speciali, individuate dalla data, dal numero e
dal titolo.
CAPITOLO 2
La struttura della norma giuridica
Lo schema logico della norma giuridica è costante, la
formulazione testuale varia da caso a caso. E quindi: se
si verificano certi fatti, allora si dovrà comportarsi
in un certo modo. Per indicare la situazione a cui una
norma collega certe conseguenze si usa il termine fattispecie.
La situazione tipo descritta dalla norma è la
fattispecie astratta, la situazione pratica a cui
viene applicata la norma è la fattispecie concreta.
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Per ogni fattispecie la norma definisce un determinato
comportamento come lecito, obbligatorio o vietato;
questo collegamento viene descritto dicendo che un
determinato fatto ha certi effetti o conseguenze
giuridiche.
Si parla di fattispecie complessa se è composta
di elementi di fatto tra loro distinti. Ne è un esempio gli art.
927-929 che riguardano l’acquisto della proprietà in
caso di invenzione.
Si parla di fattispecie a formazione progressiva quando
una fattispecie complessa non si forma
istantaneamente, ma gradualmente. Ad esempio l’art.
922 per l’acquisizione della proprietà mediante
contratto può prevedere una fattispecie a formazione
progressiva se si inserisce nel contratto una clausola
che subordina gli effetti del contratto al momento in
cui verrà approvato il progetto di costruzione già
presentato.
La sussunzione è un aspetto molto importante
nel lavoro del giudice: riconoscere nel caso concreto i
connotati della fattispecie astratta.
Il testo normativo. Norma e
disposizione - Struttura dei
codici
pag. 24
La disposizione normativa, cioè il testo scritto, non
è che un complesso di parole a cui si deve attribuire un
significato. L’operazione con cui gli si attribuisce
il significato si chiama interpretazione. La norma
giuridica è il significato (il risultato
dell’interpretazione) della disposizione normativa. L’art. 12 delle
disposizioni preliminari disciplina l’attività di
interpretazione delle leggi. STUDIARE
Si possono distinguere due tipi di interpretazione:
- interpretazione logica
- interpretazione letterale
Può capitare che considerando la ratio (ragione
pratica, scopo, logica) della norma si attribuisca alle parole
un significato più ampio o più ristretto rispetto a
quello che deriverebbe dall’interpretazione letterale e quindi
abbiamo:
- interpretazione estensiva
- interpretazione restrittiva
Abbiamo poi l’interpretazione giudiziale, cioè
fatta dal giudice nel caso in cui è chiamato a giudicare. Nel
nostro sistema questa decisione non è vincolante per
gli altri decisori, a meno che non si formi un
orientamento costante, ovvero eguali interpretazioni ripetute dai giudici.
Questi orientamenti sono formati
principalmente dalle decisioni della Corte di
Cassazione.
L’interpretazione dottrinale deriva dalle
proposte di interpretazione avanzate dagli studiosi del diritto. In
altri sistemi le proposte degli studiosi sono
considerate una fonte da cui i giudici possono attingere per
prendere le decisioni; non è così da noi, dove però
una buona proposta ha buone probabilità di essere accolta.
L’interpretazione autentica invece è quella
effettuata dallo stesso legislatore mediante nuove disposizioni
normative che indicano come devono essere interpretate
le disposizioni vigenti.
Nel caso in cui non sia possibile risolvere un caso,
nemmeno ricorrendo all’interpretazione estensiva, e dato
che non è permesso al giudice di creare una regola di
diritto, è necessario seguire il postulato della
completezza dell’ordinamento (che non è espressamente riportato nell’art.12 disp.
prel., ne è solo la
premessa logica del 2° comma) che indica due criteri:
- analogia: è un criterio logico che prevede
soluzioni simili per problemi simili. Si utilizzeranno
disposizioni che regolano casi simili o materie
analoghe. L’analogia non porta ad applicare al caso
non previsto la regola che disciplina il caso simile
(interpretazione estensiva), ma avendo riguardo
alla disposizione che vale per la situazione analoga,
il giudice stabilirà una regola concreta adatta
alla questione che deve risolvere. Le leggi penali non
possono essere applicate per analogia, visto il
carattere “creativo” di questo sistema.
- Principi generali dell’ordinamento giuridico:
la parte finale dell’art. 12 disp.prel. prescrive di
ricavare dall’ordinamento italiano delle linee di
tendenza e di formulare da queste dei principi, che
spesso risultano essere impliciti. Importante è non
confondere i principi con le clausole generali
(regole di ampio contenuto) come ad esempio “secondo
buona fede” ecc…
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CAPITOLO 3
L’ambito del diritto privato
Il diritto privato è il diritto degli interessi
particolari (che riguardano singoli individui e gruppi), che sono
trattati come interessi disponibili: bisogni,
esigenze, finalità, valori dei quali gli stessi interessati possono
decidere, in certi limiti, se e come cercare la
soddisfazione o accettare il sacrificio.
Il diritto pubblico è il campo degli interessi
generali che non sono disponibili da un singolo interessato né
da un gruppo di interessati: essi riguardano tutta la
collettività e perciò la loro concreta realizzazione (ed il
controllo) è affidata alla pubblica autorità
La diversa considerazione degli interessi giustifica
la diversità degli strumenti.
Il diritto privato lascia molto spazio alla
possibilità dei singoli di regolare da sé la soddisfazione dei propri
interessi. Lo strumento di questa autonomia privata
è il contratto.
Nel diritto pubblico invece è richiesto l’esercizio
dell’autorità, per cui almeno uno dei due soggetti risulta in
posizione di supremazia nei confronti dell’altro.
La codificazione
I grandi codici dell’800, come quello Napoleonico o
quello tedesco, hanno vita lunga. Il corpo principale,
attraverso continue modificazioni ed aggiornamenti (novellazione),
si ritrova infatti ancora oggi.
Un altro metodo per mantenere aggiornato un codice è quello
di affiancare via via nuove leggi che regolano
materie nuove o stabiliscono nuove soluzioni a
problemi già considerati.
Usi e costumi
Si distinguono tre diversi usi:
- usi normativi: consuetudini usate come fonti diritto
se espressamente richiesto dalla norma o in
mancanza di disposizioni scritte
- usi contrattuali: è la prassi contrattuale diffusa
nel traffico economico. E’ il modo in cui
normalmente si regolano particolari questioni negli
accordi contrattuali. L’art. 1340 considera le
clausole d’uso inserite nel contratto, anche nel
silenzio delle parti.
- Usi interpretativi: il modo in cui normalmente viene
inteso un certo termine o una certa clausola.
Viene usato come criterio per stabilire il significato
di clausole ambigue.
Il costume è il criterio cui il giudice deve fare
riferimento per precisare il contenuto di norme volutamente
generiche come ad esempio quando si parla di “buon
costume” o “fedeltà”.
Equità
L’equità non può essere considerata una fonte del
diritto. Il motivo è semplice: il giudice, nelle sue decisioni,
deve attenersi alla legge e ai principi reperibili nel
sistema delle fonti. Se applicando la legge ad un caso
particolare risulta una punizione troppo dura o non
adeguata il giudice non può comunque far prevalere un
criterio empirico per cambiare o disapplicare la
norma.
Tuttavia può essere la norma a richiedere al giudice
di risolvere il caso secondo equità, cioè secondo quello
che lui giudica un criterio di giustizia. Per questo
l’equità viene considerata una fonte secondaria del diritto.
La legge 21 novembre 1991, n°374 ha istituito il giudice
di pace; per le cause relative a beni mobili di
valore inferiore ai 2 milioni di lire, la causa deve
essere decisa secondo equità con sentenza non appellabile.
Il diritto privato e le relazioni
transnazionali.
L’obiettivo comune è quello di uniformare i diritti
nelle singole materie. Fra i numerosi tentativi ricordiamo
le varie convenzioni (Ginevra 1930, Vienna 1980).
In Italia, fino al 1995, gli art. 17-31 delle
disp.prel. si occupavano del diritto internazionale privato. In
seguito sono stati abrogati e sostituiti dalla legge
31 maggio 1995, n. 218 con lo scopo di rendere più chiare
le relazioni tra il nostro sistema e sistemi
internazionali.
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Le linee guida di questa legge indicano che in
rapporti contrattuali con paesi stranieri prevale la legge
nazionale sui rapporti di famiglia, sulla protezione
degli incapaci, sullo stato e le capacità delle persone
fisiche e i diritti della personalità, sulla
successione a causa si morte, sulle donazioni. (quindi sui rapporti in
cui prevale il riferimento alla persona).
Prevale invece la legge del luogo sul possesso,
proprietà e diritti reali sui beni mobili, immobili e
immateriali, sulle obbligazioni non contrattuali,
sulle questioni di forma degli atti giuridici.
Le obbligazioni contrattuali sono invece regolate
dalla volontà delle parti.
Il limite a questa “importazione” del diritto
straniero è rappresentata dal rispetto dell’ordine pubblico, intesi
come i principi fondamentali di carattere
etico-sociale che sono alla base del nostro ordinamento. Si parla dei
principi espressi nella costituzione e di quei
principi riguardanti matrimonio monogamico, adozione non per
contratto ecc…
CAPITOLO 4
LE SITUAZIONI GIURIDICHE
Situazione e rapporto giuridico
La regola pone due soggetti in una situazione
giuridica, stabilendo così un rapporto giuridico tra i soggetti.
Il rapporto giuridico è una relazione disciplinata
dalla legge che prevede due situazioni giuridiche soggettive:
- situazione giuridica attiva, cioè quella della parte
avvantaggiata
- situazione giuridica passiva, cioè quella della
parte svantaggiata
Lo schema tracciato si ripropone in maniera più o meno
complessa in ogni norma giuridica
Dovere – obbligo, facoltà, potere
La funzione primaria della norma giuridica è quello di
imporre un determinato comportamento. La
situazione soggettiva della persona che è tenuta ad un
certo comportamento si chiama obbligo. L’obbligo di
non fare è un divieto. Il linguaggio in uso è “deve, è
tenuto a, ha l’obbligo di, è vietato, non è lecito, non
può”. Il primato della categoria dovere-obbligo è
dovuto al carattere liberale del diritto secondo cui tutto ciò
che non è vietato o obbligatorio è lecito. Non occorre
una norma per dire che si può fare qualcosa.
Anche se in realtà le norme stabiliscono quali
comportamenti si possono tenere. E in questo caso il
linguaggio usato è “può, ha il diritto di, ha la
facoltà”… Si distingue infatti facoltà da potere:
- facoltà: quando un individuo è autorizzato a fare qualcosa,
compiere lecitamente un atto
- potere: quando un individuo è in grado di fare
qualcosa, compiere efficacemente un atto
Soggezione e onere
Si usa il termine soggezione per indicare la
situazione di un soggetto che senza essere obbligato a un
determinato comportamento, subisce le conseguenze
dell’esercizio di un potere altrui.
La situazione del soggetto si chiamerà onere (e
non obbligo) quando la norma si limita a stabilire che un
certo risultato può essere ottenuto solo da chi terrà
un certo comportamento. Ad esempio l’art. 2697, l’onere
della prova, dice che chi vuole far valere un diritto
in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento.
Diritto soggettivo
Si intende quando una o più norme assicurano la
possibilità di soddisfare un certo interesse economico e
morale; diritto di voto, diritto di credito, diritti
reali, diritto di proprietà, diritto all’immagine…
Si parla quindi di diritto soggettivo quando la legge
attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria
e diretta del proprio interesse.
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Interesse legittimo nel diritto
privato
Si intende l’attribuzione di un potere ad un soggetto
non per la protezione immediata e diretta dei propri
interessi, ma per una protezione mediata, dipendente
cioè dalla coincidenza dell’interesse particolare con
quello generale.
Il soggetto può far valere il proprio potere solo se
la propria volontà coincide con l’interesse pubblico. Chi
agisce per la tutela dell’interesse legittimo deve
rivolgersi alla giurisdizione amministrativa anziché al
giudice ordinario. La lesione di un interesse
legittimo può dar luogo alla pretesa di un risarcimento del danno
a norma dell’art. 2043, pretesa che in questo caso si
fa valere davanti al giudice ordinario.
Ufficio e potestà
Ben distinte dal diritto soggettivo sono quelle
situazioni in cui si combinano potere e dovere, dando l’idea di
funzione o ufficio di diritto privato.
Ad esempio secondo l’art. 320 viene attribuito al
genitore il potere di curare gli interessi del figlio minore. Al
contempo però il titolare del potere deve curare
gli interessi del minore. E’ quindi l’attribuzione di un poteredovere.
Inoltre il potere è vincolato esclusivamente allo
scopo, cioè ogni esercizio del potere che si discosti
dallo scopo viene considerato un abuso.
Nello specifico caso dei genitori, quella della
potestà è meglio definibile con autorità, anche se si è preferito
mantenere il termine potestà per indicare il complesso
poteri-doveri dei genitori.
Diritti assoluti e relativi
I diritti assoluti si possono far valere verso
chiunque, i diritti relativi si possono far valere solo nei confronti
di determinati soggetti.
Tra i diritti assoluti troviamo il diritto di
proprietà e tutta la categoria dei diritti reali in genere (diritti su cose
altrui, usufrutto, uso, abitazione, servitù…) Abbiamo
inoltre tutti diritti che proteggono la persona come il
diritto alla vita, all’integrità fisica (art. 5) al
nome (art. 6-9), all’immagine, alla vita privata.
Per quanto riguarda i diritti relativi abbiamo invece
i diritti di credito, ma anche i diritti non patrimoniali ed
alcuni diritti della personalità quando si fanno
valere all’interno di un rapporto tra soggetti particolari, come
tra marito e moglie..
Diritti potestativi
Vi sono casi in cui ad un soggetto è attribuito un
potere a cui non corrisponde un obbligo, ma una
soggezione. Cioè il titolare, esercitando il suo
potere, non fa valere una pretesa, ma determina direttamente
una modificazione a proprio vantaggio nella situazione
giuridica della controparte.
Ad esempio il proprietario di un fondo che chiede la
comunione del muro di confine (art. 874) ecc…
Non esiste analogia tra potestà e diritti potestativi.
La somiglianza nel nome deriva dal fatto che il titolare del
diritto ha il potere di determinare un mutamento nella
situazione giuridica che l’altra parte subisce, ma la
potestà è in realtà un rapporto di autorità.
A volte per esercitare il diritto potestativo c’è un
onere da adempiere per ottenere il risultato e, nell’interesse
di chi subisce l’esercizio del diritto, si
stabiliscono dei limiti all’arbitrio come la giusta causa o un criterio
di
effettiva necessità.
Obbligazione
Gli art. 1174 e 1175 ci dicono che si parla di
obbligazione quando un soggetto è tenuto ad una prestazione,
cioè ad un comportamento diretto a soddisfare un altro
soggetto. La prestazione deve essere suscettibile di
valutazione economica anche se l’interesse da
soddisfare è di natura non patrimoniale.
Quindi l’obbligazione è una specie di obbligo che si
caratterizza per l’oggetto. Il termine obbligazione è
voluto per evidenziare ampliamente la posizione del
debitore la quale comprende anche dei poteri, come il
diritto alla quietanza (art. 1199) o il potere di
rifiutare la remissione del debito (art. 1236) e per evidenziare
in generale l’intero rapporto tra debitore e
creditore, comprendendo ambedue le posizioni complesse.
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Titolarità
La relazione di appartenenza di un diritto o di un
obbligo ad un soggetto si esprime con il concetto di
titolarità del diritto o dell’obbligo. Il soggetto è
detto il titolare. Queste espressioni si capiscono meglio a
partire dal concetto di titolo d’acquisto. Titolo è
infatti la fonte d’acquisto e si distingue:
- acquisto a titolo originario: il diritto si
costituisce in capo ad una persona senza dipendere dalla
posizione di un precedente titolare. In certi casi non
c’è nemmeno un precedente titolare (art. 923
comma 2°) oppure c’è ma il diritto si costituisce
senza connessione con questi (artt. 1158 e ss.)
- acquisto a titolo derivativo: il diritto
dell’acquirente ha fonte nel diritto del precedente titolare, e
perciò la sua esistenza e i suoi limiti dipendono
dall’esistenza e dai limiti di questo. Valgono due
principi base: nessuno può trasmettere a un’altra
persona più di quello che ha e se viene meno il
diritto dell’alienante viene meno anche il diritto
dell’acquirente.
Il dante causa è colui che trasmette il
diritto, l’avente causa è colui che acquista un diritto.
Successione
E’ in generale ogni sostituzione di un soggetto a un
altro come titolare di un diritto o di un obbligo; essa
indica la continuità del rapporto giuridico attraverso
il mutare dei titolari.
Quando si parla al plurale di successioni si
intende a causa di morte; si parla invece di successione fra vivi
ogni volta che, per atto fra vivi (contratto) una
persona succede ad un’altra in un rapporto giuridico.
La successione può essere:
- a titolo universale: si verifica in caso di morte o
di fusioni fra società (artt. 2501 e ss.), con la
successione dell’erede nell’universalità di diritti e
obblighi del defunto.
- A titolo particolare: riguarda uno o più rapporti
giuridici determinati
Estinzione di diritti e obblighi. La
rilevanza nel tempo.
L’estinzione di un diritto o di un obbligo possono
essere determinati da vari eventi; un diritto (e l’obbligo
correlativo) può cessare di esistere per rinunzia del
titolare (purché diritto sia disponibile).
Oppure si parla di estinzione funzionale allo scopo
per cui il diritto nasce: il diritto di credito si estingue
quando ricevo il pagamento.
Un altro fattore che può determinare l’estinzione di
una situazione giuridica è il tempo. Vi sono diritti che
durano quanto la persona a cui sono attribuiti, come i
diritti fondamentali (acquisiti con la nascita e si
estinguono con la morte).
Alla proprietà è riconosciuto un carattere perpetuo.
Altri diritti sulle cose possono invece avere carattere
temporaneo, come ad esempio l’usufrutto.
Per quanto riguarda le obbligazioni, la durata del
rapporto dipende dal titolo d’acquisto.
Aspettative
L’acquisto di un diritto soggettivo si collega
talvolta ad una fattispecie complessa a formazione progressiva.
Si distinguono due tipi di aspettativa:
- aspettativa legittima: quando ad esempio una persona
subordina il lascito testamentario ad una
condizione ben precisa, il beneficiario acquisterà il
diritto soltanto se la condizione prevista si
avvererà. Alla morte del testatore quindi ci sarà una
aspettativa legittima da parte del beneficiario,
poiché parte della fattispecie è già accaduta (la
morte del testatore e l’esistenza di un testamento a
favore di quel soggetto).
- Aspettativa di fatto: si fonda su eventualità future
rispetto alle quali nessun elemento della fattispecie
si è definitivamente formato. E’ il caso della persona
che avrebbe titolo a succedere un’altra in caso
di morte. Queste aspettative non hanno tutela
giuridica.
Abuso del diritto
Come già detto in precedenza è abuso di un diritto
ogni atto non giustificato o deviante dallo scopo. Ma se
una persona titolare di un diritto compie atti non
compresi tra quelli che ha la facoltà o il potere di fare,
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(uscendo dai confini del proprio diritto) commette un
illecito o compie atti inefficaci, ma non un abuso
poiché il diritto di compiere quegli atti non c’è
affatto. Abuso è usare male qualcosa che c’è.
L’abuso del diritto non è un istituto perché non si
può determinare una regola generale per stabilire i confini
legittimi di un diritto.
CAPITOLO 5
FATTI E ATTI GIURIDICI
Fatti e atti nel diritto privato.
Atti giuridici nel senso ampio
L’espressione fatto giuridico indica in
generale ogni fatto al quale una norma giuridica collega un qualsiasi
effetto.
Con la parola fatto indichiamo qualsiasi
accadimento come la nascita, il crollo di un edificio o la
dichiarazione fatta davanti ad un notaio.
Con l’aggettivo giuridico indichiamo che il
fatto è previsto da una regola di diritto che collega al suo
accadere determinate conseguenze attribuendogli
rilevanza giuridica.
È comunque bene distinguere tra fatti in senso
stretto, considerati in modo oggettivo (come la nascita o il
crollo di un edificio) e atti, cioè le azioni
umane, delle quali è importante l’aspetto soggettivo, cioè la
consapevolezza e la volontarietà dell’azione (come il
contratto, matrimonio, testamento, confessione)
In generale si può parlare di atto giuridico per
ogni comportamento, lecito o illecito, che la legge prende in
considerazione in quanto imputabile ad una persona
come sua propria azione.
Gli atti illeciti. L’illecito
civile.
Una condotta umana è giuridicamente illecita quando viola
una regola di diritto, cioè quando corrisponde ad
un comportamento vietato, o quando non corrisponde ad
un comportamento dovuto, e perciò lede gli
interessi protetti dalla norma.
Per valutare l’illiceità bisogna confrontare la
condotta tenuta con la prescrizione normativa, e vedere se
sussiste quel contrasto che rende il comportamento
illecito.
La valutazione di illiceità di una condotta concreta
si presenta quindi come una risposta alla seguente
domanda: se il comportamento tenuto si possa ritenere lesivo
degli interessi protetti dalla norma.
Si possono distinguere diverse specie di illecito:
- l’illecito penale: comprende tutti quei
comportamenti che la legge considera lesivi di un bene la cui
tutela è di interesse generale a cui si collega una
pena a carico dell’autore dell’illecito
- l’illecito amministrativo: comprende i
comportamenti che violano norme poste a tutela di quegli
interessi di ordine generale, la cui soddisfazione è
affidata alla Pubblica Amministrazione
- atto illecito in senso ampio: viola una norma
giuridica e perciò lede gli interessi (generali e
particolari (generali e particolari) da essa protetti
- illecito civile: è un comportamento che lede
direttamente un interesse particolare protetto da una
norma giuridica e provoca quindi un pregiudizio per il
soggetto leso. L’illecito civile è fonte di
responsabilità, e cioè l’obbligo di risarcire il danno
cagionato.
- Illecito contrattuale: la condotta del
debitore che non adempio la prestazione dovuta al creditore
viola la norma che lo obbliga ad adempiere e lede
l’interesse del creditore, da quella norma protetto
(artt. 1218 e ss.)
- Illecito extracontrattuale: qualunque fatto
doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto.
Questa non è una violazione di un obbligo
precedentemente imposto all’interno di un rapporto
preesistente. La lesione dell’interesse di un soggetto
avviene al di fuori di ogni relazione
precostituita. (artt. 2043 e ss.)
La responsabilità civile non è l’unica forma di tutela
per gli interessi particolari: tutela inibitoria (cioè
l’ordine giudiziale di terminare l’attività lesiva,
prevista da artt. 7,10,949,2599) sta assumendo molta
importanza e si discute se applicabile anche nei casi
in cui non è espressamente citata dalla norma. In effetti
la tutela inibitoria può avere anche funzione
preventiva, e quindi applicabile prima che il danno venga
commesso.
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Gli atti (leciti) nel codice civile
Nel codice civile la parola atti assume diversi
significati. Ci sono atti dovuti e atti illeciti per i quali non è
richiesta la maggiore età, ci sono altri atti per cui
è richiesta la maggiore età (art. 2) tra cui il contratto, il
testamento o il matrimonio, che sono manifestazioni
della volontà. Altri atti come la confessione o il
riconoscimento di un figlio naturale sono dichiarazioni
di coscienza o verità.
Comunque sia, ogni atto per cui è richiesta una
specifica età consente a chi lo compie di disporre dei propri
interessi. E
quindi ecco che l’atto giuridico è lo strumento con cui si esterna e si attua
una decisione circa la
sorte dei propri interessi
L’idea di autonomia privata
Autonomia significa dare regole a se stessi, farsi da
se le proprie regole. Art. 1324
L’ampiezza dell’autonomia privata dipende dagli
interessi che si tratta di regolare: l’autonomia non è quasi
mai una soluzione pura, ma quasi sempre parziale e
combinata con elementi più o meno forti di eteronomia
(regolazione dall’esterno). Ad esempio nel testamento
abbiamo l’autonomia di destinare il nostro patrimonio
a nostro piacimento, ma se abbiamo moglie e figli non
possiamo escluderli dall’eredità. Lo stesso vale per i
contratti i cui effetti sono stabiliti da norma
inderogabili.
Distinzioni tra atti giuridici
Abbiamo diversi tipi di atti giuridici. Per la
struttura si distinguono:
- atti unilaterali: dichiarazione proveniente
da una sola parte (procura, diffida, disdetta, voto)
- atti bi/plurilaterali: dichiarazioni
provenienti da più parti (contratto)
- atto unipersonale: testamento
Abbiamo poi gli atti collegiali, che sono
manifestazioni di volontà che si forma attraverso la dichiarazione di
più soggetti riuniti in un collegio.
Per l’oggetto si distinguono:
- atti patrimoniali: diretti a regolare
interessi economici (contratto)
- atti non patrimoniali: diretti a regolare
interessi di natura personale (matrimonio). Gli effetti di
questi atti possono essere patrimoniali
Gli atti non patrimoniali non vanno confusi con gli atti
personalissimi, cioè compiuti direttamente e
personalmente dall’interessato.
Per la funzione si distinguono:
- atti fra vivi, che regolano rapporti tra
viventi
- atti a causa di morte, che regolano la
successione di diritti e obblighi del defunto (testamento)
Negozio giuridico
E’ una definizione simile per ampiezza e significato a
quella di atto di autonomia. Negozio giuridico è
definito come una manifestazione di volontà diretta a
costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici.
La nozione di negozio è quindi utile per:
- individuare e raccogliere in una sola categoria i
diversi strumenti dell’autonomia negoziale
- riconoscere una certa omogeneità di problemi nel
campo degli atti di autonomia, sfruttando
l’interpretazione sistematica e l’analogia per
risolverli
Efficacia e validità degli atti
giuridici
Nel caso dell’illecito, l’atto che cagiona il danno è
preso in considerazione come condizione per ascrivere al
danneggiante una responsabilità. Nello schema
dell’art. 2043 si tracciano gli elementi per identificare un
illecito: il fatto illecito deve essere stato commesso
con dolo o colpa da un soggetto capace di intendere e di
volere ed abbia causato in modo diretto e immediato un
danno ingiusto.
Nel campo degli atti di autonomia il discorso è più
complesso, ad esempio l’art. 1325 in tema di contratto
stabilisce i requisiti affinché un contratto sia
valido, cioè sia in grado di produrre i suoi effetti giuridici.
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Un atto può essere valido ma inefficace; ad esempio se
chi ha compiuto l’atto non aveva il potere di disporre
dei beni o degli interessi a cui l’atto faceva
riferimento.
Se un atto presenta dei vizi in uno dei requisiti si
dice che è invalido.
Si distinguono gradi diversi di invalidità:
- nullità: mancanza di un requisito essenziale
o illiceità dell’atto
- annullabilità: vizio di uno dei requisiti che
permette di ottenere una sentenza di annullamento che
toglie di mezzo l’atto in modo retroattivo. L’atto
annullabile è efficace fino all’annullamento.
Legittimazione
Si chiama legittimazione il potere di compiere
efficacemente un atto giuridico con riguardo a un determinato
rapporto. Un atto giuridico è efficace solo se
compiuto da un soggetto legittimato a compierlo. Se vendo una
cosa che non è mia, il compratore non acquista la
proprietà, perché io non sono legittimato a vendere.
Rappresentanza
E’ una fonte particolare di legittimazione. E’ il
potere conferito ad un soggetto (rappresentante) di compiere
atti giuridici che producano direttamente i loro
effetti nei confronti di un altro soggetto (rappresentato).
L’art. 1387 distingue la rappresentanza volontaria (conferita
dall’interessato) e la rappresentanza legale
(conferita dalla legge). Lo stesso articolo regola
anche la procura, che è l’atto mediante il quale una persona
conferisce il potere di rappresentanza ad un’altra.
La procura è un atto unilaterale, diretto ai terzi. Il
rappresentante ha dei doveri: se usa la procura deve
comportarsi in modo da fare gli interessi del
rappresentato.
Quando il sostituto ha solo il potere di trasmettere
una dichiarazione dell’interessato si chiama messo. Il
rappresentante invece è colui che ha qualche margine
di discrezione nel concludere il contratto.
Si usa dire che il rappresentante è la parte
formale dell’atto (è sua la dichiarazione di volontà), mentre il
rappresentato è la parte sostanziale (titolare
dei rapporti regolati dall’atto o destinatario degli effetti).
Si usa distinguere (con linguaggio improprio) tra:
- rappresentanza diretta: quando un soggetto ha
potere di agire in nome e per conto di un altro
- rappresentanza indiretta: quando un soggetto
agisce per conto di altri ma in nome proprio. L’atto
compiuto ha effetti immediati nella sfera del
rappresentante indiretto e non in capo all’interessato, il
quale se ne potrà riappropriare in seguito ad un atto
di ritrasferimento.
Si parla di sostituzione in senso stretto quando
la legge conferisce ad un soggetto il potere di agire con
effetti diretti nei confronti di un altro soggetto, ma
non nel suo interesse (curatore fallimentare).
Rappresentanza organica
Si parla di rappresentanza organica quando il potere
attribuito ad un organo consiste nel compiere atti
giuridici in nome e nell’interesse della collettività
o dell’ente. La differenza con la rappresentanza ordinaria è
che nella organica c’è un solo soggetto, l’ente, che
agisce tramite l’organo.
CAPITOLO 6
I SOGGETTI
La determinazione dei soggetti
Nel libro I del Codice civile si distinguono persone
fisiche (esseri umani) da persone giuridiche (enti
pubblici, società ed organizzazioni in genere).
Le persone fisiche sono dotate di capacità
giuridica fin dalla nascita, e cioè l’attitudine ad essere titolari di
diritti e obblighi (art. 1). L’articolo 2 definisce la
capacità d’agire, ovvero l’attitudine a compiere
validamente atti giuridici che producano effetti per
l’agente.
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LA PERSONA FISICA
Capacità giuridica
L’art. 1 del C.C. enuncia che la capacità giuridica si
acquista con la nascita; la prova della nascita viene fatta
coincidere tradizionalmente con la prova dell’autonoma
respirazione. L’art. 22 della costituzione dice che
nessuno può essere privato della capacità giuridica.
Capacità giuridica è dunque l’attitudine ad essere
titolari di diritti e obblighi, ovvero di rapporti giuridici.
La situazione dello straniero in Italia prevede
che questo goda di una situazione di reciprocità di diritti con
quelli che il suo paese di origine offrirebbe ad un
italiano, in caso di mancanza di permesso di soggiorno (art.
16 disp.prel.). Nel caso invece vi sia un regolare
permesso di soggiorno vengono riconosciuti tutti i diritti
civili.
Si parla di capacità giuridica speciale quando
si tratta di stabilire se una persona è idonea o meno ad essere
titolare di un determinato tipo di rapporto giuridico.
Ad esempio art. 2 comma 2° fa riferimento all’età
minima per prestare lavoro. Art. 84 e 250 fanno
riferimento all’età minima per contrarre matrimonio e per
riconoscere il proprio figlio naturale.
La legge 29 dicembre 1993, n. 578 disciplina la
materia riguardante la fine della vita umana, secondo il quale
la morte si identifica con la cessazione irreversibile
di tutte le funzioni dell’encefalo (morte celebrale)
Se per un evento particolare (naufragio, incidente o
terremoto) non è necessario stabilire il momento esatto
della morte, ma un effetto giuridico (come un
testamento) richiede di sapere se Tizio è morto prima di Caio,
si applica la regola della commorienza (art.
4), ovvero tutte le persone si considerano morte nello stesso
momento.
Scomparsa, assenza, dichiarazione di
morte presunta
Sono dettate norme speciali per le persone scomparse
in incidenti aerei, terremoti, naufragi o in guerra.
Non potendo provare che la persona esiste non si può
ad esempio far valere il diritto di eredità (art. 70). Per
quanto riguarda i rapporti che fanno capo allo
scomparso abbiamo tre fasi:
- nella prima e immediata il Tribunale può nominare un
curatore che amministri i beni dello
scomparso (art. 48); il titolare del patrimonio rimane
la persona scomparsa.
- Dopo due anni si può chiedere la dichiarazione di
assenza (art. 49) che consente l’apertura di un
eventuale testamento, ma non scioglie il matrimonio.
- Dopo dieci anni si può chiedere la dichiarazione
di morte presunta (art. 58 e ss.). Dal punto di
vista patrimoniale la sentenza produce gli stessi
effetti della morte; si verifica l’apertura della
successione.
I luoghi della persona: domicilio,
residenza, dimora
L’argomento è trattato dal Titolo III del Libro I.
L’art. 43 comma 1° regola il domicilio, e lo
definisce come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede
principale dei suoi affari e interessi (non solo di
natura economica, ma anche personale, sociale e politica).
Da questo si distingue il domicilio speciale o
elettivo che viene esplicitamente dichiarato dal soggetto come
domicilio per una serie determinata di affari.
L’incapace di agire ha un domicilio legale: il
minore ha domicilio nel luogo di residenza della famiglia.
Il 2° comma dell’art. 43 dice che la residenza è
il luogo in cui la persona ha dimora abituale. Non definisce
la dimora, per cui si intende il luogo in cui una
persona abita.
La residenza è un fatto giuridico oggetto di
pubblicità nei registri anagrafici.
L’art. 46 dice che per le persone giuridiche si parla
di sede.
Capacità d’agire
L’art. 2 dispone che con la maggiore età si acquista
la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia
stabilita un’età diversa. E’ dunque l’attitudine a compiere
validamente atti giuridici. Un atto compiuto da una
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persona che manca di capacità d’agire non è nullo ma
solo annullabile, finche non è annullato produce i suoi
effetti.
Esistono due tipi di correttivi per abbracciare tutte
le cause che possono influire sulla capacità reale di
provvedere ai propri interessi:
- interdizione, inabilitazione: si prevedono
ipotesi in cui la capacità di agire può essere perduta o
limitata
- si attribuisce una limitata rilevanza alla concreta capacità
di intendere o di volere del soggetto
capace di agire
La sentenza di interdizione (giudiziale) mediante
provvedimento di un giudice priva totalmente una persona
della capacità di agire. Presuppone una permanente
infermità mentale che impedisce al soggetto di
provvedere ai propri interessi (art. 414)
L’interdizione legale invece prevede la privazione della capacità di agire
per gli atti patrimoniali tra vivi per
effetto di una condanna penale (ergastolo o reclusione
superiore a 5 anni)
In entrambi i casi un tutore è responsabile
della rappresentanza legale dell’incapace.
L’inabilitazione pone il soggetto in una
situazione di limitata capacità d’agire, fondata su un infermità
mentale meno grave.
La minore età, a differenza dall’interdizione e
dall’inabilitazione, non è una incapacità dichiarata, ma una
incapacità legale di agire.
L’art. 1389 prevede che mediante procura un soggetto
può attribuire il potere di rappresentanza ad un
incapace legale, purché sia capace di intendere e di
volere.
L’art. 428 dice che è causa d’annullamento degli atti
giuridici l’incapacità di intendere o volere, anche
transitoria (alcool, stupefacenti, infermità mentale,
stato confusionale ecc…), se sussiste al momento in cui
l’atto è compiuto. L’incapacità non è causa
sufficiente: occorre che l’atto sia gravemente pregiudizievole per
l’incapace.
Per incapacità di intendere e di volere si intende
incapacità di capire natura e contenuto dell’atto e di
decidere autonomamente.
La posizione del minore. La potestà
dei genitori.
La posizione del minore è definita dall’art. 316. Il
figlio, fino alla maggiore età, è soggetto alla potestà dei
genitori. La potestà dei genitori comprende:
- diritto-dovere di mantenere, educare ed istruire i
figli (art. 30 cost.) tenendo conto delle loro capacità
ed inclinazioni naturali (art.147)
- potere-dovere di amministrare i beni di cui i figlio
siano titolari (art. 320)
- potere di rappresentanza legale (art. 320)
- usufrutto legale sui beni del figlio, che consente
ai genitori di percepirne i frutti affinché siano
destinati al mantenimento della famiglia. Non sono
soggetti ad usufrutto i beni acquistati dal figlio
con i proventi del proprio lavoro.
L’art 334 afferma che i genitori possono essere
privati del diritto di usufrutto e del potere di rappresentanza
nel caso di mala amministrazione, pur mantenendo la
potestà sui figli.
La potestà si esercita di comune accordo fra i
genitori (Art. 316). In caso di conflitto tra genitori possono
rivolgersi al tribunale per i minorenni; il
giudice cercherà una soluzione concordata, se non ci riesce può
decidere al posto dei genitori o affidare il potere al
genitore che ritiene più idoneo a curare gli interessi del
figlio (art. 316 ultimo comma).
Per decadenza (cioè per effetto di una sentenza
del tribunale per i minorenni) il genitore perde la potestà nei
casi di abuso di potere o violazione di
doveri che rechino grave pregiudizio al figlio (art. 330)
Se entrambi i genitori muoiono o decadono dalla
potestà il minore è soggetto a tutela. I poteri del tutore
sono simili a quelli del genitore, è però soggetto ad
un più intenso controllo da parte del giudice tutelare e del
Tribunale.
Il minore non è del tutto incapace:
Dopo i 15 anni può avere regolare contratto di lavoro
e quindi acquista la capacità di esercitare i diritti e le
azioni che dipendono dal contratto di lavoro
(sciopero, pretendere la retribuzione, agire in giudizio contro
licenziamento ingiustificato…).
Inoltre il minorenne con più di 16 anni e con
l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni può contrarre
matrimonio (art. 84) e può dare il consenso ad essere
riconosciuto da un genitore naturale (art. 250). Nel caso
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del matrimonio si parla di minorenne emancipato (artt.
390 e ss.) ed è capace di compiere tutti gli atti di
ordinaria amministrazione ed è seguito da un curatore
per quelli di straordinaria amministrazione. Se il
minorenne emancipato è autorizzato all’esercizio di
un’impresa commerciale diventa pienamente capace di
agire.
La donna minore ha capacità di interrompere la
gravidanza, purchè ci sia l’assenso di chi esercita la patria
potestà.
Con un procura tacita dei genitori si spiega
perché i figli fanno acquisti, vanno in treno o al cinema: tutti
contratti considerati validi.
Interdizione e inabilitazione
Presupposto all’interdizione giudiziale è
un’abituale infermità di mente tale da rendere l’infermo incapace
di provvedere ai proprio interessi (art. 414). Tale
situazione è accertata dal giudice tramite un esame
all’interdicendo, senza necessità di una perizia
psichiatrica (art 419).
Sono autorizzati a chiedere l’interdizione di un
soggetto il coniuge, i parenti fino a l quarto grado e gli affini
fino al secondo (art 417). Una volta pronunciata
l’interdizione l’incapace – in quanto tale - non può più
richiederne la revoca (art. 429).
La perdita della capacità è totale, con eccezione
della donna interdetta che può richiedere l’interruzione della
gravidanza (con assenso del tutore).
L’attività giuridica dell’interdetto è affidata al
tutore i cui poteri sono determinati dall’art. 424 per la tutela
dei minori. I poteri del tutore non si estendono agli
atti personalissimi come il testamento o atti di diritto
familiare, che quindi rimangono totalmente preclusi
all’interdetto. Gli atti che eccedono l’ordinaria
amministrazione richiedono l’autorizzazione del
giudice tutelare (art. 374), pena l’annullabilità dell’atto.
I provvedimenti che ruotano attorno all’interdizione
sono soggetti a doppia pubblicità:
- iscrizione nel registro delle tutele presso la
cancelleria del tribunale
- annotazione a margine sull’atto di nascita
L’interdizione legale colpisce automaticamente
chiunque sia condannato all’ergastolo o a un periodo di
reclusione superiore a cinque anni. E una misura
punitiva accessoria alla sanzione primaria, anziché
protettiva come nel caso dell’interdizione giudiziale.
L’interdetto legale può sposarsi, riconoscere un
figlio naturale e fare testamento; non è quindi limitato negli
atti di natura personale.
L’inabilitazione ha conseguenze molto meno
pesanti rispetto all’interdizione. Prevede un’infermità di mente
non così grave da richiedere l’interdizione oppure la
patologica prodigalità, l’abuso di sostanze alcoliche o
stupefacenti (ma solo se espongono la famiglia a gravi
pregiudizi economici).
La cecità non è causa di incapacità legale, anche se è
una condizione che può dar luogo all’interdizione o
all’inabilitazione.
L’inabilitato è capace di fare tutti gli atti di
ordinaria amministrazione e gli atti personali (per il testamento
solo se è provvisto di concreta capacità di intendere
e volere). L’inabilitato non è sostituito, ma è assistito da
un curatore che deve dare il suo assenso (art
392).
Procedimenti e mezzi di pubblicità sono analoghi a
quelli visti per l’interdizione.
PERSONE GIURIDICHE E SOGGETTI
COLLETTIVI
Autonomia patrimoniale
Le persone giuridiche godono di autonomia patrimoniale
che ci consente di parlare di beni e debiti della
persona giuridica e beni e debiti dei soci. Si
potranno inoltre instaurare rapporti tra la persona giuridica e i
suoi soci.
Il codice ci vile si occupa delle persone giuridiche
nel libro V (che regola le società) e nel libro I (che regola
quegli enti che non hanno scopo di lucro).
Quindi la prima distinzione tra le organizzazioni
(persone giuridiche e non) avviene in base allo scopo:
- enti a scopo di profitto (organizzazioni profit)
come le società di persone e di capitali
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- enti che non hanno scopo di profitto (organizzazioni
non profit) come le associazioni, le fondazioni,
i comitati, società cooperative
Il secondo criterio di classificazione è tra enti
provvisti di personalità giuridica (associazioni riconosciute,
fondazioni e società di capitali) ed enti non
personificati (associazioni non riconosciute, comitati, società di
persone)
Tipi di persone giuridiche private
Abbiamo tre tipi di persone fisiche private:
- associazioni
- fondazioni
- società (per azioni, in accomandita per azioni e a
responsabilità limitata)
Le associazioni nascono da un accordo tra più persone
e la volontà degli associati rimane determinata (artt.
20 e ss.); le fondazioni nascono da un atto
unilaterale e l’attività dell’istituzione rimane legata al rispetto
della volontà del fondatore (artt. 25 e ss.).
Connotati generali delle persone
giuridiche
In ogni persona giuridica si ritrovano due elementi
costitutivi:
- un elemento materiale
• soggetti: caratterizzate dalla presenza si una pluralità di individui
• patrimonio: la persona giuridica ha sempre una base patrimoniale
• scopo: nell’atto costitutivo è specificato lo scopo a cui l’attività
delle persone e l’impiego dei
mezzi sono diretti. Si distinguono p.g. con scopo di
profitto e senza scopo di profitto.
• organi: l’ordinamento interno segue un modello tipico nelle società, le
quali devono avere certi
organi stabiliti dalla legge
• nome e sede
- un elemento formale: gli elementi materiali non
bastano per considerare le organizzazioni come
persone giuridiche. Per le persone giuridiche del
libro I l’elemento formale è rappresentato
dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche;
per le società (contemplate nel libro V) è
previsto il registro delle imprese (art. 2200) presso
la Camera di commercio. Queste sono inoltre
forme di pubblicità che consentono ai terzi di
conoscere la dotazione patrimoniale, l’identità degli
amministratori ecc…
Persone giuridiche pubbliche
Non si parla solo di Stato o altri enti territoriali
(regioni, province e comuni). L’art. 11 fa riferimento ad altri
enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche per
dire che essi godono dei diritti secondo le leggi del
diritto pubblico. Si differenziano dalle persone
giuridiche private poiché queste si costituiscono tramite un
atto dell’autonomia privata e perseguono interessi
particolari. Gli enti pubblici invece sono costituiti
direttamente dalla legge o da un atto dell’autorità
amministrativa. Hanno uno scopo di carattere pubblico,
devono cioè operare in funzione della collettività.
Negli ultimi anni c’è stata la tendenza a perseguire
fini pubblici con strumenti privatistici, come nei casi di
ENI ed ENEL.
CAPITOLO 7
I BENI
Concetto di bene nel codice civile
Secondo l’art. 810 (titolo I del libro III) sono beni
le cose che possono formare oggetto di diritti. Possiamo
scomporre la definizione in tre parti ed analizzarle:
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a) il bene è una cosa. Nel linguaggio giuridico
si ritiene che la parola “cosa” si riferisca alle realtà
materiali, inteso come tutto ciò che è empiricamente
verificabile e quantificabile. Quindi avremo
senz’altro solidi, liquidi e gas, ma anche le energie
(art. 814) sono beni mobili.
b) Il bene è una cosa che può formare oggetto di
diritti. E quindi non sono beni le cose sulle quali non
può sussistere un diritto; il mare, l’aria e l’acqua
sono cose ma non sono beni, sono cose comuni a
tutti. Le energie naturali sono beni solo se hanno un
valore economico (e quindi se c’è scarsità)
c) Il bene è una cosa che può formare oggetto
di diritti. Ci sono cose che non sono oggetto di diritti, ma
che possono diventarlo. Come il pesce prima della
cattura, o la cosa abbandonata dal proprietario.
Relazioni tra cose
L’art. 817 considera il rapporto di pertinenza di
cosa a cosa. E’ un rapporto in cui si individua una cosa
principale ed un’altra, chiamata pertinenza, che è
destinata in modo durevole al servizio o all’ornamento
della prima.
Il rapporto di pertinenza può essere stabilito tra
beni mobili, tra un bene mobile e uno immobile o tra
immobile e immobile.
La conseguenza più importante del rapporto di
pertinenza è che gli atti e i rapporti che hanno per oggetto la
cosa principale comprendono anche le pertinenze se non
è diversamente disposto (art. 818, 819) (villagarage,
quadro-cornice).
Diverso è il rapporto che si stabilisce fra varie cose
che formano una cosa composta. Eliminando le
pertinenze la cosa principale non perde la sua
identità, mentre l’integrità della cosa composta necessita di
tutti gli elementi essenziali (ruote-automobile,
vele-barca).
Diverse categorie di cose
Nei contratti che trasferiscono la proprietà di beni o
nelle obbligazioni di dare è importante stabilire se si
tratta di cose generiche o specifiche.
- cose generiche: non interessa alle parti
l’identità, ma solo l’appartenenza ad un genere definito da
certi connotati (tipo di cosa, funzione, qualità….) ad
esempio 100 litri di gasolio, 50 magliette blu,
10 pneumatici Pirelli ecc…
- cose specifiche: vengono considerate per la
loro particolare identità. Quel quadro, quel mobile ecc…
Nel rapporto tra un debitore e un creditore di cosa
generica c’è un momento, chiamato individuazione, in
cui viene determinata l’identità della cosa generica,
che diventa quindi specifica.
Il denaro, come da tradizione dei tempi in cui
aveva valore intrinseco, viene considerato una cosa generica.
Abbiamo poi la distinzione fra beni fungibili (sostituibili
l’uno all’altro, come il denaro o le cose prodotte in
serie) e beni infungibili (non sostituibile).
La cosa generica è sempre fungibile, la cosa specifica non è
sempre infungibile (vendo una la coste blu, XL, nuova,
è specifica ma fungibile).
Infine c’è la distinzione fra cose consumabili (il
cui utilizzo ne implica l’estinzione come il carburante o il
cibo) e cose in consumabili (il cui utilizzo
non implica alterazioni, come i gioielli, o ne implica solo il
deterioramento, come un’automobile.)
Cose e valori. Il corpo umano
Una disciplina speciale è riservata alle cose sacre,
al sepolcro e ai ricordi familiari, poiché hanno per
l’uomo un valore che va al di là dell’utilità pratica
ed economica.
Uno statuto ancora più particolare va riservato
al corpo umano. Il corpo farebbe parte degli oggetti di
diritto, ma non sempre è disponibile: l’art. 5 vieta
gli atti di disposizione da cui derivi una lesione
permanente o che siano contrari all’ordine pubblico e
al buon costume. Il sangue e altri organi trapiantabili
da vivi (rene, parti di fegato) non sono
commerciabili, si parla bensì di donazione.
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Oltre le cose
In passato si usava chiamare beni anche l’opera
dell’ingegno che è soggetta ai diritti d’autore o di brevetto;
oggi si parla invece di utilità economiche che
pure possono formare oggetto di diritti.
L’art. 813 dispone che le regole relative ai beni
mobili si applichino a tutti i diritti che non hanno per oggetto
beni immobili,
ad esempio il diritto di credito. Questa nozione più ampia si ritrova nell’art.
2740 che dice che
il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e
futuri, intendendo appunto tutti i cespiti attivi del suo
patrimonio, compresi i crediti.
Beni quindi equivale a sostanze, che è il
termine usato in altre norme, come l’art. 587 sul testamento.
In definitiva si può parlare di beni in due sensi:
- come qualsiasi utilità che può formare oggetto di
diritti (art. 810)
- come ogni diritto che abbia ad oggetto una utilità
economica (art. 813)
Beni immobili e beni mobili
Il legislatore definisce beni immobili con un
breve elenco: il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi,
gli edifici, le costruzioni anche se unite al suolo a
scopo transitorio, e tutto ciò che naturalmente o
artificialmente è incorporato al suolo (art. 812)
I beni mobili sono tutti gli altri beni.
La differenza principale tra i due tipi di beni si
ritrova al momento dell’alienazione; per i beni mobili è
sufficiente possedere il bene per poterlo vendere, per
i beni immobili sono richieste maggiori formalità come
la pubblicità nei registri immobiliari (art. 2643 e
ss.)
Ad alcune categorie di beni mobili, come autoveicoli,
motoveicoli e aerei, si applicano alcune regole tipiche
dei beni immobili. Si parla quindi di beni mobili
registrati. Per la loro circolazione è previsto un sistema di
pubblicità in appositi registri. Tuttavia dove non
specificato si applicano le regole per i beni mobili: la
vendita di un auto non richiede forma scritta.
Le universalità. Il patrimonio
Le universalità di mobili sono una pluralità di cose
che appartengono ad una stessa persona ed hanno
destinazione unitaria (gregge, collezione,
biblioteca…); sono soggette ad alcune norme dei beni immobili.
Tra le universalità si annovera anche l’azienda,
che l’art 2555 definisce come il complesso di beni
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa. In effetti, ai fini del
sequestro, dell’usufrutto e
dell’affitto, l’azienda viene considerata come
un’universalità di mobili.
Il patrimonio del defunto, l’eredità, è considerata
come universalità di diritto. Il patrimonio della persona
vivente non viene considerato come unico oggetto.
I frutti
Gli art. 820 e 821 trattano il tema dei beni
fruttiferi e dei loro frutti.
Abbiamo due tipi di frutti:
- frutti naturali: che provengono direttamente
dalla cosa, che vi concorra o no l’opera dell’uomo
(prodotti agricoli, legna, prodotti delle miniere
ecc…) Per un certo tempo sono parte della cosa, in
seguito diventano cose distinte.
- Frutti civili: corrispettivo (solitamente in
denaro) che ricava da una cosa in cambio del godimento
che si cede ad altri (interessi su somme prestate,
canone di locazione ecc…)
Beni pubblici
I caratteri comuni a tutti i beni pubblici sono:
- di essere di proprietà dello Stato o di altri enti
pubblici
- di essere destinati all’utilità pubblica o a un
pubblico servizio
Un bene di proprietà dello Stato che non ha utilità
pubblica non è un bene pubblico. Un bene di proprietà
privata può avere utilità pubblica.
Tra i beni pubblici distinguiamo:
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- beni demaniali: abbiamo il demanio naturale
(lido del mare, spiaggia, rade e porti, fiumi, torrenti e
laghi) e il demanio artificiale (strade, strade
ferrate, autostrade, aeroporti, immobili di interesse
artistico o archeologico, archivi….) (art. 822)
- beni del patrimonio indisponibile dello
Stato, delle Province e dei Comuni come le foreste, le
miniere, le cose mobili di interesse storico,
archeologico o artistico, le caserme, gli armamenti, la
dotazione della Presidenza della Repubblica, tutti gli
edifici appartenenti agli enti indicati e destinati
ad uffici pubblici.
- Beni del patrimonio disponibile: sono oggetto
di un diritto di proprietà regolato dalle norme
comuni del codice civile.
CAPITOLO 8
LA TUTELA DELLE SITUAZIONI
GIURIDICHE
STRUMENTI DI PUBBLICITA’
Nozioni generali
Caratteristica dei diritti moderni è di tendere ad una
circolazione dei beni semplice e veloce; è per questo che
si sente l’esigenza di un sistema che permetta la
conoscibilità legale dei vari atti e di conoscere la condizione
delle persone coinvolte negli atti. E’ questo lo scopo
del sistema di pubblicità dei fatti e atti giuridici.
Questi mezzi si dividono in tre categorie, in base
alle loro conseguenze giuridiche:
- strumenti di mera pubblicità-notizia.
Strumento per assicurare la conoscibilità legale di determinati
fatti per esigenze di carattere pubblico; non hanno
effetto sull’efficacia dell’atto. Ad esempio la
sentenza di interdizione o inabilitazione viene
annotata a margine dell’atto di nascita con lo scopo di
rendere noto a tutti lo stato di incapacità del
soggetto.
- Strumenti di pubblicità dichiarativa. La
conoscibilità non è fine a se stessa, ma condiziona
l’efficacia dell’atto: gli atti di trasferimento della
proprietà su beni immobili sono immediatamente
efficaci fra le parti, ma sono opponibili a terzi solo
se regolarmente iscritti nei registri immobiliari.
- Strumenti di pubblicità costitutiva. E’ il
grado più forte della pubblicità, poiché l’atto non produce
effetti se non quando è stato reso pubblico. Ad
esempio la concessione di ipoteca diventa efficace
solo con l’iscrizione nei registri immobiliari, o
l’iscrizione al registro delle imprese per una società
Pubblicità immobiliare e forme
analoghe
La trascrizione è lo strumento predisposto per
gli atti relativi all’acquisto della proprietà e di diritti reali sui
beni immobili (artt. 2643 e ss.) e su alcune categorie
di beni mobili (registrati, artt. 2683 e ss.). Consiste nel
riportare il contenuto essenziale dell’atto in
appositi registri rendendolo così legalmente conoscibile.
La trascrizione tende a ridurre i rischi che qualcuno
possa vendere lo stesso immobile a più di un
compratore, garantendo la certezza dell’acquisto. Per
far valere il proprio diritto di proprietà su immobile
non si considera la data dell’acquisto, bensì la data
di trascrizione sul registro (art. 2644).
E’ chiaro però che con la trascrizione non si assegna
la proprietà, ma è solo un modo per risolvere i conflitti
tra i soggetti. L’effetto giuridico della trascrizione
è l’opponibilità degli atti trascritti ai terzi che vantino un
diritto sullo stesso bene in base ad un atto non
trascritto o trascritto in data posteriore.
Secondo l’art. 2657 la trascrizione non si può
eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di
scrittura privata autenticata, con lo scopo che sia legalmente certa la provenienza
dell’atto.
La parte che richiede la trascrizione deve fornire una
nota che indichi gli elementi essenziali del contratto
(identità delle parti, estremi del titolo, identità
del pubblico ufficiale rogante, natura e situazione dei beni).
La certezza dell’acquisto di ha solo sulla base della continuità
delle trascrizioni, cioè di una sequenza
ininterrotta di trascrizioni (art. 2650) che risalga
fino ad un acquisto a titolo originario.
Gli atti soggetti a trascrizione sono elencati
nell’art. 2643 e si tratta degli atti unilaterali, dei contratti e dei
provvedimenti giudiziali con cui:
- si trasferisce la proprietà di beni immobili
- si trasferiscono, si costituiscono, si estinguono
diritti reali limitati
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- si costituiscono rapporti di locazione ultranovennale
- si conferiscono immobili per una durata
ultranovennale in società, associazioni ecc..
- divisioni (art. 2646)
- accettazioni di eredità (art. 2648)
Per la circolazione dei beni mobili registrati è
previsto un sistema analogo alla trascrizione. I registri sono
organizzati su base reale (in base al numero di targa)
e non in base personale come per i registri degli
immobili.
Per alcuni territori annessi all’Italia dopo la prima
guerra mondiale (Bolzano, Trento, Gorizia e Trieste) vige
il sistema tavolare, una forma di pubblicità
costitutiva che prevede l’iscrizione in registri a base reale. E’ un
sistema introdotto dall’impero Austriaco.
LE PROVE
Principio dispositivo e onere della
prova
Il principio dispositivo dice che spetta alle parti
interessate di promuovere la difesa dei propri diritti. Nel
processo civile dove siano coinvolti interessi
particolari non è il giudice a dover ricercare le prove dei fatti
rilevanti per la causa; è interesse di ciascuna parte
dimostrare l’esistenza dei fatti che fondano le sue ragioni.
Quando sono in gioco interessi della generalità tende
a prevalere il processo inquisitorio: il giudice deve
cercare la verità e il compito delle parti può essere
quello di suggerire o di offrire prove (ad esempio il
procedimento per l’interdizione)
La regola sull’onere della prova (art 2697)
dice che chi vuol far valere un diritto in giudizio, ha l’onere di
provare i fatti che ne costituiscono il fondamento,
mentre chi eccepisce che il diritto si è modificato o estinto
deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.
Per facilitare la tutela di un interesse si può
verificare l’inversione dell’onere della prova: ad esempio il
conducente di un auto che abbia causa danni a tenuto a
risarcire il danno se non prova di aver fatto tutto il
possibile per evitarlo (art. 2054)
I mezzi di prova
Non si arriverà mai a dimostrare la certezza assoluta
di un fatto, ma è sufficiente ridurre l’incertezza a
margini di poco rilievo per provare un fatto.
I mezzi di prova si dividono in due categorie:
- prove documentali: se la funzione di prova è
affidata ad un mezzo materiale che serve da
documento di un fatto o di un atto. Sono dette anche precostituite
perché ne è possibile la
predisposizione ai fini di una futura necessità. Per
documento si intende un pezzo di carta, una
fotografia, un cd, una tela (ammessi quindi anche
documenti magnetici ed elettronici)
- prove semplici: prove non precostituite che
possono formarsi in corso di causa come la
testimonianza, il giuramento, la confessione,
l’ispezione, la perizia e diciamo anche la presunzione
semplice (quell’argomentazione con cui il giudice trae
la convinzione da fatti accertati della
sussistenza di altri fatti non direttamente
verificabili)
Il giudice può dare alle prove il valore che ritiene
più giusto (scrittura privata e testimonianza), ma non nel
caso delle prove legali le quali non possono
essere valutate liberamente. E’ il caso dell’atto pubblico, della
confessione e del giuramento, della scrittura privata
autenticata.
Prove documentali
L’atto pubblico è il documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale
autorizzato ad attribuire
all’atto pubblica fede (art. 2699). Ne sono esempi il
rogito notarile o il verbale di una commissione
elettorale. L’atto pubblico è piena prova, fino a
querela di falso, della provenienza del documento nonché
delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da
lui compiuti (art. 2700)
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La scrittura privata è un semplice documento
scritto, sottoscritto dalle parti. L’art. 2702 dice che la
scrittura privata fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha
sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è
prodotta ne riconosce la sottoscrizione. Il motivo di questa
regola è dato dal fatto che la sottoscrizione (firma)
è imitabile.
Il telegramma viene trasmesso a distanza e
quindi non è sottoscritto; vale però come una scrittura privata se
l’originale (il modulo) è stato sottoscritto (art.
2705,2706)
Anche i libri contabili degli esercizi
commerciali sono prive di sottoscrizione.
La scrittura privata autenticata consiste in un
documento redatto dalle parti e sottoscritto davanti ad un
pubblico ufficiale il quale attesta che la firma è
autentica. Il documento assume quindi valore legale poiché è
certa l’identità del sottoscrittore e la data di
sottoscrizione. La scrittura non autenticata ma sottoposta a
verificazione assume
lo stesso valore di prova legale.
Il documento sottoscritto con firma digitale ha
la stessa efficacia probatoria della scrittura privata
autenticata (art. 10 comma 3) Ha la stessa funzione
dell’antico sigillo, poiché è sufficiente possedere la
chiave elettronica per apporre la firma digitale.
La prova per testimoni
Consiste nelle dichiarazioni rese al giudice durante
l’interrogatorio del testimone sui fatti di cui egli abbia
avuto diretta conoscenza. Il problema della prova per
testimoni è la sua ammissibilità (art. 2721 e ss.) infatti
il legislatore non la vede di buon occhio, data la sua
deformabilità.
La prova per testimoni è comunque sempre ammessa per i
contratti di vendita internazionale di merci e in
quei casi dove c’è un principio di prova (ad esempio
la ricevuta di un pagamento che fa menzione di un
contratto del quale manca la prova scritta)
Per la transazione (art. 1967) e l’assicurazione (art
1888) non sono ammesse prove per testimoni, ma sono
richieste prove per iscritto.
La prova testimoniale non è mai prova legale: il
giudice ne apprezza liberamente l’attendibilità.
Confessione e giuramento
La confessione è la dichiarazione che una parte
fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli
all’altra parte (art. 2730). Secondo l’art 2733 la
confessione resa in giudizio è prova legale dei fatti dichiarati,
se verte su fatti relativi a diritti disponibili.
L’art 2734 contempla i casi in cui può venire a mancare
l’efficacia della prova legale: se una parte confessa
un fatto che gli è sfavorevole, ma al contempo aggiunge
altri fatti che tolgono efficacia al primo, la
confessione continua a far piena prova a meno che l’altra parte
non contesti la verità. In questo caso la prova legale
viene meno su tutta la confessione.
Il giuramento è l’ultima spiaggia delle prove.
Se una parte non dispone di prove sufficienti può chiedere
all’altra di giurare la loro posizione. E’ il
giuramento decisorio (art. 2736) poiché se l’altra parte giura, vince.
Se si rifiuta di giurare perde. Il giuramento è prova
legale.
Le presunzioni
La presunzione è ammessa solo nei casi in cui è
ammessa la prova testimoniale (Art. 2729 comma 2)
Si parla di presunzione semplice se si valutano
i risultati delle prove certe per trarre delle conclusioni su
altri fatti che non sono certi, ma solo presunti. E’
bene rispettare il criterio della prudenza, poiché il giudice
deve ammettere solo presunzioni fondate su circostanze
gravi, precise e concordanti.
La presunzione è legale se è la legge stessa a
prevedere che un fatto si debba considerare per accaduto senza
necessità di prova. Abbiamo due tipi di presunzione
legale:
- presunzione assoluta: se non ammette prova in
contrario (valutando i giorni, la nascita di un figlio
durante il matrimonio non ammette prove in contrario)
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- presunzione relativa: se è ammessa prova in
contrario; si risolve con l’inversione dell’onere della
prova (si presume che il padre sia il marito madre, si
può però provare il contrario)
Gli atti dello stato civile
Gli atti dello stato civile, di nascita, di
matrimonio e di morte, devono essere registrati nei registri dello
stato civile.
Ciascuno di essi dà prova legale dei fatti documentati.
L’atto dello stato civile funziona come un titolo
dello stato cioè come un elemento necessario per far valere
la condizione che l’atto stesso attesta (soggetto,
figlio, coniuge).
L’altra funzione di questi atti è quella di pubblicità.
LA CERTEZZA NEL TEMPO
Prescrizione
Secondo l’art 2934 ogni diritto si estingue per
prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge.
La prescrizione non opera su tutti i diritti. L’art.
2934 esclude dalla prscrizione:
- diritti indisponibili come i diritti di carattere
personale e personalissimi e alcuni diritti patrimoniali
come il mantenimento
- altri diritti come quello di far valere la nullità
del contratto (art 1422) o il diritto di proprietà (anche
se in realtà non ci sono leggi che dichiarano
imprescrittibile questo diritto)
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui
il diritto può essere fatto valere (2935). L’art 2942
contempla la sospensione del periodo di prescrizione
nel caso in cui il titolare sia impedito ad esercitare il
diritto (militari in guerra e incapaci legali privi di
rappresentante).
La prescrizione si interrompe quando cessa il periodo
di inerzia del titolare (art. 2943) e il periodo di
prescrizione riparte da zero. Il termine ordinario di
prescrizione dei diritti è di dieci anni (2946)
Gli art 2947 e ss. Prevedono una serie di prescrizioni
brevi in cui il termine è ridotto:
- risarcimento derivante da fatto illecito, 5 anni
- risarcimento danni derivanti da circolazione di
veicoli, 2 anni
- crediti per prestazioni periodiche (interessi), 5
anni
- diritti derivanti da contratto di trasporto e
assicurazione, 1 anno
La decadenza
Nella decadenza, a differenza della prescrizione,
l’esigenza di certezza è assoluta: il diritto deve essere
esercitato entro un breve termine altrimenti è
inevitabile la decadenza. Non hanno rilievo nemmeno gli
impedimenti soggettivi che nella prescrizione
giustificano l’inerzia.
LA LITE
Diritto e azione
Il nostro ordinamento prevede la possibilità di far
valere in giudizio il proprio diritto, cioè di proporre al
giudice una domanda che egli debba prendere in
considerazione, tramite un giudizio che si concluda con una
sentenza che dia torto o ragione a chi l’ha avviato:
questa è l’azione. Il potere di agire in giudizio. L’art 100
cod. prod. Civ. dispone che per proporre una
domanda in giudizio è necessario avervi interesse.
Azione, interessi qualificati,
interessi diffusi
L’azione non è uno strumento di tutela dei soli
diritti. Ci sono situazioni in cui è attribuito un potere di
iniziativa ad un soggetto anche se non è titolare di
un diritto specifico, ma che vanta interessi qualificati,
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come nel caso dell’azione di interdizione o
inabilitazione, l’azione per promuovere la decadenza della
potestà dei genitori (110), le opposizioni al
matrimonio (117).
Ci sono casi in cui la legge prevede l’azione da parte
di chiunque vi abbia interesse:
- nullità del contratto (1421)
- simulazione del contratto
- annullamento delle disposizioni testamentarie (624)
Si parla di interessi diffusi l’azione è volta
alla tutela di interessi che fanno capo alla generalità o a
collettività che non si identifichino come soggetti di
diritto.
L’art. 1469 sexies, in materia di contratti del
consumatore, prevede che le associazioni rappresentative dei
consumatori e dei professionisti possano agire in
giudizio contro il professionista che fa uso nei contratti di
clausole vessatorie (azione inibitoria)
La legge 30 luglio 1998, n.281 attribuisce alle
associazioni dei consumatori e degli utenti un generale potere
d’iniziativa giudiziale per la tutela di interessi di
categoria. Le associazioni hanno il potere di chiedere al
giudice di inibire atti e comportamenti lesivi degli
interessi dei consumatori e di ordinare la pubblicazione
del provvedimento su uno o più quotidiani a tiratura
nazionale nel caso in cui la pubblicità del
provvedimento possa contribuire a correggere o ad
eliminare gli effetti delle violazioni accertate.
L’eccezione
Il giudizio civile ha due protagonisti: l’attore, che
esercita l’azione, e il convenuto, che si difende negando la
pretesa dell’attore ovvero sollevando eccezioni.
Per esempio ad una richiesta di rimborso di un prestito io
posso eccepire l’avvenuto pagamento, cioè opporre il
fatto che io ho già pagato.
CAPITOLO 9
I DIRITTI DELLA PERSONA
Personalità e diritti inviolabili
L’art. 2 della costituzione contiene il fondamento di
tutti i rapporti tra la persona, i gruppi sociali e lo Stato:
la repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità….
Si stabilisce una correlazione tra il valore della
personalità individuale e la gamma dei diritti inviolabili
dell’uomo. I diritti inviolabili sono garantiti non
solo guardando all’uomo come singolo ma anche nelle
formazioni sociali come la famiglia, le associazioni
ecc…
L’art 2 della costituzione è perciò la base normativa
di un’ampia gamma di diritti che hanno in comune la
funzione di garantire lo svolgimento della
personalità: i diritti della personalità.
Vita, integrità fisica e salute
Il diritto alla vita è talmente ovvio che non
viene nemmeno menzionato nella nostra costituzione. Nella
legge ordinaria il bene della vita è protetto da norme
penali che sanzionano i delitti contro la vita e
l’incolumità individuale (575 e ss).
La lesione all’integrità fisica è considerata
danno ingiusto e fondamento di responsabilità civile (2043).
L’art 5 vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo se ne consegue una diminuzione permanente
dell’integrità o che siano altresì contrari alla legge
(sperimentazioni mediche, schiavitù, offesa al pudore).
Il diritto alla salute è protetto da norme di
carattere pubblicistico che riguardano la sanità pubblica, l’igiene
e l’ambiente.
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Autodeterminazione, gestione del
proprio corpo, libertà fondamentali
Un esempio di autodeterminazione è la libertà sessuale
(non riconosciuta però sotto i 14 anni) oppure la
possibilità che il paziente rifiuti le cure mediche.
Le basi di questo principio sono ancora l’art 2 e 13 della
costituzione che garantiscono l’inviolabilità della
libertà personale.
Per prelievi e trapianti di organi e tessuti da
cadavere la legge 1 aprile 1999, n.91 disciplina che ogni
cittadino è tenuto a dichiarare la propria volontà in
ordine di donazione dopo il decesso. In caso di mancata
dichiarazione vale il silenzio-assenso.
L’autodeterminazione si articola anche nelle libertà
fondamentali: libertà personale, libertà di circolazione,
di riunione, di associazione, di fede religiosa, di
manifestazione del pensiero (artt 13-21 cost)
Dignità e integrità morale
La dignità della persona è un diritto ampio che
impone sotto diversi aspetti comportamenti di rispetto della
persona. Ne sono esempi il rispetto dei soggetti
vulnerabili come i malati in ospedale, i detenuti in carcere, i
militari nelle caserme ecc… Ma si parla anche del
rispetto dell’autonomia, dell’intimità, del pudore,
dell’onore ecc…
L’integrità morale è un bene oggetto di
tutela penale nei casi di ingiuria e diffamazione, considerati delitti
contro l’onore.
La tutela dell’identità
Vedere pagina 159 e 160
Diritto alla vita privata e alla
riservatezza
La tutela della vita privata e delle riservatezza
consiste nella difesa dell’intimità e al controllo delle
informazioni che
riguardano la nostra persona.
Per il primo punto di vista prevale lo strumento di
tutela del divieto o dell’inibitoria; per le informazioni il
discorso è più complesso.
La convenzione di Strasburgo del 1981, ratificata poi
nel 1989, ebbe effettiva attuazione con la legge 31
dicembre 1996, n.675 intitolata Tutela delle
persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati
personali.
Ecco che al garante (art 30) è affidata l’applicazione della legge. Per trattamento
si intende ogni
operazione che può essere fatta sulle banche dati; dati
personali è inteso come qualsiasi informazione
relativa a persona fisica, giuridica, ente o
associazione. All’interno dei dati personali si delimita il cerchio
più delicato dei dati sensibili (art 22) che
riguarda informazioni concernenti l’origine razziale, adesione a
partiti, convinzioni religiose, stato di salute, vita
sessuale ecc…
Il trattamento dei dati viene autorizzato solo con il
consenso scritto dell’interessato, salvo che si tratti di dati
anonimi a fini statistici o che risultino da pubblici
registri.
Infine colui che cagiona danno ad altri per effetto
del trattamento dei dati personali deve risarcire il danno
stesso (2050) – responsabilità civile –
CAPITOLO 10
UGUAGLIANZA E DIFFERENZE
Status personali
Se con la rivoluzione del 1789 si era visto abolire il
particolarismo giuridico, fatto di diverse giurisdizioni in
base allo status del soggetto (nobile, plebeo, schivo,
uomo libero, commerciante, laico, chierico ecc…) in
questi anni si sta verificando un inversione di
tendenza, anche se in direzione opposta.
Purtroppo l’idea di status si porta dietro il concetto
di privilegio, anche se i codici moderni hanno come
principio base l’uguaglianza di tutti di fronte alla
legge e che la legge è uguale per tutti.
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Il concetto di status oggi non è inteso come
privilegio, bensì come tutela di alcune categorie con l’intento di
giungere all’uguaglianza. Ecco che quindi si distingue
lo status di piccolo imprenditore, di lavoratore
subordinato, di consumatore, di donna in maternità
ecc…
Cittadinanza
L’acquisto dello stato di cittadino è regolato
dalla legge 5 febbraio 1992, n.91
Si è cittadino per nascita:
- dovunque si sia nati, se figli di padre o madre
cittadini
- se nati nel territorio della repubblica da genitori
ignoti o da genitori stranieri (cui la legge dei loro
stati non preveda che il figlio abbia la cittadinanza
dei genitori)
Inoltre si acquista cittadinanza per:
- adozione da parte di cittadino italiano
- matrimonio con cittadino italiano, dopo sei mesi di
residenza in Italia o 3 anni di matrimonio
- concessione con decreto del Presidente della
Repubblica
CAPITOLO 11
IL DIRITTO DI PROPRIETA’
Il contenuto della proprietà:
problemi e fonti normative
Il titolo II del libro III del cod. civ. denominato della
proprietà, si apre con l’art 832: il proprietario ha il
diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno
ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli
obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
Questa definizione, che ha storicamente rappresentato
un cardine dell’ordinamento giuridico, oggi non ha
rango costituzionale. E’ facile capire come sia
differente essere proprietario di una bicicletta o di un palazzo,
non tanto per il valore economico, quanto per le
diverse leggi che regolano la proprietà dei beni in base al
tipo di bene. Anche l’identità del proprietario
influisce sui poteri che questo ha sull’oggetto di cui è
proprietario:
l’incapace legale (interdetto o minorenne) non ha
facoltà di libero godimento o potere di libera disposizione
del bene; se la proprietà è in capo ad un gruppo o a
una persona giuridica le prerogative dei singoli individui
si allontanano da quelle del singolo proprietario.
La proprietà privata nel codice
civile
L’art. 832 si concentra nei concetti di godere,
disporre, piena ed esclusiva.
Godere significa
trarre utilità della cosa sia con l’uso diretto, sia ricavandone i frutti. Disporre
si intende in
senso materiale e in senso giuridico (vendere, donare,
costituire diritti altrui ecc..). Entrambe le prerogative
spettano al proprietario in modo pieno, cioè
completo. Anche se in realtà ci sono norme che ne stabiliscono
dei limiti. Esclusivo nel senso che il
proprietario ha il diritto di escludere gli altri.
L’art. 833 vieta gli atti emulativi, ovvero
atti con il solo scopo di nuocere agli altri. In realtà basta una
minima utilità dell’atto per chi lo compie a renderlo
lecito.
La proprietà è un diritto perpetuo a cui non si
applica la prescrizione.
La proprietà fondiaria
La proprietà immobiliare ha un’evidente importanza
economica e giuridica. L’utilizzo di un bene immobile
può incidere sugli interessi individuali di altri
proprietari confinanti e sugli interessi della collettività. Ecco
che quindi l’art. 845 ha un carattere costituzionale: la
proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per
il conseguimento di scopi di pubblico interesse.
Non si fa distinzione tra interesse pubblico e privato
poiché l’art.873 ad esempio stabilisce che si deve
rispettare una distanza minima tra un edificio e
l’altro, difendendo l’interesse del vicino (non gli possono
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costruire troppo vicino alla sua proprietà) e
l’interesse della collettività (non si creano intercapedini troppo
strette fra gli edifici). Abbiamo quindi le norme che
tendono a risolvere i rapporti di vicinato e le norme
che riguardano l’urbanistica e la proprietà
agricola. Le prime sono rivolte alla tutela dei diritti dei
proprietari e più in particolare ai residenti, le
secondo alla tutela di interessi pubblici.
La proprietà del suolo è disciplinata dall’art.
840 e considera di proprietà tutti gli oggetti di diritto che
presentano una utilità per il titolare: la proprietà
si estende al sottosuolo e allo spazio sovrastante, ma il
diritto di escludere attività altrui cessa quando la
profondità o l’altezza sono tali che manca l’interesse ad
escludere. Non posso oppormi al transito di aerei a
quota di volo, ma posso oppormi al transito di aerei a
bassa quota in fase di atterraggio, poiché provocano
rumore e vibrazioni intollerabili.
Il diritto di godere e di escludere viene a mancare
anche nei casi di miniere, cave, reperti archeologici ecc..
Uno dei poteri caratteristici del proprietario è
quello di vietare l’accesso al fondo. L’art 841 prevede che si
possa chiudere il fondo in qualsiasi momento.
L’accesso deve essere consentito al vicino per costruire o
riparare nella sua proprietà o a colui che deve
recuperare un oggetto che vi si trovi accidentalmente.
Rapporti di vicinato
I limiti di vicinato sono:
- automatici (nascono direttamente dall’esistenza di
un vicino)
- reciproci (quel che vale per uno vale anche per
l’altro)
- gratuiti (non c’è compenso dato che non esiste
squilibrio di vantaggi)
Il divieto di immissioni (844) è un limite
generale della proprietà fondiaria. La norma vuole risolvere il
problema dei fastidi che si propagano da un fondo
all’altro: immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i
rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni.
Il criterio di equilibrio è la normale tollerabilità, che si adatta
alla condizione dei luoghi (zona residenziale, zona
industriale ecc…)
Per le attività produttive si tiene di conto che non è
possibile eliminare del tutto le immissioni.
Sono legittimati ad agire non solo i proprietari, ma
anche i detentori (inquilini). I rimedi sono l’ordine di
cessare l’abuso, provvedere alle misure necessarie per
ridurre le immissioni e (se vi sono i presupposti) il
risarcimento del danno (ex 2043)
La seconda forma di limiti di vicinato è data dalle
norme sulle distanze nelle costruzioni, piantagioni, scavi,
muri ecc.. (873 e ss)
La distanza minima fra le costruzioni è di 3 metri,
salvo eccezioni dove sono previste distanze maggiori. Il
proprietario che costruisce per primo può farlo anche
sul confine, l’altro o costruisce in aderenza o in
posizione arretrata nel proprio fondo. Se il primo
proprietario non costruisce sul confine, ma una distanza
inferiore alla metà di quella prescritta dal codice,
l’altro ha un diritto potestativo di ottenere la comunione
forzosa del muro (la proprietà della striscia di terra dal confine al muro, di cui dovrà
pagarne il valore).
Se sul muro che fronteggia il fondo vicino si vogliono
aprire delle finestre sono previste delle distanze fra il
muro e il confine. Le finestre si distinguono in vedute
(che permettono di affacciarsi e guardare di fronte,
obliquamente e lateralmente) e luci che danno
solo passaggio a luce e aria (900). La distanza tra vedute e
confine deve essere la metà della distanza prevista
tra le costruzioni.
La violazione delle norme in materia di distanze, luci
e vedute può determinare il diritto del proprietario leso
alla riduzione in pristino (abbattimento della
costruzione, chiusura di pozzi o cisterne, chiusura di vedute o
luci, o opere necessarie a rendere la luce conforme
alla legge) o al risarcimento del danno (azioni
cumulabili).
La proprietà edilizia
Le norme di edilizia sono atte a tutelare uno
sviluppo razionale dell’edilizia come evitare la devastazione
dei paesaggi, la crescita incontrollata delle città,
la scomparsa del verde urbano, la speculazione edilizia, la
confusa mescolanza di aree industriali e residenziali
ecc… Le fonti di queste norme sono:
- codice civile (873 e ss.)
- leggi speciali (norme antisismiche, tutela
ambientale)
- piano regolatore: approvato da comuni e regioni
- regolamenti edilizi comunali (871)
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Il piano regolatore offre una sintesi di tutte
le fonti determinando quali aree possono essere destinate ad
edificazione, quali devono essere mantenute a verde,
quali destinate a servizi pubblici. Inoltre stabilisce le
caratteristiche delle zone edificabili con criteri e
vincoli quali l’altezza, il volume, l’area a giardino ecc…
Per poter edificare sul proprio terreno è necessario
richiedere il permesso di costruire alla pubblica
amministrazione, a meno che non siano opere di
manutenzione ordinaria o alcuni interventi atti ad eliminare
barriere architettoniche.
Inoltre il comune dispone dell’espropriazione delle
aree edificabili, quando l’inerzia del proprietarioostacoi
l’attuazione dei piani di sviluppo.
La proprietà agricola
Lo sfruttamento razionale del suolo e gli equi
rapporti sociali sono alla base della normativa sulla proprietà
agricola. Il codice civile affronta così l’argomento:
- fissa la minima unità colturale, cioè l’area minima
da non dividere nemmeno in caso di successione
(846 e ss)
- prevede l’obbligo di esecuzione di opere di bonifica
e di difesa fluviale nei terreni che lo richiedono
(art. 857 e ss.) Allo scopo i proprietari si possono riunire in consorzi
(persone giuridiche pubbliche,
857, 868)
Modi di acquisto della proprietà
L’art. 922 elenca i vari modi di acquisto della
proprietà.
I modi di acquisto a titolo derivativo sono i
più frequenti ed importanti e sono:
- contratto (1321 e ss.)
- successione a causa di morte (gran parte del Libro
II)
Esiste una relazione di dipendenza tra il diritto del
dante causa (alienante) e dell’avente causa (acquirente)
per cui:
a) l’avente causa acquista il diritto così com’era in
capo al dante causa
b) se il titolo del dante causa viene meno, viene meno
anche il diritto dell’acquirente.
I modi di acquisto a titolo originario sono:
- occupazione
- invenzione
- accessione
- unione o commistione
- specificazione
- usucapione
- acquisto del possesso di buona di cose mobili
L’occupazione riguarda le cose mobili che non
sono proprietà di alcuno. Si acquistano prendendone
possesso (923). Si parla di cose abbandonate (non
smarrite) o ad esempio di pesci. La selvaggina invece è
parte del patrimonio indisponibile dello Stato e può
essere acquistata dal cacciatore solo nel rispetto delle
norme sulla caccia.
Se un immobile viene abbandonato questo diventa
proprietà dello stato (827).
Invenzione riguarda
le cose mobili smarrite. Chi le trova ha il dovere di restituirle al
proprietario o di
consegnarle al sindaco (all’ufficio comunale delegato)
(927). Dal ritrovamento può derivare o l’acquisto
della proprietà (dopo un anno) o il diritto ad un
premio se il proprietario si presenta a reclamare la cosa.
Nel caso di ritrovamento di un tesoro (cosa mobile di
valore, nascosta o sotterrata di cui nessuno può
provarne la proprietà) questo spetta per metà al
trovatore e per metà al proprietario del fondo in cui è stato
trovato (932).
L’accessione si verifica tra una cosa mobile e
una immobile. E’ come se il bene mobile venisse attratto dal
bene immobile (per gravità) cosicché il proprietario
del bene principale diventa proprietario di un tutto. Le
piante e i materiali da costruzione sono attratti
nella proprietà del suolo (934).
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L’art. 938 prevede il caso di accessione invertita:
ovvero se il costruttore, iniziata la costruzione sul suolo di
sua proprietà, costruisce erroneamente anche in parte
sul fondo altrui può chiedere al giudice di trasferire il
diritto di proprietà sulla superficie occupata,
corrispondendo un pagamento al proprietario del doppio del
valore nominale.
Altre forme di accessione di immobile a immobile si
possono avere in seguito a mutamenti spontanei della
conformazione territoriale (alluvioni, deviazioni di
corsi d’acqua ecc…) (941)
Si parla di unione o commistione tra cose
mobili (939) cioè di mescolanza di cose che non possono poi
essere separate senza deterioramento. E’ importante
vedere se c’è una cosa principale o molto superiore di
valore: in questo caso il proprietario della cosa
principale acquista la proprietà del tutto (qualcuno vernicia la
macchina di un altro) e deve pagare il valore della
cosa unita o mescolata; se non c’è cosa principale la
proprietà diventa comune in proporzione al valore
delle cose unite (939) (unione di due vini)
Anche la specificazione è una forma di
accessione di mobile a mobile. Una persona adopera materiale non
suo per formare una cosa nuova (con legname non mio
costruisco un tavolo). Il lavoro prevale sulla proprietà
dei materiali: chi ha compiuto l’opera diventa il
proprietario della cosa nuova, e dovrà pagare i materiali. Se
il valore della cosa supera di molto il valore della
mano d’opera la cosa spetta al proprietario della materia,
il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera (940)
Usucapione e
acquisto del possesso di buona fede di cosa mobile – vedi il capitolo 14
sul possesso.
Un altro modo per acquisire la proprietà è esercitando
il diritto di riscatto, cioè il diritto riconosciuto ad un
soggetto di acquistare o riacquistare la proprietà di
una cosa mediante una dichiarazione unilaterale di
volontà. E’ un diritto potestativo in cui il
precedente proprietario si trova in posizione di pura soggezione. Si
distinguono due fonti del diritto:
- contrattuale: diritto spettante al venditore in caso
di vendita con patto di riscatto
- legale: è il caso del diritto di prelazione in
cui è riconosciuto ad un soggetto il diritto di
essere preferito ad altri acquirenti in caso di
alienazione di un bene (coltivatore diretto di
fondo agricolo, coerede)
Modi di acquisto della proprietà
pubblica
Innanzitutto l’acquisizione di beni al patrimonio
dello Stato può avvenire secondo le norme di diritto
comune: lo Stato e gli altri enti possono comperare
beni sul mercato.
In altri casi prevale l’autorità dello Stato. E’
prevista quindi l’espropriazione per motivi di interesse
generale. L’art 834 statuisce:
a) la necessità di una causa di pubblico interesse
b) il pagamento di una giusta indennità
Il d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico in
materia di espropriazione) determina i presupposti di pubblica
utilità e l’indennizzo.
La costituzione stabilisce che solo attraverso una
legge formale si possano stabilire le cause di
espropriazione (principio di legalità
dell’espropriazione), e quindi vale nei casi in cui il proprietario abbia
abbandonato la conservazione o la coltivazione di beni
che interessano la produzione nazionale, o il caso in
cui lasci a deperimento un bene nocendo al decoro
della città ecc….
L’art 835 prevede in caso di urgenti necessità pubbliche,
militari o civili (terremoti) la requisizione di beni
mobili e immobili, sottraendo temporaneamente al
proprietario il godimento e la disponibilità della cosa.
Anche qui è prevista una giusta indennità
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CAPITOLO 12
I DIRITTI SU COSA ALTRUI
I diritti reali “limitati”
Sono diritti esercitati su cose che appartengono ad
altri e presuppongono una limitazione dei poteri del
proprietario. Al proprietario permangono soltanto
alcune facoltà come il potere di disposizione, mentre il
potere di godimento risulta limitato. Si ha per così
dire una scomposizione del contenuto della proprietà nella
varie facoltà di cui è costituita con attribuzione di
talune di esse a soggetti diversi dal proprietario.
In forza del carattere dell’elasticità, una
volta in cui il diritto altrui viene meno, il contenuto del diritto di
proprietà riprende automaticamente la primitiva
ampiezza.
Si distinguono i diritti reali di godimento dai
diritti reali di garanzia.
GODIMENTO GARANZIA
- usufrutto
- uso
- abitazione
- superficie
- enfiteusi
- servitù
- pegno
- ipoteca
Sono detti di godimento perché assicurano in varia
misura l’utilizzazione della cosa da parte del
titolare
del diritto limitato.
Assicurano al creditore pignoratizio o ipotecario la
possibilità di soddisfarsi sul bene a preferenza di
altri creditori.
Da non dimenticare gli usi civici, diritti che
spettano ai membri di comunità locali, che garantiscono il
godimento limitato di proprietà altrui, come il
diritto di raccogliere legna nel bosco pubblico, il diritto di
pascolo in un comune montano, o il diritto di
raccogliere tartufi.
Usufrutto, uso, abitazione
L’usufruttuario ha il diritto di godere della
cosa e può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare
(981). Per poter realizzare il godimento l’usufruttuario
ha il diritto di possedere la cosa. L’usufruttuario ha di
regola (se non escluso dall’atto costitutivo) il
potere di disporre del proprio diritto (980).
L’usufruttuario non può cambiare la destinazione
economica della cosa (981), ma può apportarvi delle
migliorie (985) avendo in tal caso diritto ad un
indennizzo da parte del proprietario (pari alla somma minore
tra quanto ha speso l’usufruttuario e l’aumento di
valore della cosa)
Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili (impianti
di riscaldamento…) l’us ha il diritto di servirsene e può
restituirle nello stato in cui si trovano (996).
Si parla di quasi-usufrutto se sono ad oggetto
cose consumabili (denaro, alimenti ecc…). L’us ha il diritto
di servirsi delle cose dovendone poi pagare il valore al
termine dell’usufrutto (è come se ne acquistasse la
proprietà).
Tra gli obblighi dell’us troviamo:
- restituire la cosa alla cessazione del diritto
- usare la diligenza del buon padre di famiglia
(diligenza media) nel godimento (1001)
- fare l’inventario e prestare garanzia (1002)
- pagare le spese per l’ordinaria manutenzione e
amministrazione della cosa
- pagare le imposte, canoni, rendite e tutti i pesi
che gravano sul reddito
Durante l’usufrutto il proprietario viene detto nudo
proprietario poiché non ha la facoltà di godere, ma
conserva il potere di disporre della nuda proprietà
(tanto più è vicina la fine dell’usufrutto tanto più varrà la
nuda proprietà).
L’usufrutto nasce per volontà privata (contratto,
testamento), per usucapione o per legge (978) ed è
caratterizzato da durata limitata: non può eccedere la
vita dell’usufruttuario (980) o essere superiore a 30
anni se in capo a persona giuridica. I casi di
estinzione (1014) sono:
- prescrizione, 20 anni
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- riunione di usufrutto e proprietà nella stessa
persona (confusione)
- totale perimento della cosa (se perisce un edificio
l’usufrutto permane sull’area)
- provvedimento del giudice in caso di abuso del
diritto (alienando i beni o deteriorandoli)
L’uso attribuisce al titolare il diritto di
servirsi della cosa e quello di goderne i frutti, ma limitatamente ai
bisogni suoi e della famiglia (1021). L’uso è
personalissimo e non può essere ceduto (come invece può
accadere per l’usufrutto). Si estingue con la morte
dell’usuario. (1024)
Il diritto di abitazione ha un contenuto più
specifico: attribuisce al titolare e alla sua famiglia la facoltà di
abitare nell’immobile in oggetto (1022). Anche questo
diritto è incedibile.
Superficie e proprietà superficiaria
La superficie è il diritto di fare o di mantenere una
costruzione al di sopra o al di sotto del suolo altrui (952-
956). E’ una deroga al principio dell’accessione
immobiliare. La situazione è dunque a due facce: sul suolo
c’è il diritto di superficie che si esaurisce
nella facoltà di edificare; sull’edificio c’è proprietà superficiaria
(cioè piena ma limitata all’edificio e non estesa
all’area).
Enfiteusi
Si realizza quando il proletario di un fondo concede
ad un’altra persona (enfiteuta) il diritto di goderne, con
l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone annuo
in denaro o in natura (958, 960).
L’istituto nasce per risolvere il problema
dell’abbandono dei terreni agricoli, quindi l’obbligo della miglioria
è essenziale. La durata minima è ventennale,
necessaria per poter impiegare lavoro e capitale con prospettiva
di goderne i risultati. C’è anche la possibilità di
concessioni perpetue, anche se molto rare. L’enfiteuta può
disporre del suo diritto per atto tra vivi o per
testamento (965) e ha il diritto di affrancazione, ovvero il
diritto ad acquistare il fondo pagando una somma pari
a 15 volte l’ammontare del canone annuo.
Servitù prediali
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un
fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un
diverso proprietario (1027). La servitù determina
quindi un obbligo a carico del proprietario del fondo
servente e una reciproca pretesa a favore del
proprietario del fondo dominante.
L’obbligo deve essere dell’ordine di non fare
qualcosa o lasciar fare qualcosa (non sopraelevare, lasciar
passare…) (1030).
Anche se la proprietà dei fondi passa ad altri
soggetti le servitù permangono, rappresentando quindi un limite
della proprietà. Il proprietario del fondo dominante
si arricchisce di un vero diritto su cosa altrui.
Prediale indica il doppio legame tra i fondi (peso sul
servente, utilità sul dominante).
I fondi devono essere vicini, ma non necessariamente
confinanti (se acquisto il diritto di attingere acqua da
una sorgente con una condotta, saranno gravati di
servitù tutti i fondi che stanno tra il mio e la sorgente).
L’art 1031 dice che le servitù prediali si possono
costituire in 4 modi:
- coattivamente
- volontariamente (contratto o testamento)
- per usucapione, 20 anni
- per destinazione del padre di famiglia
Ecco che si distinguono quindi servitù coattive e
servitù volontarie.
Le servitù coattive sono elencate dall’art 1032
e prevedono una serie di situazioni in cui la piena
utilizzazione di un fondo esige che sia imposto
un peso ad altri fondi, per esempio per condurre acqua,
elettricità, o per mettere di accedervi (passo). La
parola coattivo significa che la situazione prevista crea il
diritto di ottenere la servitù, che dovrà poi essere
ottenuta per contratto con il proprietario del fondo che sarà
il servente, o per sentenza di un giudice se questi si
rifiutasse di concedere la servitù.
I limiti di vicinato sono reciproci, automatici e
gratuiti, le servitù legali sono unilaterali, nascono per
contratto o per sentenza, e suppongono un’indennità.
Le servitù volontarie sono quelle servitù la
cui costituzione non è obbligatoria.
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Un modo di costituzione della servitù è per destinazione
del padre di famiglia. Il padre non c’entra nulla,
se non nei ricordi dell’antichità. E’ il caso di un
fondo unico che viene poi diviso: elementi prima comuni
(come sorgenti) diventano oggetto di servitù.
I modi di estinzione delle servitù sono per confusione
(1072) e per prescrizione in caso di non uso
prolungato per 20 anni.
CAPITOLO 13
LA COMUNIONE
La comunione
Le norme dedicate alla comunione regolano le
situazioni in cui la proprietà o altro diritto reale spetta in
comune a più persone (1100)-
Comunione equivale
a con titolarità di un diritto reale (comproprietà, cousufrutto, cosuperficie)
o di un
diritto di credito o riguardo a diritti di beni
immateriali (co-autori o co-inventori).
Si distinguono quattro possibili origini alla
situazione di comunione:
- comunione volontaria
- comunione incidentale: si attua indipendentemente
dalla volontà delle parti (comunione tra
gli eredi)
- comunione forzosa: imposta dalla legge (comunione
del muro, nel condominio delle parti
comuni)
- comunione legale fra coniugi, riguarda i beni
acquistati dopo il matrimonio (159 e ss).
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune,
purchè non alteri la destinazione e impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto (1102). Ciascun partecipante inoltre può disporre
della sua quota, cioè una frazione ideale,
matematica, dell’intero, e chiedere in ogni momento lo
scioglimento della
comunione (1111). Se gli altri non acconsentono la domanda va rivolta al
giudice che
procederà alla divisione. Non si può chiedere lo
scioglimento quando si tratta di cose che, se divise,
cesserebbero la loro utilità (1112).
Per poter disporre sulla cosa comune è necessario il
consenso di tutti i partecipanti all’unanimità. Per
l’amministrazione del bene comune prevale
invece il principio della maggioranza: per l’ordinaria
amministrazione a maggioranza semplice calcolata in
base al valore delle quote, per la straordinaria
amministrazione con la maggioranza dei due terzi.
Potere della maggioranza semplice è di stabilire il
regolamento per l’ordinaria amministrazione e delegare
l’amministrazione ad un partecipante o ad un estraneo
Il condominio degli edifici
E’ una particolare forma di proprietà degli edifici
che combina la proprietà piani o porzioni di piano alla
comunione forzosa della parti comuni (1117). Per parti
comuni si intendono le parti dell’edificio necessarie
all’uso comune: scale, ascensore, impianti, muri
maestri, suolo, portineria, cortili, tetti, fondazioni ecc… La
quota di parte comune può essere ceduta solo insieme
alla proprietà esclusiva del piano o della porzione di
piano. L’amministrazione è regolata in modo
dettagliato dall’art. 1120 e ss.:
- atti di ordinaria amministrazione: la delibera
richiede un numero di voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del
valore dell’edificio
- atti di straordinaria amministrazione: due terzi dei
condomini per la validità dell’assemblea e
la maggioranza per l’approvazione degli atti
- innovazioni: due terzi dei condomini per la validità
dell’assemblea e una maggioranza
qualificata (oltre la metà dei condomini, ma i due
terzi del valore) per l’approvazione degli
atti
Se i condomini sono più di 4 si deve nominare un
amministratore; se sono più di 10 si deve formare un
regolamento.
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La multiproprietà
Un immobile viene venduto con atti separati ad una
pluralità di acquirenti. Il contratto prevede che ciascun
acquirente abbia il diritto ad una utilizzazione
esclusiva dell’unità prescelta solo per un determinato periodo
di tempo.
Si parla di multiproprietà azionaria quando
l’immobile in questione è di proprietà di una S.p.A. e il
multiproprietario acquista solo la posizione di socio
azionista nella società, posizione caratterizzata da un
diritto d’uso esclusivo, per il turno stabilito, del
bene oggetto di proprietà sociale.
La multiproprietà alberghiera si ha nei casi in
cui il godimento turnario del bene (stanza, cottage,
bungalow) sia assicurato attraverso la cooperazione di
un gestore cui l’acquirente si lega con un contratto
misto.
CAPITOLO 14
IL POSSESSO
Nozione di possesso
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in
un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o
di altro diritto reale (1140). Nella fattispecie non è
indicato se il potere sulla cosa sia esercitato in modo
lecito o meno; la parola potere non indica una
situazione giuridica di potere per cui il soggetto è legittimato a
compiere certi atti. Indica invece il controllo di
fatto che il possessore ha sulla cosa.
Si può parlare di possesso non solo in relazione
all’esercizio della proprietà, ma anche ad altri diritti reali
come l’usufrutto, la comunione, la servitù.
I requisiti del possesso. La
detenzione
Si ritiene che per aver possesso di una cosa debbano
ricorrere due elementi:
- un elemento materiale, consistente nell’avere la
disponibilità materiale della cosa
- un elemento psicologico, che si concreta
nell0intenzione di tenere la cosa quale titolare del diritto
La mancanza dell’elemento psicologico dà luogo alla detenzione,
ovvero la semplice disponibilità materiale
della cosa sulla quale si riconosce il diritto di
altri.
Sulla base dell’elemento psicologico è possibile distinguere
tra possesso di buona fede, quando il
possessore ignora senza colpa grave di ledere il
diritto altrui (1147), e possesso di mala fede quando il
possessore sa di ledere l’altrui diritto oppure ignora
per colpa grave (incauto acquisto di cose che per la loro
qualità o per il prezzo, si abbia motivo di sospettare
che provengano da reato).
La buona fede del possesso viene presunta dalla legge,
quindi il possessore è sempre considerato in buona
fede. Starà a chi vi ha interesse l’onere di
dimostrare la mala fede.
L’acquisto del possesso
Il possesso si acquista in modo originario per apprensione
(impossessamento d’iniziativa di chi diviene
possessore) e in modo traslativo per consegna,
che può essere anche simbolica (consegna delle chiavi, dei
documenti ecc…)
Il possesso attuale non fa presumere il possesso
anteriore; il possesso remoto fa presumere il possesso
intermedio (1142); se una persona possiede in base ad
un titolo (compravendita) si presume il possesso dalla
data del titolo.
Gli effetti sostanziali del possesso
L’art. 1153 stabilisce che la persona a cui è alienato
un bene mobile non registrato ne diventi proprietaria,
anche se l’alienante non era proprietario della cosa,
purché vi sia stato acquisto del possesso in buona fede.
La regola non si applica alle universalità e ai beni
mobili registrati (1156).
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Effetto del possesso prolungato nel tempo è l’usucapione,
che vede premiata l’attiva utilizzazione delle cose
facendo poi coincidere una situazione di diritto con
una situazione di fatto consolidata nel tempo. E’
sufficiente che il possesso sia pacifico e pubblico
(non acquistato in modo violento o clandestino); deve
essere continuato e non deve essere stato
interrotto dal proprietario o da terzi che ne abbiano privato il
possesso per oltre un anno (1167).
Tutti i diritti reali a titolo di cui si può
esercitare il possesso possono essere acquistati per usucapione.
Il termine ordinario di usucapione è di 20 anni sia
per gli immobili, sia per l’universalità di mobili, sia per i
beni mobili.
Il termine si riduce a 10 anni per i beni mobili se
c’è buona fede, la trascrizione dell’atto e un titolo idoneo a
trasferire la proprietà. Con gli stessi requisiti si
riduce a 3 anni per i beni mobili registrati (1162). Termini
più brevi valgono per la piccola proprietà rurale
(1159-bis)
Il decorso del termine può essere sospeso o interrotto
per le stesse cause che valgono per la prescrizione.
CAPITOLO 15
TUTELA DELLA PROPRIETA’ E DEL
POSSESSO
Azioni petitorie
Le azioni petitorie sono le azioni con sui si fanno
valere proprietà e diritti reali limitati in giudizio. Le azioni
personali sono invece a disposizione dei titolari di
diritti relativi, che possono chiamare in giudizio solo la
persona obbligata, e non si possono far valere verso
tutti.
Azioni a difesa della proprietà
La prima azione a tutela del diritto di proprietà è la
rivendicazione (948). Si chiede la consegna o la
restituzione del possesso, che il proprietario ha
perduto o non ha mai avuto. L’azione si rivolge contro
chiunque tiene presso di sé la cosa.
Chi agisce in rivendicazione deve dare prova di essere
proprietario, secondo la regola generale sull’onere
della prova che impone a chiunque vuol far valere un
diritto in giudizio di provare i fatti che ne sono a
fondamento.
La prova della proprietà è considerata
diabolicamente difficile; infatti sarà necessario risalire a tutti i vari
passaggi di proprietà fino ad un titolo d’acquisto a
titolo originario. Ma se il proprietario ha interesse solo
alla restituzione della cosa e non anche all’accertamento
del suo diritto di proprietà, può ricorrere ad azioni
dove non è richiesta la prova della proprietà. Si
parla quindi di azioni possessorie o all’azione che deriva da
un contratto per il quale egli abbia diritto alla
restituzione o alla consegna (compravendita, comodato,
deposito).
Come il diritto di proprietà, neanche l’azione di
rivendicazione è prescrittibile.
L’azione negatoria è diretta a far dichiarare
l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa, quando il
proprietario ha motivo di temerne pregiudizio (949).
Le ultime due azioni riguardano il problema dei
confini:
Azione di regolamento dei confini (950): si può chiedere che un confine sia stabilito
giudizialmente nel
caso questo sia incerto o contestato. L’azione spetta
ad entrambi i proprietari e quindi i ruoli di attore e
convenuto sono intercambiabili: per questo non valgono
le regole sull’onere della prova. Se le prove fornite
non sono sufficienti a fare chiarezza il giudice può
decidere in base alle mappe catastali, che normalmente
non costituirebbero un mezzo di prova.
Apposizione di termini (951): se le parti non si accordano per mettere i
segni di delimitazione dei fondi (i
confini sono quindi definiti), ciascuno dei
proprietari può richiedere che i termini siano collocati a spese
comuni.
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Azioni a difesa dei diritti limitati
L’art. 1079 elenca le azioni a disposizione del
titolare di una servitù, il quale può:
- farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi
ne contesta l’esercizio (confessoria)
- far cessare le turbative e gli impedimenti
- chiedere la rimessione in pristino, cioè che sia
ricostituito lo stato di cose preesistente alle
turbative
- il risarcimento dei danni
Per gli altri diritti su cosa altrui non è prevista
un’eguale azione, si applica però per analogia la norma
relativa all’azione confessoria (che è in realtà
l’immagine speculare dell’azione negatoria, dove il
proprietario vuole far dichiarare l’inesistenza di un
diritto limitato, mentre in questo caso è il titolare di un
diritto reale su cosa altrui a farne dichiarare
l’esistenza).
Azioni possessorie
Si distinguono due gradi diversi di protezione del
possesso:
a) qualunque possessore (in buona o mala fede)
è protetto contro lo spoglio, cioè la privazione violenta
o clandestina del possesso; egli può chiedere al
giudice, entro un anno dallo spoglio, di essere
reintegrato nel possesso (reintegrazione,
1168). Se un ladro è entrato in possesso di una cosa
mediante un furto, e il proprietario tollera la
situazione per un anno, perde la possibilità di agire in
reintegrazione; se decidesse di rubare a sua volta la
cosa, sarebbe il ladro a questo punto a poter
agire reintegrazione perché ha subito lo spoglio.
Nella situazione possessoria ha ragione il ladro, il
proprietario dovrà fare un’azione petitoria per
rivendicare la proprietà della cosa.
b) L’azione di manutenzione (1170) protegge il
possessore dalle molestie e dalla privazione del
possesso non violenta né clandestina (una persona a
cui si è concesso gratuitamente l’uso di un
appartamento e non se ne vuole andare). L’azione può
essere esperita solo entro un anno dalla
turbativa e il possesso deve avere i requisiti già
visti per l’usucapione.
Azioni di nunciazione
Queste due azioni spettano sia al possessore che al
proprietario, o titolare di altro diritto reale.
La denunzia di nuova opera può essere esperita
quando si ha ragione di temere che una nuova opera
(costruzione, scavo ecc) intrapresa sul fondo altrui,
possa derivare come diretta conseguenza un danno alla
propria cosa. L’opera non deve essere terminata
(1171).
La denunzia di danno temuto si riferisce al
pericolo di un danno grave e prossimo, ma derivante da uno
stato di cose già esistente, cioè da un edificio,
albero o altra cosa siti nel fondo altrui (1172)
CAPITOLO 16
L’OBBLIGAZIONE
Il rapporto obbligatorio e le sue
fonti.
La parola obbligazione indica un rapporto tra
un debitore ed un creditore; il primo obbligato verso il
secondo a dare o fare o non fare qualcosa: in sintesi
ad una prestazione suscettibile di valutazione
economica.
L’art. 1173 indica le fonti delle obbligazioni:
contratto, fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a
produrle in conformità dell’ordinamento giuridico
(testamento, matrimonio, filiazione, provvedimenti del
giudice.
Tutte le obbligazioni nascono da un titolo, cioè da un
fatto o da un atto a ciò idoneo secondo la legge.
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La prestazione
Il codice civile non dà una definizione di
obbligazione ma stabilisce i caratteri essenziali della prestazione
che forma oggetto dell’obbligazione, dicendo che deve
essere suscettibile di valutazione economica e deve
corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale,
del creditore (1174).
Analizzando i contenuti della prestazione si
distinguono obbligazioni di dare, di fare e di non fare.
L’obbligazione di dare è quella in cui il
debitore è tenuto alla consegna di una cosa specifica o di un certo
numero di cose determinate solo nel genere. Il dare
non va inteso solo in senso materiale, ma anche come
trasferimento della proprietà.
Obbligazione di fare è quella in cui il
debitore è tenuto a svolgere un’attività, il cui compimento soddisfa un
interesse del creditore. La stessa obbligazione di
dare comprende un obbligazione di fare, cioè di custodire
la cosa (1177).
Le obbligazioni di non fare richiedono al
debitore una omissione, cioè di astenersi da un’attività. Si tratta
quindi di un divieto.
La prestazione deve essere suscettibile di valutazione
economica, cioè deve essere possibile determinarne un
corrispondente valore in denaro (valore di mercato
oppure rilevanza economica nel rapporto tra debitore e
creditore). Quel che conta è che la prestazione sia
caratterizzata da un indice di patrimonialità, anche se
l’interesse da soddisfare può essere non patrimoniale.
Rapporto tra debitore e creditore
Il creditore non è il soggetto più forte in senso
assoluto. Il nostro sistema tende a tutelare il creditore perché
un sistema dove il credito è sicuro permette una
miglior circolazione delle ricchezze. In questo senso il
creditore è più forte del debitore, a patto che
si sia cautelato della solvibilità del debitore e delle garanzie del
credito.
L’art. 1175 impone a entrambe le parti un dovere di
correttezza che assume contenuti diversi per il debitore
e per il creditore. Il debitore deve usare una media
diligenza nell’adempiere l’obbligazione (1176); il
creditore ha un dovere di collaborazione col debitore
perché questi possa adempiere e usare ordinaria
diligenza in caso di adempimento.
Correttezza e buona fede
Tutti i rapporti di obbligazione sono governati dalla
regola fondamentale dell’art 1175, il dovere di
correttezza.
Un dovere strettamente collegato alla condotta di buona fede. Si distingue la buona
fede
soggettiva dalla
buona fede oggettiva (di cui abbiamo parlato in precedenza) e consiste in una
ignoranza
incolpevole, non dipendente da negligenza o
leggerezza. Se ad esempio un debitore paga un soggetto che
sembra essere
il creditore, il debitore può considerarsi liberato se prova di essere stato in
buona fede. In
realtà la buona fede soggettiva si presume, deve
essere il vero creditore a dimostrare che il suo debitore,
pagando un terzo soggetto, non era in buona fede.
Tutte le norme che fanno riferimento alla buona fede
(oggettiva e soggettiva) intendono un modello di
persona onesta e leale.
Buona fede oggettiva – dovere di comportamento
Buona fede soggettiva – situazione psicologica
Obbligo e responsabilità
Assumendo un’obbligazione il debitore espone i suoi
beni all’azione dei creditori e stabilisce così un
generico vincolo sul suo patrimonio: e questo aspetto
è così essenziale che, secondo un certo modo di
vedere, l’obbligazione comprende due elementi, e cioè
obbligo e responsabilità.
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CAPITOLO 17
ADEMPIMENTO E INADEMPIMENTO
L’adempimento
L’obbligazione va adempiuta. Adempimento è
l’esatta esecuzione della prestazione dovuta (1176);
inadempiente è
quel debitore che non esegue esattamente la prestazione (1218).
Nell’adempiere il debitore deve usare la diligenza del
buon padre di famiglia, ovvero una persona di buon
senso, che non fa le cose male, ma che non è nemmeno
votata alla perfezione. Negligenza ed imperizia
costituiscono colpa del debitore. Nei casi di
obbligazioni inerenti attività professionali è richiesta una
diligenza tecnica indicata dalla natura dell’attività esercitata.
L’art 1178 dispone che se l’obbligazione ha per la
prestazione di cose generiche il debitore deve prestare
cose di qualità non inferiore alla media.
Non è detto che l’interesse del creditore sia
soddisfatto dalla sola condotta diligente del debitore; in molti
casi il creditore ha la pretesa dell’effettivo
risultato della prestazione e può non dare importanza
all’impegno del debitore. L’esatto adempimento
richiede la produzione del risultato. Ad esempio un
avvocato non è tenuto a vincere una causa, ma è tenuto
a svolgere al meglio la sua attività (diligenza); un
trasportatore si obbliga a trasferire un oggetto in
luogo, è importante in questo caso il risultato. Ecco quindi
fatta la distinzione fra obbligazioni di diligenza
o di mezzi e obbligazioni di risultato.
Modalità dell’adempimento
Se il debitore offre un adempimento parziale il
creditore può rifiutarlo, anche se la prestazione è divisibile
(denaro, 1181) a meno che la legge o gli usi
dispongano diversamente (1258).
L’art. 1182, riguardo al luogo dell’adempimento,
dice di guardare nell’ordine a:
1- accordo tra le parti
2- usi
3- natura della prestazione
4- altre circostanze dell’adempimento
Infine si può far ricorso a tre regole suppletive:
a) consegna di cosa determinata: va fatta nel luogo in
cui era la cosa quando è sorta l’obbligazione
b) pagamento somma di denaro: al domicilio che il
creditore ha al tempo della scadenza
c) altre prestazioni: al domicilio che il debitore ha
al tempo della scadenza
I debiti che devono essere pagati al domicilio del
creditore si dicono portabili, quelli che devono essere
pagati al domicilio del debitore si dicono chiedibili.
In riferimento al tempo l’art. 1183 usa gli stessi
riferimenti dell’art. 1182, ma in caso non si stabilisca una
termine il debito deve essere pagato immediatamente.
Se il debitore ha è divenuto insolvente o ha diminuito
le garanzie, il creditore può esigere immediatamente
la prestazione, anche se il termine era fissato in tempi
futuri (1186, decadenza del beneficio del termine)
Se un debitore ha più di un debito della stessa specie
con lo stesso creditore, la legge dà al debitore la facoltà
di dichiarare quale debito intende soddisfare
al momento della prestazione, di imputare cioè il pagamento
all’una o all’altra prestazione (1193). Se il debitore
non dichiara quale debito vuole estinguere si segue il
seguente ordine:
- debito scaduto
- tra i debiti scaduti quello meno garantito
- a parità di garanzie il più oneroso per il debitore
- il più vecchio
Il debitore non si libera dell’obbligazione con una
prestazione diversa da quella dovuta, nemmeno se di
valore uguale o maggiore (1197).
Il debitore che paga ha diritto di ricevere a sue
spese una quietanza, cioè una dichiarazione del creditore con
cui questo attesta l’avvenuto pagamento (1199), e di
vedere liberati i beni dalle garanzie reali date per il
credito (1200)
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I soggetti dell’adempimento
I protagonisti sono il debitore e il creditore. Chi
può pagare? Chi può ricevere il pagamento? Consideriamo i
problemi più importanti.
L’art. 1191 prevede che il debitore che ha eseguito la
prestazione non possa impugnare il pagamento, cioè
chiedere la restituzione di quanto pagato, a causa
della propria incapacità. La norma si presta a diverse
interpretazioni: il dubbio è se per incapacità è
riferito solo agli incapaci legali, oppure anche agli incapaci
momentanei di intendere e di volere, ma dato che il
pagamento è un atto dovuto e il creditore non può essere
obbligato a restituire, si considera una norma
riferita verso qualsiasi forma di incapacità.
Anche il creditore che riceve il pagamento deve essere
capace di agire, di intendere e di volere, poiché deve
essere in grado di accettare la prestazione
(verificare che corrisponda a quella dovuta), rilasciare quietanza,
liberare i beni dalle garanzie ecc..
Il creditore ha il diritto di rifiutare la prestazione
nel caso questa venga eseguita da un terzo che non sia il
debitore; di contro però il debitore si libera anche
se paga al rappresentante del creditore o alla persona
indicata dalla legge o dal creditore (1188). Come già
detto il debitore si libera anche in caso in cui paghi un
creditore apparente, ma lo abbia fatto in buona fede, cioè convinto e senza colpa di aver
pagato il vero
creditore (1189).
L’inadempimento
Non è detto che l’inadempienza dipenda da una condotta
biasimevole del debitore. Possono accadere vari
fatti, fuori dal controllo del debitore, che portano a
non onorare un’obbligazione.
L’art. 1218 sembra stare dalla parte del creditore: il
debitore che non esegue esattamente la prestazione
dovuta deve risarcire il danno subito dal creditore se
non prova che l’inadempimento o il ritardo sono stati
determinati da impossibilità della prestazione,
derivante da causa a lui non imputabile. La diligenza, anche
se massima, non è sufficiente a liberare il debitore
in caso di inadempimento. Mentre la negligenza è
sufficiente a far rispondere il debitore.
L’impossibilità deve essere oggettiva (non
dipendente da una particolare situazione del debitore) e assoluta
(tale da escludere la minima possibilità di eseguire
la prestazione).
Il debitore deve provare l’esistenza di una causa a
lui esterna, cioè il caso fortuito o la forza maggiore.
Per determinate categorie di obbligazioni la
liberazione per impossibilità è esclusa. E’ il caso di obbligazioni
che hanno per oggetto la consegna di denaro o di cose
determinate solo nel genere (generiche).
Gli effetti dell’inadempimento
La prima conseguenza è che il debitore che non esegue
esattamente la presatazione dovuta è tenuto a
risarcire il danno (1218). Si parla di inadempimento
sia in caso di ritardo, che di difetto che di mancata
prestazione.
Il debitore risponde dell’adempimento delle
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (2740). Si
tratta di responsabilità patrimoniale (garanzia generica)
che si distingue dalle garanzie reali o personali.
Per soddisfare il proprio interesse contro un debitore
che non collabora, il creditore può ricorrere al giudice
perché disponga l’esecuzione coattiva o forzata.
L’art. 2910 prevede l’espropriazione dei beni che, messi in
vendita, procureranno i mezzi per soddisfare
l’interesse economico del creditore. Per altre obbligazioni, che
non prevedono di pagare somme di denaro, ci sono forme
diverse di esecuzione in forma specifica: la
distruzione di quanto fatto in violazione di un
obbligo di non fare (2933), la sentenza costitutiva che tiene
luogo di un contratto non concluso (2932), la consegna
e il rilascio forzati di una cosa determinata (2930),
l’esecuzione a spese dell’obbligato di obblighi di
fare (2931).
In questi casi si perpetua l’obbligazione poiché
il creditore può ancora pretendere l’adempimento e il danno
per il ritardo.
La mora del debitore - approfondire
Mora è una parola che viene dal latino e significa
ritardo.
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L’art. 1219 dice che il debitore che manca di
adempiere nel tempo dovuto deve essere costituito in mora
mediante intimazione o richiesta di adempiere fatta
per iscritto dal creditore. La costituzione in mora non è
necessaria in tre casi:
1) quando il debito deriva da fatto illecito
2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di
non voler adempiere
3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve
essere eseguita al domicilio del creditore
(debiti portabili)
Gli effetti della mora sono:
a) il debitore è tenuto a risarcire i danni provocati
dal ritardo nell’adempimento (1218, 1223)
b) il debitore sopporta il rischio della impossibilità
sopravvenuta anche per causa a lui non imputabile.
La mora del creditore
Può capitare che il debitore sia pronto ad adempiere,
ma il creditore non collabori. Questo può dipendere da
un dissenso tra creditore e debitore sulla
prestazione. In tale situazione l’interesse del debitore è quello di
evitare la propria mora, agirà quindi con una semplice
offerta alla buona della prestazione (1220).
Il creditore può tutelarsi provocando la mora del
creditore.
Se si tratta di obbligazioni di dare il
debitore farà un’offerta formale o solenne della prestazione tramite un
pubblico ufficiale. I requisiti dell’offerta indicati
nell’art. 1208 sono diretti ad assicurare la corrispondenza
tra prestazione offerta e prestazione dovuta, nonché
il rispetto delle regole sul tempo, sul luogo (1207
ult.comma). Se l’obbligazione ha per oggetto danaro,
titoli di credito o cose mobili portabili l’offerta deve
essere reale. Se il creditore accetta l’offerta il
debitore è libero, altrimenti occorre un controllo del giudice
che accerti i requisiti dell’offerta e la dichiari
valida con sentenza. A questo punto il creditore è considerato
in mora.
Se il debitore ha fatto un’offerta secondo gli usi gli
effetti della mora si verificano dal giorno in cui egli
esegue il deposito che consente un controllo pari a
quello dell’offerta formale.
Nelle obbligazioni di fare le conseguenze della
mora si producono senza le solennità previste dall’art 1208.
L’art. 1207 indica gli effetti della mora del
creditore:
a) è a suo carico l’impossibilità della prestazione
avvenuta per causa non imputabile al debitore
b) non sono più dovuti gli interessi né i frutti non
percepiti dal debitore
c) il creditore è tenuto a risarcire i danni derivati
dalla sua mora e a sostenere le spese per la
custodia e la conservazione della cosa dovuta
Se il debitore vuole liberarsi dall’obbligazione deve
reagire con il deposito, che può essere accettato dal
creditore o dichiarato valido con sentenza (1210). Il
deposito riguarda cose mobili e si esegue con le forme di
un sequestro. Se l’obbligazione è di fare non si può
ovviamente ricorrere al deposito quindi il debitore non si
libera finchè:
- la prestazione diviene impossibile
- il creditore non ha più interesse ad esigere
l’adempimento o non può più essere richiesto in
base al titolo dell’obbligazione
- interviene la prescrizione
Risarcimento del danno
Danno non è solo la perdita, ma anche il mancato
guadagno (1223). Il danno risarcibile è delimitato secondo
tre criteri:
1- il danno deve essere conseguenza immediata e
diretta dell’inadempimento
2- il danno deve essere prevedibile al in cui è sorta
l’obbligazione (salvo che l’inadempimento sia
doloso, 1225)
3- il danno non deve essere collegato ad un fatto
colposo del creditore (1227), cioè se ha concorso a
determinarlo o se avrebbe potuto evitare o limitare
l’entità del danno con ordinaria diligenza
(concorso di colpa).
Il primo criterio è il più discusso: il nesso di
causalità.
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Quando un evento si verifica, possiamo ricostruire una
catena casuale di eventi collegati a questo, senza i
quali non si sarebbe verificato. Causa è quindi
qualsiasi condizione necessaria alla storia dell’evento. Però è
richiesto dalla norma che il danno sia conseguenza
immediata (cioè senza passaggi intermedi) e diretta
(senza il concorso di altri elementi causanti)
dell’inadempimento.
La valutazione del danno da risarcire non è sempre
semplice; quando il danno non può essere provato nel suo
preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione
equitativa (1226).
Quando il debitore è in mora per debiti di denaro,
se erano stati previsti interessi in misura superiore al
tasso legale, gli interessi moratori si applicano
nella stessa misura (1224). Se non erano previsti o erano stati
esclusi, sono comunque dovuti interessi legali dal
giorno della mora. Il creditore per ricevere gli interessi non
deve provare il danno, può tuttavia provare un danno
ulteriore derivante dalla perdita di potere d’acquisto.
Nei contratti esistono delle clausole di esonero da
responsabilità (1229) con le quali una delle parti viene
esonerata da responsabilità in caso di adempimento, a
meno che la responsabilità non derivi da dolo o colpa
grave, o da violazione di norme di ordine pubblico.
I modi di estinzione diversi
dall’adempimento
Ci sono due tipi di modi di estinzione, che si
distinguono in base al fatto che l’interesse del creditore sia
soddisfatto o meno:
- satisfattori: compensazione, confuzione
- non satisfattori: novazione, remissione,
impossibilità sopravvenuta
Si è già parlato di impossibilità sopravvenuta (1256 e
ss). Si parla di impossibilità temporanea, ovvero
quando l’impossibilità viene meno la prestazione
ritorna possibile. L’obbligazione potrebbe estinguersi
comunque se l’impossibilità è durata fin quando:
- in relazione al titolo o alla natura
dell’obbligazione il debitore non è obbligato ad eseguire la
prestazione
- il creditore non ha più interesse
Con impossibilità parziale il debitore si
libera prestando la parte rimasta possibile (1258). Non si dimentichi
l’inesigibilità della prestazione in cui
l’obbligo si estingue perché è contrario a correttezza pretenderne
l’adempimento (pretendere prestazioni da chi non è
impossibilitato, ma in evidente difficoltà – militare in
guerra, madre che va all’ospedale dal figlio…)
Si ha novazione quando le parti si accordano
per sostituire all’obbligazione esistente (che si estingue) una
obbligazione nuova. Nuova si intende
necessariamente diversa, dal punto di vista o del titolo, o dell’oggetto
o dei soggetti:
- novità nel titolo: padrone di casa e inquilino che
deve pagare un anno di canone arretrato si
accordano per la restituzione a titolo di mutuo
- novità nell’oggetto: un antiquario che mi deve 1000€
si obbliga invece a consegnarmi un tavolo
antico di una certa misura e certa qualità.
- Novità nei soggetti: si parla di novazione
soggettiva in cui un nuovo soggetto è obbligato al posto
di un vecchio debitore
Una dichiarazione del creditore al debitore di remissione
dei debiti, se non opposta dal debitore, provoca
l’estinzione dell’obbligazione (1236), come se fosse
un patto unilaterale.
Si ha compensazione quando due persone sono
obbligate reciprocamente l’una verso l’altra; i due debiti si
estinguono per compensazione per le quantità
corrispondenti. La compensazione è legale (senza necessità di
accordo o di intervento del giudice) se:
- i due debiti sono omogenei, cioè abbiano per
oggetto denaro o cose fungibili dello stesso
genere
- i debiti siano esigibili, cioè non sottoposti a
condizione o termini.
La compensazione non è automatica, ma avviene per
effetto di dichiarazione unilaterale della parte che vuole
la compensazione.
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Un sistema particolare i estinzione di crediti e
debiti legato alla compensazione è il contratto di conto
corrente.
L’obbligazione si estingue per confusione se si
riuniscono nella stessa persona le condizioni di creditore e
debitore (1253).
TIPI PARTICOLARI DI OBBLIGAZIONE
Obbligazioni pecuniarie
Pecunia significa denaro in latino. Obbligazioni
pecuniarie appunto hanno per oggetto una somma di denaro.
La prestazione in se non è la consegna di qualcosa
(pezzi monetari o banconote) bensì il trasferimento di
unità ideali contabilizzate (moneta bancaria, moneta
contabile, moneta elettronica).
Secondo il principio nominalistico, l’art 1277
stabilisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta
avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento
e per il suo valore nominale. Non si
tiene quindi di
conto di eventuali perdite di potere d’acquisto dovute
all’inflazione.
I debiti di valore hanno però per oggetto un
certo valore preciso e quindi al momento del trasferimento si
traduce in una somma di denaro, per cui se varia il
potere d’acquisto varia anche la somma di denaro. Questo
non accade, come già detto, con i debiti di valuta.
Quando il debito di valore viene liquidato (determinato
nell’ammontare) allora diventa un debito di valuta.
Per evitare problemi con il potere d’acquisto
(evitando il principio nominalistico) si può inserire la clausola
oro stabilendo
che sia dovuta una somma di denaro sufficiente a comprare una certa quantità
d’oro, oppure
esprimere il debito in moneta straniera (1278).
Il denaro è un bene fruttifero: i suoi frutti sono gli
interessi, la cui disciplina è regolata dagli art. 1282 e ss. E
1224 e ss. Viene fatta distinzione fra interessi
corrispettivi e interessi moratori. I primi sono i veri frutti
del denaro, gli altri fungono da riparazione del danno
derivante dal fatto di non aver potuto disporre della
somma per ritardo nel pagamento.
Producono interessi corrispettivi tutti i
debiti di denaro liquidi ed esigibili (non sottoposti a condizione, o a
termine non scaduto). L’obbligazione di interessi è
accessoria rispetto a quella di pagare una somma di
denaro; in caso di interessi si applicano quelli
legali, se si vuole applicare un tasso diverso è necessaria la
forma scritta, tenendo di conto dei limiti all’usura.
Gli interessi scaduti diventano un normale debito in
denaro, ma queste somme non producono a sua volta
interessi (anatocismo) anche se la legge autorizza in
base agli usi. E’ previsto ad esempio dagli usi
bancari l’anatocismo bancario.
Gli interessi moratori sono dovuti a titolo di
risarcimento del danno per il ritardo nel pagamento di un
debito in denaro (1224) In mancanza di accordo tra le
parti in tema di interessi, a partire dal giorno della
mora, si applicano gli interessi legali. Il creditore
può provare di aver subito un danno maggiore, ad esempio
per mancato guadagno.
Obbligazioni con pluralità di
oggetti
Spesso un debitore è obbligato a più prestazioni;
questo deriva da più obbligazioni distinte, ma collegate
(come nell’obbligazione di consegnare qualcosa si
esegue anche l’obbligo di custodire).
Talvolta una stesso rapporto obbligatorio ha ad
oggetto due o più prestazioni, quando ad esempio il debitore
è obbligato in alternativa all’una o all’altra
prestazione (1285, obbligazioni alternative). Ad esempio il
contratto di un impresa con un dipendente che gli
assicura un alloggio con certe caratteristiche o un hotel. IL
debitore si libera eseguendo una delle prestazioni e
la scelta spetta al debitore.
L’obbligazione facoltativa invece prevede che
il debitore sia obbligato ad eseguire una certa prestazione,
ma è prevista una facoltà di liberarsi con una
prestazione diversa. Ad esempio un erede è obbligato a dare
una certa quantità di argento ad un legatario, ma si
può liberare con una somma di denaro.
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Obbligazioni con pluralità di
soggetti. La solidarietà
Il rapporto obbligatorio può avere più debitori e più
creditori insieme. Quando più debitori sono obbligati ad
una medesima prestazione che sia divisibile si
distinguono due diverse situazioni (1292, 1314):
1- Solidarietà nel debito. Quando ciascun
debitore può essere costretto all’adempimento per la totalità.
L’adempimento di uno libera gli altri, che può poi
rivalersi sugli altri.
2- Obbligazione parziaria. Ciascuno dei
debitori è tenuto a pagare solo la sua parte.
I condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o
dal titolo non risulta diversamente (1294). In alcuni casi è
la legge a prevedere la solidarietà, come nel
risarcimento del danno (2055). In questo modo il creditore è più
garantito e può scegliere la parte da cui esigere
l’intero adempimento.
Anche dal lato attivo si presenta la divisione tra
obbligazione parziaria e solidale, cioè quando più creditori
hanno diritto a una medesima prestazione. In questo la
solidarietà esiste solo se prevista. In caso di
successione un credito solidale si trasmette agli
eredi come credito parziario.
Se l’obbligazione è indivisibile non si pone il
problema di solidale o parziaria: verrà considerata come
solidale (1317).
SUCCESSIONE NEL CREDITO E NEL DEBITO
La successione nel credito:
surrogazione, cessione
La prima forma di successione nel rapporto di credito
si ha per surrogazione (sostituzione) di una terza
persona nei diritti del creditore. Tre ipotesi
previste:
- surrogazione per volontà del creditore. Il
debito di A verso B viene pagato da C (1180). B riceve
il pagamento e surroga C nei suoi diritti verso A. La
surrogazione deve essere fatta in modo
espresso e contemporaneo al pagamento.
- Surrogazione per volontà del debitore. A
debitore verso B di denaro o cos fungibili si fa prestare
da C quanto necessario a pagare il debito. Anche senza
il consenso di B, A può dichiarare di
surrogare nel credito C.
- Surrogazione legale. Quattro casi previsti
dall’art. 1203
La cessione del credito (1260) è un contratto
con cui si trasferisce il diritto dal creditore, cedente, ad un
cessionario. Il creditore, che è titolare del bene,
lo può cedere senza il consenso del debitore, al quale non si
riconosce un interesse ad essere debitore di B anziché
di A. La cessione è esclusa quando il credito è
strettamente personale (per alimenti) o il quando il
trasferimento è vietato dalla legge.
Il trasferimento del credito ha effetto verso il
debitore quando a questi viene notificato il trasferimento
(onere del cessionario)
La successione nel debito:
delegazione, estromissione, accollo
L’identità del debitore non è indifferente per il
creditore. Se il debito è in denaro è importante che il debitore
sia solvente, o puntuale e diligente se è
un’obbligazione di fare. La sostituzione del debitore non può quindi
avvenire per successione a titolo particolare, senza
la volontà del creditore: se questa manca si aggiunge al
vecchio debitore (che non si è liberato) un nuovo
debitore.
Delegazione, estromissione e accollo funzionano
secondo questo principio e si dicono privative se libera il
vecchio debitore o cumulative se aggiungono il
nuovo debitore a quello vecchio. Solo nel primo caso si
parla di cessione del debito.
La delegazione (1268) prevede che un debitore
assegni al creditore un nuovo debitore, il quale si obbliga
verso il creditore. Il creditore può rifiutare o
accettare la promessa decidendo o meno se liberare il vecchio
debitore (delegazione privativa o cumulativa). Il
rapporto tra delegante e delegato è detto rapporto di
provvista,
il rapporto tra il delegante e creditore è detto rapporto di valuta.
Se un terzo estraneo al rapporto tra debitore e
creditore promette al creditore, di sua iniziativa, di pagare il
debito, si ha l’espromissione: in pratica un
terzo si obbliga a pagare dando vita ad un rapporto obbligatorio.
Anche in questo caso si ha l’effetto privativo o
cumulativo in base alla volontà del creditore.
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L’accollo è un contratto tra debitore e un
terzo (accollante) per cui questi si assume il debito. Secondo
l’accollo interno (non è previsto dal codice).
l’accollante si obbliga verso il debitore e il creditore non
acquista alcun diritto nei suoi confronti. Con l’accollo
esterno (1273) si stipula un contratto che obbliga
l’accollante verso il creditore.
CAPITOLO 18
LE GARANZIE
La responsabilità patrimoniale del
debitore
Gli istituti di tutela del creditore si possono
considerare nati non come aspetti della patologia
dell’inadempimento, ma come normali aspetti del
funzionamento del credito, poiché influiscono sulle
valutazioni se dare o non dare credito ad un soggetto.
Principio della responsabilità illimitata: il
debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri (2740).
Principio della pari condizione dei creditori:
ciascuno ha un eguale diritto di soddisfarsi sui beni del
debitore, salvo cause legittime di prelazione (2741).
Limitazioni di responsabilità
Chi si immette nel traffico economico espone a rischio
tutto il suo patrimonio, eccetto alcuni beni che non
sono soggetti ad espropriazione come oggetti di primaria
necessità, crediti per alimenti e altri beni indicati
nel cod. proc. Civ.
A volte alcuni beni del patrimonio sono destinati alla
garanzia di determinati debiti (patrimonio di
destinazione);
oppure si parla di patrimonio separato di un soggetto come quella parte
di patrimonio
distinta dal
patrimonio generale. E’ questo il caso dell’eredità accettata con beneficio di
inventario (470,
484) che non prevede la confusione dei patrimoni, ma
mantiene distinti il patrimonio del defunto da quello
dell’erede.
Si parla di patrimonio autonomo come di un
complesso di rapporti attivi e passivi che fanno capo a più
soggetti e che rimane distinto dai patrimoni
individuali. I beni del patrimonio autonomo sono al sicuro
dall’azione dei creditori personali di ciascun contitolare.
In questo caso si parla si autonomia patrimoniale
che si può realizzare ad esempio dalla comunione
legale tra coniugi, alle società di persone, ai fondi
patrimoniali co-intestati ai coniugi ecc… L’autonomia
patrimoniale perfetta è caratteristica delle società di
capitali.
Cause di prelazione
Principio della pari condizione dei creditori:
ciascuno ha un eguale diritto di soddisfarsi sui beni del
debitore, salvo cause legittime di prelazione (2741).
Si parla di prelazione quando un creditore ha diritto di
soddisfarsi a preferenza degli altri. Le cause di
prelazione sono: privilegi, pegno e ipoteca.
I creditori sprovvisti di cause di prelazione si
dicono chirografari. Se ci sono più creditori con diritto di
preferenza la legge stabilisce un ordine di preferenza.
Se la cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca va
distrutta o deteriorata, le somme di denaro dovute dagli
assicuratori come indennità sono vincolate al
pagamento dei creditori con diritto di preferenza (2742,
surrogazione dell’indennità della cosa come oggetto
del diritto di prelazione)
I privilegi
Il privilegio è accordato in considerazione della
causa del credito (2745). Per causa si intende titolo. Sono
privilegiati i crediti riguardanti i bisogni di
primaria necessità per il debitore (2751), il credito di alimenti,
crediti per retribuzioni o provvigioni. In generale la
valutazione dei crediti privilegiati spetta al legislatore.
E’ comunque necessario un ordine di preferenza, che
vede al primo posto i crediti derivanti da rapporto di
lavoro (2777,2778).
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Si distingue il privilegio generale (riguarda
tutti i beni mobili del debitore) dal privilegio speciale (riguarda
determinati beni sia mobili che immobili, 2741).
Esempi di privilegio speciale sono: il credito del
trasportatore ha il privilegio sulle cose trasportate,
finchè non consegnate (2761), il locatore ha il privilegio
sugli arredi dell’immobile del locatario (2764).
Eventuali conflitti tra cause di prelazione sono così
risolti (2748):
- il pegno prevale sul privilegio speciale mobiliare
- il privilegio sugli immobili prevale sull’ipoteca
Le garanzie del credito
Sono mezzi di sicura soddisfazione del credito nel
caso di inadempimento. Si distinguono garanzie
personali e garanzie
reali (diritti reali di garanzia).
Nelle garanzie personali si affianca al debitore un
garante, cioè un altro obbligato, a cui il creditore possa
chiedere l’adempimento del debito, e i cui beni
offrono un’ulteriore garanzia patrimoniale.
Nel caso delle garanzie reali (pegno e ipoteca) la
garanzia fatta è specifica, cioè al creditore è attribuito il
potere di espropriare un determinato bene, e di
soddisfarsi con diritto di preferenza sul ricavato della vendita,
anche se la proprietà è passata ad altri (2808)- Le
garanzie reali attribuiscono al creditore prelazione e diritto
di seguito.
I diritti reali di garanzia si possono costituire
anche su bene di proprietà di persona diversa dal debitore.
Il pegno e l’ipoteca
Il pegno è un diritto di garanzia su cose
mobili, su universalità di mobili, su crediti o su diritti aventi per
oggetto beni mobili (2784), che si costituisce tramite
un contratto di pegno. E’ un contratto reale, la cui
perfezione richiede la consegna della cosa o del
documento che ne conferisce la disponibilità (2786).
La cosa può essere tenuta in custodia da entrambe la
parti, l’importante è che il debitore non possa disporne
senza l’autorizzazione del creditore. Il creditore che
riceve la cosa deve custodirla e non può disporne (2790)
a meno che non si tratti di denaro o cose fungibili;
in questo caso il ricevente è solo obbligato a restituire
altrettante cose della stessa qualità o specie.
I diritti del creditore pignoratizio sono
o far vendere la cosa secondo la procedura dell’art 2797
o farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in
pegno che sia ancora in suo possesso; la
restituzione fa perdere la prelazione
o chiedere al giudice che la cosa gli venga assegnata in
pagamento fino a concorrenza del debito, a
seguito di stima (2798)
o far suoi i frutti (2791)
o nel pegno di crediti, il creditore pignoratizio può
riscuotere il credito (2803)
L’ipoteca ha per oggetto beni immobili,
usufrutto di beni immobili, superficie, enfiteusi, beni mobili
registrati e rendite dello stato (2810).
L’iscrizione nel pubblico registro costituisce il vincolo,
si parla di pubblicità costitutiva (2808).
Il titolo (diritto) ad iscrivere ipoteca può nascere
da:
- ipoteca legale, 2817: la divisione dà diritto ai
coeredi o soci di iscrivere ipoteca sugli
immobili assegnati agli altri condividenti a garanzia del
pagamento dei conguagli
- ipoteca giudiziale, 2818 e ss.: ogni sentenza di
condanna al pagamento di una somma a al
risarcimento danni
- ipoteca volontaria, 2821: può consistere in un
contratto o in una dichiarazione unilaterale tra
vivi con forma di atto pubblico o scrittura privata
autenticata o verificata giudizialmente.
L’ipoteca nasce con l’iscrizione al pubblico registro
ed ha una durata di 20 anni.
L’ipoteca prende grado dal momento della sua
iscrizione (2852), ovvero un numero d’ordine assegnato ai
creditori ipotecari: chi sta davanti ha preferenza su
chi sta dietro. E possibile una permuta del grado tra i
vari creditori.
L’ipoteca attribuisce un diritto di espropriare i beni
anche se la proprietà è passata a terzi. La posizione del
terzo acquirente è regolata dall’art 2858 e ss. Ed ha tre possibilità:
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1) pagare i creditori
2) rilasciare i beni stessi
3) liberare il bene da ipoteca secondo la procedura
dell’art. 2889 e ss.
Le cause di estinzione dell’ipoteca sono (e del
titolo a costituirla)
- estinzione del credito garantito
- conclusione dell’esecuzione forzata
- se viene ordinata la cancellazione dell’ipoteca
- se il creditore rinuncia all’ipoteca
Regola comune a pegno e ipoteca è il divieto di
patti commissori, ovvero è nullo ogni patto in cui si
conviene che la proprietà della cosa ipotecata o data
in pegno passi di proprietà al creditore in caso di
inadempienza del debitore. La ratio della norma serve
ad evitare abusi nei confronti del debitore in difficoltà.
La fideiussione
Il contratto di fideiussione prevede che un soggetto
(fideiussore) garantisca l’adempimento di
un’obbligazione altrui obbligandosi personalmente
verso il creditore e quindi rispondendo con tutti i suoi
beni presenti e futuri (1936).
Sono parti del contratto il creditore e il
fideiussore. Non è prevista forma particolare, anche se la fideiussione
deve essere una dichiarazione espressa (non
sono valide quindi lettere di presentazione ecc…)
Se il titolo dell’obbligazione garantita è invalido, è
invalida anche la fideiussione.
L’effetto della fideiussione è di rendere il
fideiussore e il debitore obbligati in solido verso il creditore
garantito. Le parti però possono pattuire il beneficio
di escussione, cioè il creditore deve prima agire contro
il debitore per ottenere la soddisfazione degli
interessi, e il fideiussore ha l’onere di indicare i beni del
debitore da sottoporre a esecuzione (1944).
Il fideiussore che ha pagato è surrogato nei diritti
del creditore verso il debitore, subentrando oltre che nel
credito anche nelle garanzie.
Il mandato di credito è un contratto con cui un
soggetto incarica un altro (ad esempio una banca) di far
credito ad un terzo. La dichiarazione del mandante è
detta lettere di credito; il soggetto che ha dato
l’incarico assume gli obblighi di un fideiussore.
Mezzi di conservazione della
garanzia patrimoniale
Il creditore è tutelato quando il debitore mette in
pericolo le garanzie tentando di sottrarre i beni all’azione
dei creditori. I rimedi che la legge offre per
conservare la garanzia patrimoniale sono: l’azione surrogatoria,
l’azione revocatoria, il sequestro conservativo.
Per evitare un pregiudizio per le garanzie del
creditore derivante dall’inerzia del debitore, il creditore si può
surrogare in
diritti e azioni che spetterebbero al debitore ma che questi trascura di
esercitare (2900). Ad
esempio il debitore trascura di riscuotere dei
crediti.
L’art. 2901 attribuisce al creditore il potere di
chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli
atti di disposizione del patrimonio con i quali il
debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni (azione
revocatoria).
E’ quindi il caso di donazioni, vendite a prezzo molto basso, remissioni del
debito ecc…
I requisiti per agire in revocatoria sono:
- la c.d. frode del debitore, ovvero la
conoscenza del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori. Se l’atto è
anteriore al sorgere del credito occorrerà dimostrare
che l’atto era stato dolosamente preordinato allo scopo
di sottrarre il bene alla garanzia (2901).
- se l’atto è a titolo oneroso, anche il terzo deve
essere stato partecipe alla frode
L’effetto della revocatoria è di rendere inefficace
l’atto nei confronti del creditore che agisce: l’atto resta
efficace tra le parti e per gli altri creditori che
non agiscono. Il creditore che ha agito può far valere le sue
ragioni nei confronti dei terzi acquirenti.
Questa trattata è la revocatoria ordinaria (pauliana).
La revocatoria fallimentare varia sotto certi aspetti.
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Il sequestro conservativo è una misura preventiva
che il creditore può chiedere al giudice se esistano
ragioni per temere la perdita delle garanzie del
credito (2905). Il sequestro ha lo scopo di impedire la
disposizione dei beni; eventuali atti di disposizione
sono inefficaci ed hanno conseguenze penali sul debitore.
CAPITOLO 19
AUTONOMIA CONTRATTUALE
Il contratto: realtà e definizione
E’ l’accordo di due o più parti per costituire,
regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale
(1321). Ogni operazione che compiamo ogni giorno, che
abbia un contenuto patrimoniale, è un contratto
(comprare il giornale, andare al cinema….). Non è un
contratto il matrimonio perché gli aspetti personali
sono prevalenti su quelli economici.
Ogni contratto è caratterizzato da dei requisiti
essenziali che sono: accordo, oggetto, forma, causa (1325).
Funzione ed efficacia del contratto
Il contratto è lo strumento con cui si realizza
l’autoregolazione degli interessi in campo patrimoniale: tutto
quanto avviene nel mercato avviene per contratto.
L’art. 1372 determina l’efficacia del contratto: il
contratto ha forza di legge tra le parti. E quindi effetto del
contratto è di regolare (come una legge stabilita
dalle parti) certi interessi patrimoniali e i rapporti giuridici
che li realizzano.
Le funzioni elementari si possono identificare in funzione/efficacia
traslativa e obbligatoria. Nella
compravendita si ritrovano entrambe poiché trasferisce
la proprietà delle cose e fa nascere obbligazioni a
carico del venditore e del compratore.
Il contratto come atto giuridico
Il contratto è un accordo. Si compone di
manifestazione di volontà concordi (parole, gesti, comportamenti).
L’accordo non è l’incontro di due interne volontà, ma
la convergenza di dichiarazioni o manifestazioni di
volontà.
L’elemento dell’accordo fa de contratto un atto
giuridico bi/plurilaterale e si distingue quindi dagli atti
unilaterali come procura, disdetta, diffida, rinuncia
e voto. La distinzione si fa in base alle parti (come centri
d’interesse) e non alle persone.
Il principio di buona fede
Nelle trattative e nella formazione dell’accordo le
parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede
(1337). E’ un dovere di correttezza che la legge
impone, in particolare la legge prevede un dovere reciproco
di informazione con riguardo ad eventuali vizi del
contratto (1338).
La condotta di mala fede di per sé non incide sulla
validità del contratto, è però fonte di responsabilità per i
danni eventualmente cagionati all’altra parte, che
abbia confidato nella validità del contratto (responsabilità
precontrattuale).
La buona fede è anche il criterio fondamentale per
l’interpretazione del contratto (1366), per stabilire il
significato delle manifestazioni di volontà che
formano l’accordo contrattuale. Le dichiarazioni vanno intese
così come le intenderebbe una persona onesta e leale.
Buona fede è richiesta anche in fase di esecuzione del
contratto (1375).
Autonomia contrattuale e suoi limiti
Autonomia contrattuale è una traduzione in linguaggio
giuridico di liberalismo economico. Questo principio
vuole che lo stato non intervenga a dettare
autoritariamente gli obiettivi dell’attività economica (libertà dei
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fini). In realtà ci sono delle limitazioni alla
libertà in questo senso, con lo scopo di garantire interessi generali
o collettivi.
L’art. 41 della costituzione tutela la libertà di
iniziativa economica, ma dispone che essa non possa svolgersi
in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Prevalgono poi sull’autonomia contrattuale interessi
come lo sviluppo ordinato delle aree urbane, la sanità, i
trasporti, l’utilizzazione appropriata delle fonti di
energia, la protezione di settori produttivi…
Il libero mercato in senso assoluto non è possibile e
quindi ecco le norme a limitare la concentrazione delle
imprese, a vigilare sui comportamenti (antitrust)
ecc.. E’ un dato di fatto poi la tutela delle parti più deboli,
come il prestatore di lavoro o il consumatore. In
definitiva sono tutte limiti all’autonomia contrattuale,
positivi o negativi che siano.
La libertà di contrarre
Aspetto essenziale dell’autonomia è la libertà di
concludere o non concludere un contratto. Ci sono però
delle eccezioni in cui una persona è obbligata a
contrarre o per determinazione di legge o per un vincolo
assunto in base ad un precedente contratto. La prima
ipotesi si verifica per le imprese che esercitano l’attività
in regime di monopolio legale, o per le imprese di
trasporto pubblico. Il contratto preliminare invece
costituisce la seconda ipotesi: le due parti si
obbligano a concludere un contratto definitivo.
Nel caso di rifiuto di una delle parti, il giudice può
emettere una sentenza costitutiva che produce gli effetti
del contratto non concluso.
Violare il divieto di contrarre invece ha come
conseguenza solo il risarcimento del danno.
CAPITOLO 20
GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO
La manifestazione della volontà
contrattuale
La manifestazione di volontà può essere espressa o
tacita.
Si ha manifestazione espressa quando la volontà è dichiarata
con parole (per iscritto o oralmente) o con
gesti (alzare la mano ad un’asta).
Si ha manifestazione tacita quando non si
impiegano segnali che abbiano lo scopo di comunicare la volontà,
ma ci si comporta in un modo che implica la volontà di
contrarre (al supermercato mettere le cose nel
carrello ed andare alla cassa significa che voglio
comprare; se salgo su un treno intendo accettare l’offerta di
trasporto). La manifestazione tacita richiede una
condotta che secondo i comuni criteri di interpretazione (o
per previsione legislativa) possa essere intesa come
segno di consenso. Non va quindi confusa con il puro
silenzio.
La conclusione del contratto
Il legislatore usa questo schema per lo studio del
contratto. Accordo come scambio di due dichiarazioni di
volontà:
- proposta: dichiarazione con cui la parte che
assume l’iniziativa offre all’altra la conclusione
del contratto
- accettazione: dichiarazione con cui la parte
che riceve la proposta dà il suo consenso al
contratto così come risulta l’offerta
La proposta deve contenere tutti gli elementi
essenziali del contratto, altrimenti si tratta solo di un invito a
proporre (come
se vedo un’auto con cartello vendesi, senza specificato il prezzo. E’ un invito
a proporre).
L’accettazione deve corrispondere esattamente alla
proposta, altrimenti si parla di controproposta.
A volte l’accordo risulta da una dichiarazione
congiunta o contestuale e non è possibile distinguere tra chi
prende l’iniziativa e chi accetta.
L’art. 1326 stabilisce il momento della conclusione:
il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto
la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra
parte.
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Ne deriva il principio di cognizione per il
quale un atto diretto ad una persona determinata ha effetto nel
momento in cui quest’ultima ne ha conoscenza (1335).
Sono in realtà accolti altri principi come il principio
della spedizione (il contratto è concluso quando
l’accettazione è spedita).
Lo schema studiato è valido per i contratti
consensuali, che si concludono con il solo consenso. Vi sono poi
contratti che si concludono solo con la consegna della
cosa a cui il contratto si riferisce (contratti reali,
mutuo, comodato, deposito, pegno). Il consenso delle
parti è necessario ma non sufficiente.
Nel diritto il silenzio non vale l’accettazione: non è
vero che chi tace acconsente.
Nel caso in cui una parte proponga all’altra un
contratto che prevede obbligazioni solo per il proponente, non
è necessaria l’accettazione a concludere il contratto
(offerta di fideiussione). Il contratto si conclude se la
parte che ha ricevuto la proposta non rifiuta entro i
termini stabiliti nel contratto (1328)
La proposta può essere irrevocabile, per
volontà stessa del proponente. In questo modo anche in caso di
morte o sopravvenuta incapacità del proponente l’efficacia
della proposta non viene meno (a parte i casi di
contratti di lavoro, d’opera, di mandato ecc…). In
caso di morte il contratto si concluderebbe vincolando gli
eredi.
Trattative e responsabilità
precontrattuale
L’art. 1337 impone alle parti, nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto, il dovere di
comportarsi secondo buona fede, cioè con correttezza e
lealtà reciproca. La violazione di questi obblighi
costituisce un illecito le cui conseguenze –
risarcimento del danno – sono indicate come responsabilità
precontrattuale.
Un danno causato da una parte in mala fede può riguardare il mancato guadagno
per le
occasioni perdute, le spese sostenute per viaggi,
stime, studi di fattibilità ecc….
Contratto preliminare
Con il contratto preliminare le parti assumono
l’obbligo l’una verso l’altra di stipulare entro un dato termine
un contratto definitivo. In questo modo si assicurano
che l’affare sia in porto anche se in realtà non erano
pronti a concludere il contratto.
Per la compravendita di immobili spesso si fa uso di
un preliminare improprio (compromesso): è una
scrittura privata del contratto già concluso tra le
parti, che non ha però la forma per essere trascritto. E’
quindi una promessa a riprodurlo di fronte ad un
notaio.
Un contratto preliminare è nullo se non è nella stessa
forma in cui sarà poi il contratto definitivo (1351). Se
una delle parti si rifiuta di stipulare il contratto
definitivo, l’altra può richiedere una sentenza che produca gli
effetti del contratto non concluso (2932, esecuzione
specifica dell’obbligo di contrarre). E’ una sentenza
costitutiva.
Da ricordare la differenza tra contratto preliminare e
contratto normativo, il quale non obbliga le parti a
contrarre, ma ad inserire nei futuri contratti che si
trovino a stipulare determinate clausole.
Contratti di serie e contratti del
consumatore
La realtà quotidiana è piena dei c.d. contratti
standard, con lo scopo di velocizzare le transazioni e dare
uniformità alla massa di rapporti contrattuali. Il
codice civile chiama condizioni generali di contratto le
clausole che caratterizzano questi contratti. La norma
(1341) prevede che queste clausole abbiano efficacia
se l’altra parte ne è a conoscenza o se avrebbe potuto
conoscerle con ordinaria diligenza. Sarà quindi
sufficiente esporre uno stampato in un luogo dove il
cliente possa trovarlo.
Per alcune clausole che stabiliscono particolari oneri
per il cliente (dette vessatorie) si prevede che non
abbiano effetto se non sono state specificatamente
approvate per iscritto.
Se le norme non sono chiare si devono interpretare nel
senso più favorevole all’altra parte (1370).
Nessuna clausola può ritenersi vessatoria se è stata
oggetto di trattativa individuale. (1469!)
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La causa del contratto. I motivi
Per causa si intende la funzione giuridica del
contratto. La causa deve essere lecita ed è un elemento
essenziale del contratto (1325). Un contratto dove
manchi la causa è nullo: è nullo infatti un contratto di
assicurazione se il rischio non è mai esistito (assicuro
contro l’incendio una casa appena distrutta da un
terremoto).
La causa è quindi la funzione costante tipica del
contratto; il motivo è invece la ragione individuale
soggettiva che spinge la parte ad usare quel preciso
schema contrattuale. Ad esempio la funzione del
contratto di compravendita è chiara, il motivo per cui
l’acquirente decide di comprare e il proprietario di
vendere sono soggettivi. I motivi non influiscono
sulla validità ed efficacia del contratto.
Classificazione dei contratti in
base alla causa
Contratti unilaterali: le prestazioni sono a carico di una sola parte e
sono soggetti a regole particolari (ad
es. 1333).
Contratti a prestazioni corrispettive: (vendita, locazione, appalto ecc…) la causa sta
nella funzione di
scambio tra due prestazioni, che si giustificano
quindi l’una con l’altra. Questo rapporto di reciprocità è detto
sinallagma, da qui contratti sinallagmatici.
Può capitare che il sinallagma manchi fin dall’origine, si parla
allora di difetto genetico della causa (una persona
che acquista un bene che aveva già acquistato ad altro
titolo). Se il rapporto tra le prestazioni si altera
in un momento successivo si parla di difetto funzionale della
causa. Esistono poi contratti di collaborazione (società)
che non possono dirsi a prestazioni corrispettive.
Tra i contratti sinallagmatici si distinguono:
- contratti aleatori: una parte è gravata da
una prestazione mentre l’altra rimane incerta se
una prestazione dovrà o meno essere eseguita; lo
scambio è caratterizzato da un rischio o
alea (scommesse
autorizzate, lotterie e giochi autorizzati, vendita di cosa futura ecc…)
- contratti commutativi: lo scambio ra
prestazioni è previsto sulla base di un rapporto di
corrispettività economica
Un’altra distinzione è:
- contratti a titolo oneroso: ciascuna parte,
mentre ricava un vantaggio dal contratto,
sopporta anche un sacrificio
- contratti a titolo gratuito: il sacrificio è
di una sola parte, mentre l’altra riceve solo un
vantaggio (prestito gratuito di cose, comodato,
deposito gratuito)
L’oggetto
Il codice non ne dà una definizione, ma dà i
requisiti: deve essere possibile, lecito, determinato o
determinabile (1346). Per questi requisiti ci si può
riferire alla prestazione come all’intera operazione, cioè il
contenuto complessivo del contratto.
Possibile:
possibilità della prestazione (trasferire proprietà di cose inesistenti…). Il
contratto può avere ad
oggetto l’alienazione di cose future o a cessione di
diritti futuri, salvo particolari casi vietati dalla legge
(1348). Il trasferimento di proprietà si verifica
automaticamente quando la cosa viene ad esistenza (1472).
Lecito: non
contrario alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Determinato o determinabile: dovrà essere definita la prestazione dedotta in
obbligazione (contratti
obbligatori), dovrà essere identificata la cosa
(contratti traslativi) e se generica il numero, misura, quantità
(qualità, 1178). Se l’oggetto non è determinato è
sufficiente che sia almeno determinabile, con vari criteri di
volta in volta più idonei (1474)
La forma
Nessun contratto può essere privo di forma, in questo
caso si dà alla parola un senso ampio: quindi anche un
comportamento conclusivo, la parola o dei segni
rappresentano forma. La forma dei contratti è di regola
libera. Questo potrebbe sembrare contrario alla
certezza ei rapporti giuridici e fonte di litigiosità, ma è la
chiave per la velocità di circolazione nel c.d.
traffico contrattuale.
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L’art. 1350 prevede comunque forme determinate per
specifici casi: gli atti che hanno ad oggetto diritti reali
o diritti reali di godimento ultraventennali su beni
immobili richiedono la forma scritta; donazione,
costituzione di società di capitali e convenzioni
matrimoniali richiedono l’atto pubblico.
In altri casi la forma scritta non è richiesta a pena
di nullità, ma solo per la prova in giudizio. E’ il caso
dell’assicurazione e della transazione (1967). Il
contratto non può essere provato né per testimoni né per
presunzione. Il contratto è comunque valido e la parte
interessata a farlo valere potrebbe deferire all’altra il
giuramento.
Da non confondere poi la forma richiesta per la
validità del contratto e per la trascrizione nei registri
immobiliari (atto pubblico, scrittura privata
autenticata o giudizialmente verificata).
Forma scritta e strumenti
informatici
Il documento informatico è la rappresentazione
informatica di atti, fatti, o dati giuridicamente rilevanti. Il
documento da chiunque formato, la registrazione su
supporto informatico e la trasmissione con strumenti
telematici sono validi e rilevano a tutti gli effetti
di legge (equiparazione del documento informatico al
documento materiale).
Il documento informatico sottoscritto con firma
elettronica è equiparabile alla scrittura privata, poiché
soddisfa il requisito legale della forma scritta.
Il documento informatico sottoscritto con firma
digitale è equiparabile alla scrittura privata autenticata, e fa
piena prova fino a querela di falso della provenienza
delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto.
Gli elementi accidentali.
Condizione, termine, onere
Si accosta agli elementi essenziali del contratto gli
elementi accidentali: condizione, termine, modus o
onere. Sono
in realtà clausole contrattuali e fanno parte del contenuto dell’accordo se
espressamente
richieste dalle parti.
Con la condizione (1353) le parti possono
subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un
singolo patto a un avvenimento futuro e incerto. Si
distinguono quindi la condizione sospensiva (sospende
gli effetti del contratto sino a che non si verifica
l’avvenimento) e la condizione risolutiva (quando si
verifica l’avvenimento il contratto si scioglie).
Inserendo clausole di questo tipo un soggetto può far
diventare rilevante il suo motivo personale, che come
sappiamo altrimenti non avrebbe influenza.
Gli effetti della condizione retroagiscono di
regola al momento della conclusione del contratto (1360). Se
vendo una casa con clausola sospensiva, nel momento in
cui si verifica la condizione la proprietà passa
all’acquirente e si considera proprietario dal momento
della stipula del contratto. La legge chiama il periodo
di incertezza pendenza della condizione (1356).
E’ una situazione di aspettativa che la legge tutela,
riconoscendo a queste parti il potere di compiere atti
conservativi della cosa. Inoltre chi ha alienato sotto
condizione sospensiva o chi ha acquistato sotto
condizione risolutiva è tenuto a comportarsi secondo buona
fede per non pregiudicare le ragioni dell’altra parte.
Se l’evento previsto non si verifica per causa imputabile
a quella parte che avesse interesse ad evitarne gli
effetti, la condizione si considera avverata (1359).
La condizione impossibile rende il contratto
nullo se sospensiva, se risolutiva si considera come mai apposta
(1354). La condizione illecita rende il contratto
nullo in entrambe le situazioni.
Se la condizione non dipende dalla volontà delle
parti, ma dal caso o dalla volontà di terzi, si dice causale.
La condizione è invece mista se a realizzare
l’evento concorrono sia la volontà delle parti che il caso (o un
terzo). Se la condizione dipende dalla volontà di una
parte sola si dice potestativa, poiché attribuisce a
questa parte il potere di influire sugli effetti del
contratto (se mi trasferisco a Roma, se cambio lavoro ecc…)
Non deve però trattarsi di puro arbitrio (se mi piace,
se vorrò, se mi parrà opportuno… 1355). Si parla di
condizione legale quando è la legge ad imporre
una condizione ed a subordinarne l’efficacia.
Il termine è la clausola con la quale si fissa
nel tempo l’inizio o la cessazione degli effetti del contratto. Il
termine può essere quindi iniziale o finale e può
riguardare nel complesso tutti gli effetti o solo una parte. La
scadenza del termine non ha efficacia retroattiva. Il
periodo di pendenza si tratta di attesa di un evento certo.
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L’onere è un obbligo imposto al beneficiario di
un contratto di donazione modale. Il beneficiario è tenuto ad
adempierlo nei limiti del valore della cosa donata.
L’atto di donazione può prevedere la risoluzione in caso di
inadempimento (793). L’onere impossibile o illecito si
considera non apposto.
CAPITOLO 21
L’EFFICACIA DEL CONTRATTO
Il contratto ha forza di legge fra le parti (1372)
Vincolo e recesso
Le parti non possono sciogliersi con decisione
unilaterale dagli impegni derivanti dal contratto. Può però
essere attribuito dalla legge o dal contratto un diritto
di recesso. E’ un diritto potestativo il cui esercizio
provoca lo scioglimento del vincolo contrattuale. Ne
sono esempi la revoca del mandato da parte del
mandante o la rinuncia del mandatario. La facoltà di
recedere può richiedere l’esistenza di gravi motivi o di
giusta causa (come per il licenziamento).
Il recesso si deve esercitare prima che il contratto
abbia avuto un principio di esecuzione (1373), tranne che
per i contratti di durata, cioè ad esecuzione
periodica e continuata (fornitura di elettricità, gas, accesso ad
internet, lavoro subordinato…) In questi casi il
mancato esercizio del diritto di recesso può costituire
rinnovazione tacita del contratto.
Il recesso può essere collegato ad un corrispettivo,
in tal caso il recesso ha effetto solo con il pagamento di
una data somma di denaro da parte del recedente.
In caso di caparra se chi recede è chi ha
versato la caparra la perde (caparra penitenziale); se chi recede è
chi ha ricevuto la caparra deve restituirne il doppio.
(1386).
La facoltà di recesso riconosciuta al consumatore è un
diritto potestativo il cui esercizio non è subordinato ad
alcuna giustificazione. Uniche limitazioni a tutela
del commerciante sono la comunicazione entro 7/10 giorni
lavorativi e l’integrità della merce restituita.
Diversi tipi di efficacia
L’art. 1376 definisce i contratti traslativi come quei
contratti che hanno per oggetto il trasferimento della
proprietà di una cosa determinata, la costituzione o
il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di
un altro diritto. Sono detti anche ad efficacia reale.
Secondo il principio consensualistico il
diritto si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti
legittimamente manifestato.
Si distinguono contratti ad efficacia istantanea (compravendita,
donazione) e contratti di durata, i cui
effetti si prolungano nel tempo o perché l’esecuzione
è differita (vendita a termine) o perché l’esecuzione è
continuata (contratto di lavoro) o periodica.
L’interpretazione del contratto
Per determinare gli effetti del contratto è necessario
valutare il contenuto dell’accordo. Il contenuto
dell’accordo si determina anzitutto attraverso l’interpretazione
del contratto, ovvero attribuire un significato
(1362-1371). Nell’interpretare il contratto si deve
indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e
non limitarsi al senso letterale delle parole (1362).
La regola base è che il contratto deve essere interpretato
secondo buona fede (1366). Non si deve dare inoltre
peso eccessivo alle parole ma valutarle nel contesto.
Se nonostante tutto alcune clausole del contratto
rimangono dubbie si cercherà di attribuirgli un significato
tra quelli possibili, secondo un criterio di buona
fede. Così si attribuirà un significato che ha qualche effetto
piuttosto che un significato che non dà effetti; si
considerano gli usi interpretativi del luogo; si attribuisce il
significato meno favorevole ha chi ha predisposto la
clausola; oppure infine si sceglie il significato che
realizza un equo contemperamento degli interessi delle
due parti.
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Se compiuta l’interpretazione le due manifestazioni
non convergono in un accordo, il consenso non si è
formato. A questo punto si può procedere con l’accertamento
della conclusione del contratto.
Integrazione del contratto
Si definisce come integrazione del contratto quel
procedimento che, sulla base dell’accordo manifestato dalle
parti, ne completa il contenuto o ne determina
compiutamente gli effetti. Si può avere integrazione
dispositiva (cioè
se parti non hanno stipulato diversamente) e integrazione imperativa (si
applica anche
contro una diversa stipulazione delle parti). L’art
1340 è un esempio di integrazione dispositiva poiché
considera inserite nel contratto le clausole d’uso a
me che siano non volute dalle parti. E’ imperativa invece
quella dell’art. 1339 che prevede che le clausole o i
prezzi di beni e servizi, imposti dalle legge siano inseriti
di diritto nel contratto, anche in sostituzione di
clausole difformi (clausole che stabiliscono durata del
contratto di locazione inferiore a quella minima sono
nulle e sostituite di diritto con quelle imposte).
Inoltre gli effetti del contratto non si limitano a
quanto pattuito tra le parti, ma si estendono anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli
usi, l’equità (come nell’ordine). Le norme inderogabili
(1339) sono fonte di integrazione anche contro la
volontà delle parti (non solo contro il silenzio); non hanno
questa forza le norme dispositive, che sono pure fonte
di integrazione.
L’integrazione nei contratti innominati (atipici)
avviene per analogia con casi simili; in mancanza di
analogie il giudice terrà conto degli usi e infine
all’equità.
Anche il criterio di buona fede è uno strumento di
integrazione del contratto (1375).
Efficacia del contratto rispetto a
terzi
Il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se
non nei casi previsti dalla legge (1372). Principio di
relatività degli effetti del contratto. Il senso è che
il contratto non può produrre effetti diretti nella sfera
giuridica dei terzi. Ma indirettamente anche i terzi
vengono coinvolti.
Una eccezione al principio di relatività si profila
nel contratto a favore di terzi (1411 e ss.). E’ il contratto
con cui una parte, promettente, si obbliga nei
confronti dell’altra, stipulante, a eseguire una prestazione a
favore di un terzo (contratto di assicurazione sulla
vita, stipulata dall’assicurato e in caso di sua morte la
prestazione è a favore di un familiare).
Cessione del contratto e
subcontratto
La cessione di contratto consiste a sua volta in un
contratto tra un cedente e un cessionario. E’ un rapporto a
prestazioni corrispettive che richiede il consenso
dell’altra parte, del contraente ceduto (1406).
Si parla di subcontratto quando non si ha una
sostituzione nel primo contratto, ma si costituisce una nuova
situazione, derivata da quella esistente, tra una
delle parti ed un terzo (subappalto, subaffitto) Occorre
stabilire se il contratto originario permetta tale
operazione o se sia necessario il consenso dell’altra parte.
La rappresentanza. La procura
Il rappresentante, usando del suo potere di
sostituirsi al rappresentato, manifesta una volontà e forma un
accordo che produce effetti nella sfera giuridica di
quest’ultimo (che non è un terzo, ma parte sostanziale del
contratto). Ecco perché rappresentanza (e procura che
ne è strumento) sono disciplinati nel Capo dedicato
agli effetti del contratto.
La procura è un atto unilaterale rivolto ai
terzi, costitutivo del potere di rappresentanza. L’art. 1392
stabilisce che la forma richiesta è quella prescritta
per l’atto che il rappresentante dovrà compiere.
La capacità d’agire richiesta per l’atto deve essere
del rappresentato, parte sostanziale. La parte formale è il
rappresentante che deve manifestare volontà di
contrarre e deve essere capace di intendere e di volere in
misura proporzionata alla natura e all’entità
dell’atto (1389). La parte formale risponde di eventuali errori o
comportamenti di male fede nella stipulazione del
contratto, a meno che non si limitasse a trasmettere la
volontà altrui (nuncio, messo, 1391).
Il rappresentante può agire solo nei limiti della
procura e nell’interesse del rappresentato. Se il rappresentante
eccede i limiti della procura o ne è del tutto
sprovvisto (falso procuratore, 1398) siamo nel caso di eccesso
dal potere dove
solo la ratifica può determinare l’efficacia del contratto nei confronti
del rappresentato.
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Ratifica che può essere espressa (dichiarazione che
abbia la forma della procura) o tacita (semplice
esecuzione del contratto). Per mancanza di ratifica il
contratto è inefficace e il rappresentante deve
rispondere della sua responsabilità precontrattuale,
dovendo risarcire i danni all’altra parte.
La procura è revocabile ma la revoca va portata
a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.
Simulazione del contratto
E’ il caso in cui le parti, nel concludere il
contratto, siano d’accordo per escludere che esso abbia a produrre
effetti tra di loro: intendono far apparire che un
contratto è stato da loro concluso, ma non intendono che
regoli effettivamente il loro rapporto (1414 e ss.)
La simulazione richiede la stipulazione di un
contratto e un accordo in base al quale quel contratto è solo
apparente (accordo simulatorio). Inoltre si può
stipulare un secondo accordo a concludere un contratto vero
che le parti vogliono mantenere nascosto (contratto
dissimulato) dietro lo schermo di quello apparente. In
questi casi si parla di simulazione relativa (simulazione
assoluta dove non c’è un contratto dissimulato).
Se lo scopo non è lecito la simulazione è fraudolenta;
se il contratto dissimulato è in sé lecito è nullo.
Uso indiretto e fiducia
L’uso indiretto del contratto si propone che certi
risultati vengano raggiunti indirettamente, cioè usando un
contratto con uno schema causale diverso, che consente
però di raggiungere per via traversa il risultato
voluto o un risultato equivalente (donazione indiretta
mediante vendita a prezzo simbolico). L’uso indiretto
non è simulazione poiché le parti non si accordano per
concludere in apparenza un contratto destinato a non
aver effetto.
Un caso di uso indiretto del contratto è la fiducia:
un contratto che ha l’effetto di trasferire la proprietà viene
accompagnato da un patto con cui si impone
all’acquirente di conservare il bene per restituirlo all’alienante o
ad altra persona. Uno scopo potrebbe essere quello di
mutuo a garanzia reale: gli vendo l’immobile e quando
gli restituisco i soldi mi rende l’immobile. Questo
patto è al limite dell’illiceità perché come sappiamo i patti
commissori sono vietati.
CAPITOLO 22
VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL
CONTRATTO
Le vicende del vincolo contrattuale
Il contratto crea un vincolo che lega le parti
fintanto che il regolamento contrattuale ha per loro forza di
legge. Il vincolo contrattuale può tuttavia:
- non formarsi perché manca uno dei requisiti
essenziali del contratto
- formarsi in modo fragile, perché i requisiti del
contratto sono presenti ma difettosi
- formarsi ma rompersi successivamente per fatti sopravvenuti
Nei primi due casi si parla di invalidità del
contratto poiché il vincolo viene meno per un difetto originario
del contratto, nel terzo caso si parla di scioglimento.
Un contratto è valido se:
- si è formato in modo conforme a quanto prescrive la
legge (con requisiti e senza difetti)
- è idoneo a produrre effetti (stabili e resistenti)
Un contratto è invalido se:
- si è formato in modo difforme rispetto a quanto
prescrive la legge
- è inidoneo a produrre effetti (nullo) o non è
idoneo a produrre effetti stabili (annullabile)
Quindi un contratto invalido può essere efficace (il
contratto annullabile finché non viene annullato) e un
contratto valido può essere inefficace (perché
sottoposto a termine o a condizione).
Lo scioglimento del vincolo contrattuale fa
venir meno gli effetti del contratto e può avvenire per:
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- concorde volontà fra le parti
- recesso di una delle parti nei casi stabiliti dalla
legge o previsti dal contratto
- risoluzione del contratto (1453, per inadempimento,
onerosità eccessiva sopravvenuta,
impossibilità sopravvenuta)
Nullità e annullabilità
Si parla di nullità quando il legislatore
valuta il contratto come assolutamente inidoneo a produrre effetti.
Dispone quindi che non produca alcun effetto sin dall’origine
e che questa inidoneità non abbia rimedio,
poiché radicata.
Si parla di annullabilità quando si ritiene
opportuno disporre che il contratto produca effetti, ma viene dato a
una delle parti il potere di far annullare il
contratto e i suoi effetti. La situazione è perciò sanabile per volontà
della parte che ha il potere di far cadere il
contratto, anche se gli effetti prodotti sono fragili.
Il contratto è nullo quando è contrario a norme
imperative, salvo che la legge disponga diversamente (1418).
Più precisamente la nullità consegue a:
- mancanza di uno dei requisiti essenziali
- illiceità del contratto (illiceità della causa,
dell’oggetto, del motivo -1345-, della condizione)
- altri casi stabiliti dalla legge
La nullità non ha bisogno di essere stabilita di volta
in volta, poiché ha un fondamento generale e si produce
ogni volta che tale situazione si realizza.
Il codice prevede singole e tassative cause di
annullamento (1425 e ss.)
I principali casi di nullità
Come già detto la mancanza di un elemento essenziale
porta alla nullità del contratto.
Accordo: può
mancare l’accordo, dal punto di vista dei soggetti, o perché un soggetto manchi
del tutto o
quando uno dei contraenti difetti di capacità
giuridica. Dal punto di vista delle volontà manca l’accordo se
manca una dichiarazione di volontà attendibile
(contratto concluso per scherzo o stipulato per effetto di
violenza). Da non confondere la mancanza di accordo
come causa di nullità dalla mancanza radicale che non
porta nemmeno alla conclusione del contratto (dissenso
palese).
Causa: ad
esempio assicurazione contro rischio inesistente (1895)
Oggetto:
mancanza, oggetto impossibile o inesistente
Forma: solo
se è richiesta per la validità dell’atto (1350) e non solo per la prova (1967)
Il contratto è illecito quando è illecito uno
dei suoi elementi essenziali (causa, oggetto) oppure quando sono
illeciti il motivo comune ad entrambe le parti o la
condizione. Illecito significa contrario alle norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ha carattere imperativo la norma che è inderogabile
dall’autonomia privata perché è posta a tutela
dell’interesse pubblico, in prima fila le norme costituzionali.
Per ordine pubblico si intendono i principi non
espressamente citati nelle norme (altrimenti sarebbero
norme imperative), ma che si ricavano da tutto il
sistema e non possono essere derogati dalla volontà privata.
Per buon costume si intendono i valori della
moralità corrente. Quanto al motivo la norma dell’art. 1345
dispone che un contratto è illecito se le parti sono
determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo
illecito comune ad entrambe.
L’art. 1344 estende l’illiceità della causa anche a
quei contratti che costituiscono mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa. Le parti si accordano in modo da raggiungere
risultati pratici
equivalenti a situazioni espressamente vietate dalla
legge (vendita con patto di riscatto per eludere il divieto
di patto commissorio, 2744). Si parla in questi casi
di frode alla legge.
Le cause di annullamento.
L’incapacità
L’art. 1425 prevede l’annullabilità del contratto per incapacità
legale di una delle parti. E quindi si intende
il minore, l’interdetto nonché l’inabilitato e il
minore emancipato per gli atti di straordinaria amministrazione
compiuti senza l’assistenza del curatore. La capacità
di fatto non ha quindi rilevanza.
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Lo stesso articolo prevede l’annullabilità per incapacità
di intendere e di volere (naturale), rinviando
all’art. 428 il quale prevede che un atto giuridico sia
annullabile quando sussistano due presupposti:
- l’autore dell’atto sia stato, per qualunque causa anche
transitoria, incapace di intendere o di
volere al momento della conclusione del contratto
- dall’atto derivi un grave pregiudizio per
l’incapace, il che può risultare dalla malafede
dell’altro contraente.
Nel caso di incapacità naturale di una parte e
buonafede dell’altro contraente viene tutelata la posizione di
quest’ultimo, quindi il contratto non si considera
annullabile; nel caso di incapacità legale il contratto viene
considerato annullabile perché l’ignoranza dell’altro
contraente non è giustificabile.
L’art. 1426 dispone che un contratto concluso da un
minore che si faccia credere maggiorenne non è
annullabile; norma a protezione dell’altra parte anche
perché il minore dimostra di essere sufficientemente
furbo da poter contrarre.
I vizi del consenso
L’art. 1427 parla di consenso dato per errore, estorto
con violenza o carpito con dolo. La parte si trova legata
a un contratto al quale non avrebbe consentito se non
si fosse verificato un suo errore, o l’altrui violenza, o
il dolo della controparte.
L’errore viene inteso come falsa
rappresentazione della realtà. Ci sono due diversi tipi di errore:
- errore-vizio (che vizia la formazione della volontà)
o errore-motivo (che determina a contrarre)
- errore ostativo, errore in cui si inciampa nella
manifestazione della volontà (decido di offrire 120€
per un oggetto, ma la segretaria scrive 220€ per
errore e io firmo la proposta senza accorgermene).
In casi c’è divergenza tra volontà e dichiarazione.
In entrambi i casi l’errore deve essere essenziale
e riconoscibile dall’altro contraente.
L’errore essenziale è un concetto che implica
due elementi:
- che l’errore sia determinante per il consenso
- che riguardi certe circostanze previste dall’art.
1429 che sono:
1. errore sulla natura (credo di comprare a rate,
invece ricevo in locazione) o sull’oggetto (credo di
essere ingaggiato come attore, invece sono ingaggiato
come modello) del contratto
2. errore sull’identità dell’oggetto della prestazione
(credo di aver comprato l’appartamento visto con il
mediatore, invece è un altro) o sulla qualità
dell’oggetto (olio di semi anziché extravergine). L’errore
di calcolo rende il contratto soggetto a rettifica, ma
non annullabile (1430)
3. errore sull’identità o sulla qualità dell’altro
contraente. Prevale per i contratti che si basano sulla
fiducia nella persona (mandato, società ecc..) e
quindi l’errore di identità è rilevante. Come nel caso
in cui stipulo un pagamento a lunga scadenza,
l’identità del debitore è rilevante, vista la sua
solvibilità.
4. errore di diritto che sia stato ragione unica o
principale del contratto. L’ignoranza di una norma
giuridica mi permette di annullare un contratto, ma
non di sottrarmi all’applicazione della legge.
In generale i motivi erronei per cui viene
stipulato un contratto non sono rilevanti; questo è a tutela della
controparte che non è tenuta ad informarsi sulle
particolari ragioni per cui il partner si è deciso al contratto.
L’errore si considera riconoscibile quando, in
relazione al contenuto, alle circostanze del contratto e alla
qualità dei contraenti, una persona di normale
diligenza avrebbe potuto rilevarlo (1428, 1431).
L’annullabilità per errore non può essere richiesta
dalla parte in errore se l’altra offre tempestivamente di
eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle
modalità del contratto che la prima intendeva concludere.
Per violenza morale si intende la minaccia
portata dall’altra parte o anche da un terzo (1434) per estorcere il
consenso al contratto (1427). La minaccia deve avere
alcune caratteristiche:
- deve essere tale da fare impressione ad una persona
sensata (in base ad età, sesso, condizioni
della persona)
- deve riguardare un male ingiusto e notevole alla
persona o ai beni del minacciato
E’ ingiusto quel male che lede un interesse
giuridicamente protetto e che non trova giustificazione in una
norma giuridica. Non sono causa di annullamento del
contratto timore personale (non indotto da minacce) e
timore reverenziale verso una persona (1437). Se però una parte si approfitta del timore
dell’altra si ha
violazione del dovere di correttezza nelle trattative.
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Per dolo si intende il raggiro usato da uno dei
contraenti per carpire il consenso, cioè indurre l’altra parte a
contrarre. Il dolo deve essere determinante, nel senso
che senza i raggiri l’altra parte non avrebbe contratto;
se il raggiro ha solo indotto la parte ingannata a
contrarre a condizioni diverse (dolo incidente) il contratto è
valido, il contraente in malafede risponde dei danni
(1440).
Se l’autore dei raggiri è un terzo il contratto è
annullabile solo se la controparte ne era a conoscenza e ne ha
tratto vantaggio.
Le azioni di nullità e annullamento
Di regola la nullità è assoluta, cioè può
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, e può essere
rilevata d’ufficio (1421), mentre l’annullabilità è
relativa e può essere fatta valere solo dalla parte nel cui
interesse è stabilita la legge (1441)
Nel caso di annullabilità, la parte che la può
richiedere può fare richiesta di convalida del contratto con un
atto unilaterale. La convalida può essere tacita se
viene eseguito volontariamente il contratto nonostante si
fosse a conoscenza del vizio. Per la nullità non è
ammessa convalida perché il vizio è radicato e perché la
situazione supera l’interesse del singolo individuo.
E’ prevista la conversione di un contratto
nullo in un altro contratto di cui abbia i requisiti per produrre
effetti (1424). Ci deve essere interesse delle parti
in relazione allo scopo del nuovo contratto. Vi casi in cui è
la legge a disporre la conversione, come nel caso dei
contratti di mezzadria che non possono essere rinnovati,
ma vengono convertiti in contratti d’affitto.
L’azione di nullità non si prescrive, mentre l’azione
di annullamento si prescrive in 5 anni a partire dalla
cessazione dell’incapacità legale, della violenza o dalla
scoperta dell’errore o del dolo. Dopo questo periodo
gli effetti diventano definitivi.
Nel caso in cui solo alcune clausole sia affette da
nullità si considera nullo tutto il contratto se risulta che i
contraenti non lo avrebbero concluso senza dette clausole
(1419), a meno che le clausole nulle non siano
sostituite di diritto da norma imperative.
In un contratto plurilaterale se nullità o
annullabilità colpiscono una parte può essere considerato nullo
l’intero contratto se questa parte è considerata essenziale;
dipende quindi dalla situazione.
Il contratto iniquo. La rescissione
Per contratto iniquo si intende contratto ingiusto.
Dal punto di vista dell’invalidità del contratto, l’iniquità
non ha grande rilievo poiché ogni soggetto capace di
agire è considerato di per sé in grado di valutare i
propri interessi e di decidere in proposito. Il
diritto privato non può essere troppo rigido nei confronti delle
iniquità altrimenti questo andrebbe a discapito del
massiccio e veloce traffico contrattuale che caratterizza la
vita economica. Un limitato rimedio all’iniquità dello
scambio è offerto dalla rescissione, solo nei casi in cui
vi sia il presupposto dell’approfittamento dello stato
di pericolo o di bisogno in cui si trovi una delle parti.
E’ rescindibile il contratto con cui una parte abbia
assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità,
nota alla controparte, di salvare sé o altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona (1447) (il
padrone di una barca che chiede 5000€ per uscire in mare
a salvare una persona che sta annegando). Lo stato
di pericolo è preesistente quindi si distingue dalla
violenza, causa di annullamento.
E’ rescindibile anche il contratto concluso a
condizioni inique per stato di bisogno di una parte, del quale
l’altra abbia approfittato per trarne vantaggio.
Occorre che la lesione ecceda metà del valore che la
prestazione della parte danneggiata aveva al momento
della conclusione del contratto (1448). Per stato di
bisogno si intendo a livello economico
Non è mai rescindibile per causa di lesione un
contratto aleatorio.
L’azione di rescissione si prescrive nel breve termine
di un anno; il convenuto può evitare la rescissione
offrendo di riportare il contratto a equità (1450).
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CAPITOLO 23
LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO
Lo scioglimento del contratto
Il contratto non può essere sciolto che per mutuo
consenso o per cause ammesse dalla legge (1372). Si parla
di scioglimento o risoluzione del contratto quando gli
effetti del contratto vengono a cessare per cause che
non riguardano il titolo ma chi ineriscono allo
svolgimento del rapporto contrattuale.
Il mutuo consenso non è altro che un altro
accordo della parti di sciogliere il contratto.
Il contratto può contenere clausole che ne prevedono
lo scioglimento come la condizione risolutiva o la
clausola risolutiva espressa (vedi par. successivo). Stessa funzione ha nei
contratti di durata la clausola di
recessione per una delle parti. Casi di scioglimenti
previsti dalla legge sono quelli in cui è previsto un potere
di recesso, o di revoca o rinuncia.
La risoluzione del contratto (1453 e ss.) è un
modo di scioglimento che riguarda i contratti a prestazioni
corrispettive, ovvero di scambio in cui la prestazione
di ciascun contraente ha causa nella prestazione
dell’altro. Sono tre i casi di risoluzione contemplati
dal Capo XIV del Titolo II:
- inadempimento (1453 e ss.)
- impossibilità sopravvenuta (1463 e ss.)
- eccessiva onerosità (1467 e ss.)
Gli effetti dello scioglimento sono comuni alle
tre ipotesi: lo risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, a
meno che il contratto non fosse ad esecuzione
continuata o periodica (locazione). La risoluzione è in
opponibile ai terzi e quindi non pregiudica i diritti
da loro acquistati (indipendentemente da buona o
malafede, titolo oneroso o gratuito, poiché il
contratto è nato validamente).
Per quanto riguarda il contratto plurilaterale la
formula è molto simile a quella dell’annullamento e della
nullità: il venir meno del rapporto verso uno dei
contraenti non determina la risoluzione dell’intero contratto
salvo che la partecipazione mancata debba, secondo le
circostanze, considerarsi essenziale (1459).
Risoluzione per inadempimento
Quando una delle parti è inadempiente l’altra parte
può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione
del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento
del danno (1453). Quindi
l’adempimento di una parte
attribuisce all’altra il diritto potestativo di
risolvere il contratto.
Ma la reazione deve essere proporzionata ai fatti: il
contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una
delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo
all’interesse dell’altra (1455). E’
richiesto quindi che il
rapporto sinallagmatico non sia più funzionale.
La scelta dell’adempimento è reversibile: anche dopo
aver promosso il giudizio per la condanna dell’altra
parte, l’attore può richiedere la risoluzione. La
risoluzione è invece irreversibile.
Clausola risolutiva espressa: i contraenti possono prevedere espressamente nel contratto
che
l’inadempimento di una o più obbligazioni precisamente
indicate sia causa di risoluzione. In tal caso la
risoluzione opera di diritto, senza la necessità di
alcun procedimento.
Il diritto di determinare la risoluzione di può
esercitare in due modi:
- con domanda giudiziale: chiedere al giudice
di risolvere il contratto ed eventualmente condannare
l’altra parte a restituire la prestazione ricevuta,
oltre al risarcimento del danno (1453)
- in via extragiudiziale: ottenere
l’adempimento attraverso una diffida ad adempiere, cioè un atto
scritto con cui si intima la parte ad adempiere entro
un termine, non inferiore ai 15 giorni, con
dichiarazione che scaduto il detto termine il
contratto si considera risoluto.
In ogni caso la parte inadempiente dovrà risarcire il
danno.
Clausola penale e caparra
confirmatoria
Si ha clausola penale quando il contratto
prevede che, se una certa prestazione non sarà adempiuta, la parte
inadempiente debba senz’altro pagare una certa somma
(1382). E’ intesa quindi come una liquidazione
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anticipata del danno, tanto che il creditore non può
pretendere un risarcimento maggiore. AL contempo il
debitore è protetto contro una penale eccessiva: il
giudice può inoltre disporre una riduzione della penale.
La caparra confirmatoria è una somma di denaro
o una quantità di cose fungibili che viene versata da una
parte all’altra alla conclusione del contratto, a
conferma della serietà dell’impegno, e in acconto sul prezzo o
sulla prestazione pattuita (1385). Se chi ha versato
la caparra non adempie, l’altra parte ha il diritto di
recedere dal contratto trattenendo la caparra. Se chi
ha ricevuto la caparra non adempie, l’altra parte può
recedere esigendo il doppio della somma data in
anticipo.
Risoluzione per impossibilità
sopravvenuta
L’impossibilità sopravvenuta libera il debitore
quando sia dovuta a un fatto a lui non imputabile (1256). In
un contratto a prestazioni corrispettive questo
implica il venir meno di una delle prestazioni. Perciò questo
tipo di impossibilità provoca automaticamente la risoluzione
del contratto, senza bisogno di alcuna azione.
La parte liberata per effetto dell’impossibilità non
può più pretendere la prestazione dell’altra, e se l’ha già
ricevuta (prestazione non dovuta) dovrà restituirla,
causa l’effetto retroattivo della risoluzione.
In caso di impossibilità parziale l’altra parte
può decidere se chiedere una riduzione della prestazione da lui
dovuta o recedere dal contratto. Anche l’impossibilità
temporanea può determinare lo scioglimento del
rapporto, poiché in relazione al titolo
dell’obbligazione o alla natura della prestazione il creditore può non
essere più interessato a riceverla. Estinta
l’obbligazione il contratto si scioglie.
Risoluzione per eccessiva onerosità
Il sinallagma in un rapporto si può alterare anche nel
caso in cui, dopo la conclusione del contratto, una
prestazione diventa eccessivamente onerosa rispetto
all’altra. La questione non si pone nei contratti ad
esecuzione immediata, ma nei contratti ad
esecuzione differita oppure ad esecuzione periodica e
continuata (1467).
La legge considera come causa di risoluzione solo l’onerosità indotta dal
verificarsi da
avvenimenti straordinari e imprevedibili, poiché è
rischio dei contraenti regolare i loro rapporti sulla base
degli accadimenti ordinari: la sopravvenuta onerosità
deve superare quindi la normale alea del contratto.
La risoluzione per eccessiva onerosità è esclusa per i
contratti aleatori.
La parte contro cui è domandata la risoluzione può
offrire di modificare le condizioni del contratto secondo
equità (1467).
L’eccessiva onerosità in un contratto unilaterale non
libera il debitore, ma gli dà il diritto di una riduzione
della prestazione tanto da ridurla ad equità.
CAPITOLO 24
I CONTRATTI DI ALIENAZIONE
La vendita
La vendita è il contratto che ha per oggetto il
trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un
altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo
(1470). Le prestazioni essenziali sono da parte del venditore il
trasferimento del diritto (di proprietà, di credito,
di brevetto ecc…) e da parte del compratore il pagamento
del prezzo.
La vendita è sempre destinata a produrre un effetto
traslativo, ma non sempre questo effetto è immediato. Il
diritto si trasferisce al momento della conclusione
del contratto, se la vendita ha per oggetto cose
determinate, diritti reali su cose altrui o altri
diritti (principio consensualistico). L’effetto traslativo non è
immediato se riguarda cose determinate solo nel genere
(1378): la proprietà si trasmette in questo caso solo
con l’individuazione.
Anche per vendita di cose future, vendita di
cose altrui e vendita con riserva della proprietà l’efficacia reale
non è immediata: è per questo che il venditore, oltre
alle normali obbligazioni, deve assumere l’obbligazione
di procurare al compratore l’acquisto della proprietà (vendita obbligatoria o a effetti obbligatori).
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Le obbligazioni del compratore sono di pagare il
prezzo nel tempo e nel luogo fissati (1498), corrispondere
eventuali interessi se il prezzo non fosse
immediatamente esigibile, e pagare le spese della vendita (se non
diversamente pattuito, 1475).
Il venditore è obbligato:
a) a consegnare la cosa al compratore (vendita ad
effetti reali)
b) a fargli acquistare la proprietà della cosa o il
diritto (vendita ad effetti obbligatori)
c) a garantire il compratore dall’evizione e dai vizi
della cosa
L’obbligo di consegna si adempie trasferendo il
possesso della cosa, in modo effettivo o simbolico. La
consegna deve comprendere pertinenze, accessori,
frutti maturati dopo la vendita, titoli e documenti relativi
alla proprietà e all’uso della cosa (1477).
L’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella
di custodirla fino alla consegna (1177).
Vendita di cosa futura è ad esempio la vendita di un appartamento in un edificio
da costruire; la proprietà
passa solo nel momento in cui la cosa viene ad
esistenza (1472): il venditore è obbligato a fare quanto
necessario perché la cosa venga ad esistenza. La
vendita può avvenire con carattere aleatorio e quindi il
compratore corre il rischio che la cosa non venga ad
esistenza, dovendo comunque pagare il prezzo, o con
carattere commutativo dove se la cosa non viene
ad esistenza il contratto è inefficace.
Si ha vendita di cosa altrui (1478 e ss.) se
una persona vende una cosa di cui non è proprietario. Ha la
funzione di favorire la circolazione dei beni perché
consente di anticipare la vendita procurare il capitale
necessario ad acquistare. E’ la prassi nei commerci
imprenditoriali (vendita su commessa). Il contratto
produce effetti obbligatori immediati, tra questi
l’obbligo per il venditore di procurare l’acquisto della
proprietà.
Se il compratore era a conoscenza dell’altruità della
cosa, la vendita di cosa altrui si regola come un comune
contratto obbligatorio; se il compratore ignorava la
situazione può richiedere la risoluzione del contratto
senza aspettare l’inadempimento, perché ha comperato
senza saperlo da chi non era proprietario (1479)
Si ha evizione quando un terzo fa valere un
diritto di proprietà o un altro diritto reale sulla cosa venduta e,
vincendo, sottrae la cosa al compratore o ne limita il
godimento. L’evizione si realizza per effetto di
un’azione di rivendicazione del terzo contro il
compratore (che ne abbia il possesso) o per un’azione
confessoria. Se al tempo della vendita il compratore
ignorava il pericolo di rivendica, è autorizzato a
sospendere il pagamento del prezzo (1481). Se il
compratore subisce l’evizione totale, il venditore è tenuto a
risarcirlo del danno (1483,1479). Se la cosa è
parzialmente evitta (1484) il contratto si risolve o il prezzo si
riduce.
La garanzia per evizione è un effetto naturale del
contratto di compravendita e si applica anche se le parti
non lo prevedono (i contraenti sono liberi di
escluderla). La garanzia non è prevista per i contratti aleatori.
La garanzia per i vizi della cosa venduta
protegge il compratore contro i vizi materiali della cosa, che la
rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne
diminuiscano in modo apprezzabile il valore (1490). La
garanzia riguarda vizi occulti (che il compratore non
poteva facilmente conoscere) e vizi conoscibili (se il
venditore ha dichiarato la cosa esente da vizi). Anche
la garanzia per vizi è un effetto naturale.
L’effetto della garanzia è quello di consentire al
compratore la scelta fra la risoluzione del contratto o la
riduzione del prezzo. In ogni caso il compratore ha
diritto al risarcimento dei danno derivati dai vizi, se il
venditore non prova di aver ignorato senza colpa i
vizi della cosa.
Il compratore decade dal diritto se non denunzia i
vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta: fatta la
denuncia c’è un anno di tempo dalla consegna per
esercitare il diritto (1495).
Nel caso di mancanza di qualità promesse ovvero
essenziali per l’uso cui la cosa è destinata il compratore
può richiedere la risoluzione del contratto e/o il
risarcimento del danno.
La disciplina dettata dagli art. 1490 e ss. (valida
per i professionisti) viene meno nel caso di contratti
conclusi dal consumatore (inteso come persona fisica, destinatario finale dell’attività
produttiva di beni e
servizi), che sono regolati dagli art. 1519
bis-nonies, riguardo vendita e garanzia di beni di consumo. Per
bene di consumo si intende qualsiasi bene mobile anche
da assemblare.
Nel caso il consumatore rilevi un difetto di
conformità al momento della consegna del bene (che non è detto
coincida con quello del trasferimento di proprietà)
potrà in alternativa e senza spese a suo carico:
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- richiedere il ripristino del bene per renderlo
conforme al contratto di vendita (riparazione)
- richiedere la sostituzione
Se la riparazione è troppo onerosa o impossibile il
consumatore dovrà accontentarsi della sostituzione, o
viceversa. Se entrambe le soluzioni sono impossibili o
troppo onerose il consumatore potrà optare per una
riduzione del prezzo o per la risoluzione del
contratto. Se il difetto è di lieve entità non è riconosciuto al
consumatore il diritto alla risoluzione (1455). Il
venditore ha responsabilità su eventuali difetti di conformità
entro due anni dalla consegna.
La vendita con patto di riscatto prevede che il
venditore si riservi di riacquistare la proprietà della cosa
(diritto potestativo) mediante:
a) dichiarazione unilaterale comunicata al compratore
entro un termine fissato (1503), non maggiore di
2 anni per la vendita di mobili e di 5 per la vendita
di immobili
b) restituzione del prezzo pagato e rimborso per spese
e riparazioni. Ogni patto che preveda la
restituzione di una somma superiore è nullo per la
parte eccedente.
Con il patto di retrovendita il compratore e il
venditore (o uno solo dei due) assumono l’obbligo di
contrarre una nuova compravendita, che faccia
riacquistare al venditore la proprietà della cosa venduta. Non
è un diritto potestativo, è più assimilabile ad un
contratto preliminare.
La vendita a rate con riserva di proprietà (1523
e ss.) è così caratterizzata:
- concluso il contratto la proprietà non passa
immediatamente al compratore, ma rimane al
venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo
- la cosa viene però consegnata al compratore che ne
acquista il godimento
- il rischio per il perimento fortuito della cosa è a
carico del detentore
- l’inadempimento del compratore determina la
risoluzione del contratto; il mancato
pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte
del prezzo non è causa di
risoluzione (1525). La risoluzione determina l’obbligo
del venditore a restituire le rate, salvo
il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa,
oltre al risarcimento del danno.
Non tutte le vendite a rate sono con riserva di
proprietà.
CAPITOLO 25
I CONTRATTI DI UTILIZZAZIONE
La locazione
La locazione è il contratto con il quale una parte
(locatore) si obbliga a far godere all’altra (il conduttore) una
cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un
determinato corrispettivo (1571).
Gli obblighi del locatore sono: consegna della cosa in
buono stato, manutenzione in buono stato locativo,
garanzia del pacifico godimento.
L’obbligo di consegna in buono stato non è
adempiuto se la cosa è affetta da vizi che ne diminuiscono in
modo apprezzabile l’idoneità all’uso. Il conduttore
può chiedere la risoluzione o una diminuzione del prezzo.
In questo caso la presunzione di buona fede del
locatore non si presume: se non prova di aver ignorato
l’esistenza dei vizi dovrà rispondere dei danni.
L’obbligo di manutenzione impone al locatore di
eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle
di piccola manutenzione che sono a carico del
conduttore (1576).
L’obbligo di garanzia riguardano le molestie
provocate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa e
perciò limitano il godimento del conduttore. Il
locatore non garantisce per altri tipi di molestie (vicini
rumorosi).
La prestazione fondamentale del conduttore è il
pagamento del corrispettivo (1571), oltre a prendere in
consegna la cosa e osservare la diligenza del buon
padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato
nel contratto (1587).
A locazione finita il bene deve essere restituito nello stato iniziale, salvo
deterioramento o consumo dall’uso svolto come da
contratto (1590). Il conduttore ha inoltre l’obbligo di
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custodia ed anche la facoltà di dare in sublocazione
la cosa (ma non di cedere il contratto senza il consenso
del locatore).
Il limite massimo alla locazione è di 30 anni (1573);
la mancata disdetta del contratto vale come
rinnovazione tacita (1597).
Il comodato o prestito d’uso
Il comodato è il contratto col quale una parte
consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne
serva per un tempo o per un uso determinato, con
l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta (1803). E’
quindi una concessione gratuita dell’uso di una cosa:
se non fosse gratuita si tratterebbe di locazione.
L’oggetto del comodato è una cosa infungibile e si
suppone inconsumabile.
Il comodato è un contratto reale, che si conclude con
la consegna della cosa.
L’obbligo del comodatario è di custodire e conservare
la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e di
non servirsene che per l’uso determinato dal
contratto. In caso di inadempienza il comodante può chiedere
l’immediata restituzione della cosa, nonché il
risarcimento del danno (1804).
Il comodatario risponde della perdita o della
distruzione dovuta a sua negligenza.
Mutuo o prestito di consumo
La funzione del mutuo è quella di ottenere la
disponibilità di una certa somma di denaro o di altre cose
fungibili, con l’obbligo di restituire altrettanto
della stessa specie e qualità (1813). Il mutuo è dunque un
prestito di consumo. Il mutuo è un contratto reale che si perfezione con la consegna della
cosa. Chi ha solo
promesso di dare a mutuo, può rifiutare l’adempimento
se nel frattempo le condizioni patrimoniali del
contraente sono divenute tali da non garantire la
restituzione (1822).
Le obbligazioni che nascono dal mutuo sono di
restituire la somma e pagare gli interessi al mutuante (salvo
per i mutui gratuiti). Il mancato pagamento dà diritto
al mutuante di chiedere la risoluzione del contratto,
anche per una sola rata di restituzione.
CAPITOLO 26
I CONTRATTI DI PRESTAZIONI D’OPERA O
DI SERVIZI
Il mandato
E’ il contratto con il quale una parte (mandatario) si
obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto
dell’altra (mandante) (1703). L’oggetto della
prestazione è quindi compiere uno o più atti giuridici e un
elemento essenziale del contratto è la fiducia tra
mandante e mandatario. Per una giusta causa, come la
mancanza di fiducia, il mandante ha il potere di
revoca del mandato.
Il mandato è il contratto con cui il mandatario si
obbliga al compimento di atti giuridici per conto del
mandante, e il mandante assume i seguenti obblighi:
- fornire i mezzi necessari per l’esecuzione del
mandato
- rimborsare le spese e le anticipazioni
- risarcire eventuali danni che derivino al mandatario
dall’esecuzione del mandato
Il mandatario agisce perciò in proprio nome e acquista
diritti e obblighi che non influiscono nella sfera
giuridica del mandante, come invece avviene nella
rappresentanza. Per i beni immobili c’è quindi un obbligo
per il mandatario di trasferire i diritti al mandante;
per i beni mobili la legge attribuisce al mandante soltanto
l’azione di rivendicazione, considerandolo
proprietario dei beni anche senza il ritrasferimento (1706). Il
mandatario è inoltre obbligato a eseguire il mandato
con la diligenza di un buon padre di famiglia, valutata
con maggior rigore se il mandato è gratuito: deve
attenersi alle istruzioni ricevute dal mandante e informarlo
di ogni novità rilevante per il mandato. Infine ha il
dovere di custodia delle cose che riceve per conto del
mandante.
Il mandatario può estinguere il mandato, ma se è senza
giusta causa dovrà risarcire il danno (1727)
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CAPITOLO 27
CONTRATTI PER LA RISOLUZIONE DI
CONTROVERSIE
La transazione
E’ un particolare tipo di contratto che svolge la
funzione di porre fine a una lite già incominciata fra le parti o
di prevenire una lite che può sorgere tra loro,
tramite reciproche concessioni (1965). E’ necessario quindi che
le parti sostengano un reciproco sacrificio per
appianare la controversia. Non può transigere un minore e i
genitori che devono chiedere l’autorizzazione a del
giudice tutelare (320). E’ nulla una transazione che abbia
ad oggetto diritti indisponibili (relativi allo stato
delle persone, diritti tutelati da norme inderogabili –
lavoratore) o che riguardi un contratto illecito.
La transazione richiede la forma scritta se riguarda
diritti reali su beni immobili o se deve essere usata come
prova in giudizio. Chiusa la transazione le parti non
possono riaprire la controversia davanti al giudice, ma
può essere annullata per errori di fatto sulla
questione come la nullità del titolo a cui si riferisce, la falsità di
documenti, l’esistenza di una sentenza passata,
l’esistenza di documenti scoperti a posteriori ecc..
Compromesso
E’ l’accordo con cui le parti di una controversia si
obbligano a far decidere da arbitri la lite tra loro insorta.
Deve riguardare diritti disponibili e controversie già
insorte (anche se nei contratti può essere inserita la
clausola compromissoria che riguarda le eventuali controversie che potrebbero
sorgere)
CAPITOLO 28
ATTI E FATTI DIVERSI DAL CONTRATTO
Promesse unilaterali
La promessa unilaterale non produce effetti
obbligatori fuori dai casi ammessi dalla legge.
Promessa di pagamento e ricognizione del debito sono due dichiarazioni unilaterali, fonti di
obbligazioni
(anche se l’obbligazione in realtà preesisteva) con
cui il dichiarante promette di pagare o si riconosce
debitore di una determinata somma. La dichiarazione ha
la funzione di dispensare il creditore dall’onere di
provare il diritto di credito.
La promessa al pubblico è una fonte di
obbligazione ed è una dichiarazione unilaterale rivolta al pubblico
con cui una persona promette una prestazione a favore
di chi si trova in una determinata situazione o compia
una certa azione (1989) (ricompensa per chi dà notizie
di uno scomparso, bando per il premio letterario ecc..)
La promessa è vincolante non appena è resa pubblica
(giornali, annunci, manifesti ecc..). E’ possibile una
revoca per giusta causa (che deve essere resa pubblica
nella stessa modalità della promessa), ma non se
situazione o azione previste si sono verificate.
Gestione di affari
L’art. 2028 prevede che una persona, senza esservi
obbligata, assuma la gestione di un affare altrui, e
dispone che questa persona sia tenuta a continuare a
condurre a termine la gestione finchè l’interessato non
sia in grado di provvedervi da se stesso.
Un requisito è quindi l’impossibilità dell’interessato
a provvedere (lontananza, malattia, incapacità
temporanea di intendere o di volere), oltre al fatto
che la gestione deve utilmente iniziare e non contro il
divieto dell’interessato.
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Il gestore è praticamente soggetto alle obbligazioni
del mandato, con attenuazione della responsabilità per
danni, in considerazione alle circostanze che lo hanno
indotto a ingerirsi (2030). L’interessato dovrà
rimborsare le spese necessarie o utili.
Pagamento dell’indebito
Ogni spostamento di ricchezza deve essere
giustificato, la giusta causa dell’attribuzione patrimoniale. Se
questa manca si ha arricchimento a spese altrui, che
il diritto non ammette.
Pagamento dell’indebito si riferisce genericamente a
quei casi in cui viene eseguita una prestazione non
dovuta. L’art. 2033 e ss. Distinguono:
- indebito oggettivo: eseguo un pagamento non dovuto da
nessuno
- indebito oggettivo: eseguo un pagamento dovuto da
altri
Si ha indebito oggettivo se avviene un pagamento a
favore di chi non ha il diritto di riceverlo (pago un debito
già estinto, o derivante da un contratto nullo, pago
Tizio quando il creditore è Caio – se Tizio è creditore
apparente dovrà restituire i soldi a Caio)
Si ha indebito soggettivo se si paga per errore un
debito altrui. Se l’errore è inescusabile prevale la tutela
dell’affidamento del creditore e il debito si ritiene
estinto. Il creditore non deve restituire e chi ha pagato
subentra nei diritti del creditore (2036).
In entrambi i casi nasce per il percepente l’obbligo
di restituzione dell’equivalente che ha ricevuto o la stessa
cosa che ha ricevuto se determinata.
La restituzione non è prevista nei seguenti casi:
- quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione
di doveri morali e sociali, salvo che la
prestazione sia stata eseguita da un incapace (2034,
obbligazioni naturali)
- tutte le prestazioni avvenute all’interno di una
famiglia di fatto
- prestazione contraria al buon costume (2035) come
pagare un funzionario comunale per far
passare avanti la mia pratica
Arricchimento ingiustificato
Se una persona, senza una causa che lo giustifichi, si
arricchisce a spese di un’altra, è tenuta a indennizzare
chi si è impoverito, nei limiti dell’arricchimento
(2041). Arricchimento e impoverimento devono essere
correlati affinché nasca l’obbligazione, che ha ad
oggetto un indennizzo e non un risarcimento, poiché la
fattispecie non costituisce un illecito (fidanzato in
previsione del matrimonio compie lavori a sue spese sulla
casa di proprietà della fidanzata. Se si rompe il
fidanzamento può chiedere un indennizzo pari alla minor
somma tra le spese e l’aumento di valore
dell’immobile).
CAPITOLO 30
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITA’
Problemi e funzioni della
responsabilità civile
I problemi maggiori in tema di responsabilità civile
sono:
- determinazione del danno risarcibile, danno ingiusto
- criteri di imputazione dell’illecito, responsabilità
oggettiva e soggettiva
- causalità e valutazione del danno
La funzione principale del risarcimento del danno è
quella riparatoria che via via è andata a prevalere su
quella sanzionatoria. La responsabilità civile,
se ben organizzata, può inoltre avere una funzione
preventiva,
di dissuasione dai comportamenti nocivi.
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Le fonti di responsabilità
La fonte primaria di responsabilità è l’illecito
civile, ovvero un atto o fatto lesivo di un interesse protetto da
una norma giuridica, e dal quale derivi un pregiudizio
per il soggetto leso. Si distinguono due fattispecie
fondamentali di illecito:
1) inadempimento dell’obbligazione (1218 e ss.)
2) il fatto illecito (2043 e ss.), e cioè qualunque
fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno
ingiusto.
Tradizionalmente le due fattispecie si distinguono
come illecito contrattuale e illecito extracontrattuale.
Da considerare anche l’illecito precontrattuale,
ovvero la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo
buona fede nelle trattative contrattuali.
La regola dell’art. 2043
E’ risarcibile il danno che sia ingiusto e legato al
fato commesso da un nesso di causalità. La responsabilità
del danno è accollata a chi ha commesso il fato con
dolo (consapevolezza e volontà) o con colpa
(negligenza), a condizione che fosse capace di
intendere e di volere.
I tradizionali elementi dell’illecito sono:
- danno ingiusto e nesso di causalità (elementi
oggettivi)
- imputabilità e colpevolezza (elementi soggettivi)
Gli elementi oggettivi
dell’illecito: il danno ingiusto e il nesso causale
La definizione che si può dare di danno ingiusto –
lesione di un interesse protetto dalla legge – non è che un
sintetico rinvio alle concretizzazioni della
giurisprudenza.
Non solo la violazione di diritti soggettivi assoluti
(protetti nei confronti della generalità) porta ad un danno
ingiusto. Anche la violazione dei diritti relativi,
come il credito, può portare ad un danno ingiusto (oltre alla
disciplina dell’inadempimento).
Si ha danno ingiusto in situazioni extracontrattuali (o
aquiliane) come:
- la lesione di un interesse legittimo nei
rapporti tra privati (violazione dei limiti di
edificabilità ecc…)
- la lesione di interessi diffusi, come un
danno ambientale (abuso edilizio)
- la lesione delle c.d. aspettative legittime dove
il danno non consiste nella perdita di una
prestazione dovuta, ma di una prestazione a cui il
soggetto potesse legittimamente confidare
(mancanza di sovvenzioni da parte dei genitori)
- la lesione del possesso (richiesta danni del
possessore derivanti da immissioni)
In tutti i casi occorre un confronto tra i due
interessi, cioè del danneggiante e del danneggiato, poiché
risultano entrambi protetti. E’ il caso della legittima
difesa (comportamento lesivo tenuto per difendere sé o
altri da un’aggressione obbiettivamente ingiusta) la
cui reazione deve essere proporzionata all’offesa, o dello
stato di necessità. In quest’ultimo caso il comportamento lesivo ha lo scopo di salvare
sé o altri dal pericolo
attuale di un danno grave alla persona, non
determinato dall’altrui aggressione (rubare una macchina per
portare un ferito all’ospedale).
E’ necessario un nesso di causalità tra il
fatto illecito e il danno cagionato (2056, 1223). Nel caso in cui il
danno sia procurato da più soggetti (concausalità)
siamo in una situazione di solidarietà del debito: il
danneggiato può chiedere l’intero risarcimento a uno
dei danneggianti, saranno poi loro a ridistribuire le
responsabilità (2055).
Gli elementi soggettivi:
imputabilità
Per poter addossare delle responsabilità all’autore di
un danno ingiusto sono necessari dei requisiti minimi di
coscienza e volontà, tali per cui è possibile imputare
al soggetto le conseguenze delle sue azioni
(imputabilità del soggetto). Non risponde delle
conseguenze del fatto dannoso l’incapace di intendere o di
volere, salvo che l’incapacità non derivi sa sua colpa
(2046). La legge prevede la responsabilità indiretta di
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chi è tenuto a sorvegliare l’incapace. Se il
danneggiato non riesce ad ottenere il risarcimento (il responsabile
non può pagare o nessuno era tenuto a sorveglianza)
può almeno richiedere un’equa indennità (2047).
Responsabilità oggettiva
Con la responsabilità oggettiva si rende la colpa in
varia misura irrilevante; ci sono altri criteri di
imputazione della responsabilità oltre al
comportamento doloso o colposo: ad esempio si collega alla potestà
la responsabilità per i danni provocati da minori o
interdetti; chi trae vantaggio da un’attività ne sostiene i
rischi; si accollano i danni derivanti dalle cose ai
proprietari ecc…
La responsabilità per fatto altrui
Il danneggiato può chiedere risarcimento per i danni
derivanti da un fatto illecito non solo all’autore, ma
anche ad un terzo che non risponde di propria condotta
illecita, ma porta comunque le conseguenze di
comportamenti altrui. E’ una forma di responsabilità
oggettiva legata alla posizione del responsabile: è il
caso del datore di lavoro che risponde per i
danni provocati dal fatto illecito dei dipendenti e del
proprietario di un veicolo che risponde per i danni provocati dal conducente.
Il danno
Per danno si intende:
- lesione di un interesse
- pregiudizio (patrimoniale o morale) derivante dalla
lesione di un interesse
Il danno patrimoniale si considera come perdita o come
mancato guadagno (2056), il danno non patrimoniale
(o danno morale) è risarcibile solo nei casi previsti
dalla legge.
Giurisprudenza e dottrina hanno introdotto
recentemente il danno biologico, inteso come lesione
all’integrità psicofisica della persona, suscettibile
di valutazione medico legale, considerandolo risarcibile
indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità
di produrre reddito. In caso di lesione del diritto di
salute quindi il danno risarcibile si compone di tre
elementi:
- il danno biologico
- l’eventuale danno patrimoniale
- il danno morale soggettivo
Danno ambientale: qualunque fatto doloso o colposo in violazioni di disposizioni di
legge che comprometta
l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo o
distruggendolo in tutto o in parte. Questo danno impone
il risarcimento nei confronti dello Stato. L’importo
del risarcimento è svincolato dall’ammontare del danno,
poiché può divenire una forma di pena esemplare.
Il risarcimento
La funzione della responsabilità è quella di riparare
il danno e possibilmente riportare la situazione a quella
che sarebbe stata se la lesione non si fosse mai
verificata. Le forme di riparazione del danno sono:
- risarcimento per equivalente: somma di denaro
tale da riparare il pregiudizio patrimoniale
risentito dal danneggiato
- risarcimento in forma specifica: ripristinare
la situazione così come sarebbe se l’illecito
non si fosse verificato (rendere una cosa uguale a
quella distrutta, ricostruire ecc..)
- risarcimento pecuniario in forma specifica:
si differenzia dal risarcimento per equivalente
perché non si considera il valore perduto, ma il costo
del ripristino
Il risarcimento di carattere pecuniario può essere
determinato sulla base di una valutazione del danno,
espressa in una somma di denaro. I criteri di
valutazione (2056) sono:
- risarcimento delle perdite patrimoniali e del
mancato guadagno
- valutazione equitativa del giudice
- condotta del danneggiato (concorso di colpa o
diligenza per evitare il danno)
Per la valutazione del danno biologico e alla
menomazione psicofisica si fa riferimento ai punti di invalidità
assegnati dal medico-legale.
www.uniappunti.com 72
Con la liquidazione del risarcimento
(determinazione dell’ammontare pecuniario) il debito di valore diventa
un debito di valuta, che viene poi trattato come un
normale debito.
L’indennità (2047) non ha la funzione di
integrale riparazione del danno (come il risarcimento), ma di
compensare il pregiudizio patrimoniale non dovendo
corrispondere esattamente al danno subito. E’
determinata con criteri di equità che tengono conto
anche della condizione delle parti e delle circostanze.
Responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale
Situazione contrattuale
INCIDENTE IN TAXI
Situazione Extracontrattuale
INCIDENTE IN MACCHINA DI UN AMICO
-ho l’onere della prova del danno, non della colpa del
conducente
-prescrizione decennale
-non ho azione contro il proprietario della vettura
(semmai contro il
datore di lavoro se il taxista non è autonomo)
-ho l’onere della prova della colpa
del conducente
-prescrizione biennale
-posso agire contro il proprietario
della vettura
CAPITOLO 44
IL GRUPPO FAMILIARE
Nozione giuridica di famiglia
Il termine famiglia assume diversi connotati in base
al contesto giuridico in cui si trova: negli art. 29,30 Cost.
e 143,144 c.c. si intende famiglia nucleare (coniugi
e figli). In altri contesti come l’impresa familiare si
intende tutti i parenti fino al 3°, o in tema di
successioni fino al 6°.
Si distingue poi la famiglia legittima (fondata
sul matrimonio) dalla famiglia di fatto.
I principi costituzionali
I tre articoli fondamentali sulla famiglia sono 29,30
e 31 della Costituzione
leggere
La famiglia è riconosciuta come società naturale,
nel senso che non è un gruppo creato dal diritto dello
Stato, ma una realtà sociale dotata di autonomia
della famiglia secondo la quale né il giudice né la pubblica
amministrazione possono decidere al posto dei coniugi
come indirizzare la vita familiare.
Si riconosce la parità tra i coniugi e il dovere di
questi di verso i propri figli, sia all’interno che all’esterno
del matrimonio.
Tra le formazioni sociali di cui parla l’art. 2
Cost. possiamo anche includere la famiglia di fatto,
Le relazioni familiari: coniugio,
parentela, affinità
La parola famiglia indica l’insieme di persone che
sono legate da vincoli di coniugio (rapporto stabilito con
il matrimonio) o parentela (vincolo che unisce persone
che discendono dallo stesso stipite). Si distinguono
parentele in linea retta (che discendono l’una
dall’altra) e in linea collaterale (persone che hanno un
ascendente comune, ma non discendono l’una
dall’altra).
E’ importante il grado della parentela: in linea
retta ci sono tanti gradi quante sono le generazioni (nonni e
nipoti: 2° grado). In linea collaterale si contano i
gradi risalendo da una persona fino allo stipite comune e
poi riscendendo fino all’altro parente (io e mio
cugino: 4°. Iomammanonnoziocugino).
Il limite
legale di rilevanza di parentela è il 6° (77).
Si distinguono parentele legittime (in base ad un
matrimonio) e parentele naturali (fuori dal matrimonio).
Con l’adozione di minorenni si stabilisce lo
stesso rapporto giuridico esistente tra genitore e figlio e crea un
rapporto di parentela con i parenti degli adottanti.
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L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i
parenti dell’altro coniuge: io sono affine di 1° in linea retta di mia
suocera, e di 2° in linea trasversale con mio cognato.
L’affinità non dà titolo alla successione ereditaria,
ma ha effetti giuridici di ordine personale (impedimento al
matrimonio, 87) e di ordine patrimoniale (diritto e
obbligo agli alimenti, 433).
Il sistema matrimoniale italiano
Con il termina matrimonio si intende l’atto che
costituisce il vincolo coniugale (matrimonio-atto) e il
rapporto che lega tra loro i coniugi
(matrimonio-rapporto).
Da dopo il 1929 con il matrimonio concordatario si
affianca al matrimonio civile il matrimonio religioso
con effetti civili. Effetto del matrimonio canonico
trascritto è la costituzione di un rapporto di coniugio
civile, tale quale si costituisce per effetto di
matrimonio civile; tale rapporto è regolato dalle regole dello
Stato.
Per i matrimoni acattolici la celebrazione può
avvenire ad opera del ministro del culto, che però agisce come
delegato del Sindaco e quindi l’atto deve
corrispondere ai requisiti stabiliti dalla legge dello Stato (83).
Il matrimonio nel codice civile. La
disciplina dell’atto
L’istituto del matrimonio è regolato da norme
inderogabili.
Il matrimonio è un atto puro che non sopporta
quindi condizioni o termini. Eventuali clausole di questo tipo
sarebbero nulle (108).
Il matrimonio è un atto libero e quindi non
sono valide le promesse di matrimonio e clausole contrattuali
che prevedano l’obbligo di sposarsi o non sposarsi.
Il matrimonio è un atto personalissimo che non
ammette sostituzione o rappresentanza (né volontaria né
legale). In realtà l’art. 111 permette di celebrare il
matrimonio per procura quando uno dei coniugi sia al
seguito delle forze armate o risieda all’estero e per
gravi motivi non può essere presente.
E’ un atto solenne per il quale la legge
prescrive requisiti inderogabili di forma; si presenta perciò come un
atto pubblico.
La celebrazione del matrimonio può essere provata solo
attraverso l’esibizione dell’atto di matrimonio: solo
in caso di smarrimento o distruzione dei registri, la
prova può essere data con ogni mezzo ordinario.
La capacità di sposarsi si acquista con la maggiore
età.
In tema di matrimonio non si distingue tra
annullabilità e nullità, ma si parla in entrambi i casi di
impugnazione e
si intende comunque matrimonio dichiarato nullo (117 e ss.)
Vi sono casi in cui il matrimonio nullo può essere
impugnato da tutti coloro che abbiano un interesse
legittimo e attuale (117), nullità assoluta:
- matrimonio concluso da persona coniugata
- matrimonio tra parenti in linea retta o in linea
collaterale fino al 3° grado (zio-nipote) o tra
cognati o tra legami connessi all’adozione
- matrimonio tra persone di cui un coniuge è
condannato per omicidio sul coniuge dell’altra
Si parla di nullità relativa se l’azione spetta
ad uno solo dei coniugi.
In alcuni casi l’invalidità è insanabile (soggetti
legati da vincoli di parentela ecc..) in altri è sanabile
attraverso la coabitazione dei coniugi per un anno
dalla cessazione del vizio (revoca del provvedimento di
interdizione, cessazione della violenza, di incapacità
naturale ecc..).
Per l’impugnazione per incapacità naturale è
sufficiente la prova dell’incapacità di intendere o di volere al
momento della celebrazione (120).
Tra i vizi del volere come causa di
annullamento del matrimonio sono previsti:
- violenza morale
- errore (sull’identità, come lo scambio di persona, o
sulla qualità come l’esistenza di malattie
fisiche o psichiche preesistenti)
- timore (per reazioni dell’ambiente, della comunità
religiosa ecc..)
Ipotesi di impugnazione è la simulazione, che
spesso ha lo scopo di far acquistare la cittadinanza a stranieri,
godere di pensioni o trattamenti assistenziali ecc…
L’annullamento del matrimonio ha effetti retroattivi
eccetto che determinate situazioni:
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- matrimonio putativo, cioè celebrato in buona fede in
quanto i coniugi (o almeno uno)
ignoravano le cause di invalidità. Gli effetti del
matrimonio si producono sui coniugi (o su
quello in buona fede) fino alla sentenza di nullità
- riguardo ai figlio nati o concepiti durante il
matrimonio i quali conservano lo stato di figli
legittimi anche nel caso di malafede di entrambi i
coniugi (purchè non siano nati da bigamia
o incesto)
- riguardo ai figli nati prima del matrimonio ma
riconosciuti dai coniugi, purchè uno dei due
fosse in buona fede
Il coniuge in mala fede è responsabile dell’annullamento
del matrimonio ed è tenuto a pagare un’indennità
che corrisponda al mantenimento per tre anni, anche se
non è data prova del danno realmente sofferto
dall’altro coniuge.
Gli effetti del matrimonio
Diritti e doveri nascenti dal matrimonio hanno
carattere di eguaglianza e reciprocità fra i coniugi. Tra i
doveri personali ricordiamo:
- dovere di fedeltà
- dovere di assistenza morale e materiale
- dovere di collaborazione
- dovere di coabitazione
Tra i doveri economici invece ricordiamo il dovere di
contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione
alle capacità di lavoro professionale e casalingo.
Da non dimenticare i doveri del genitore verso i figli
(144).
Ogni dovere ha una sua correlata sanzione: per i
doveri personali non esiste una pratica coazione, ma la
violazione dei diritti coniugali sono il presupposto
per ottenere poi la meglio in sede di divorzio.
L’inadempimento di doveri patrimoniali autorizza il
coniuge leso a chiedere al giudice la condanna del
partner al pagamento delle somme necessarie.
Il regime patrimoniale della
famiglia
Il legislatore ha introdotto nel 1975 la comunione
dei beni come regime patrimoniale legale (cioè di regola).
In realtà è una comunione degli acquisti: gli acquisti
compiuti dopo il matrimonio cadono in comunione dei
beni, anche se viene acquistato da un coniuge solo,
senza la presenza dell’altro.
L’art. 179 elenca però i beni personali del
coniuge, che non cadono nella comunione legale:
- beni acquistati prima del matrimonio
- beni acquistati per donazione o successione
- beni di uso strettamente personale
- beni che servono all’esercizio della professione
- beni ottenuti a titolo di risarcimento danni
- beni acquistati con il ricavato dalla cessione di
altri beni personali
Quanto al reddito corrente non è considerato bene
comune, anche se come già detto i coniugi sono gravati
dell’obbligo di contribuzione. I risparmi diventano
bene comune solo nel momento in cui si decide di
sciogliere la comunione.
Per l’amministrazione straordinaria dei beni
comuni è necessaria la partecipazione di entrambi i coniugi. Se
un coniuge compie atti senza il consenso dell’altro si
verificano due casi:
- se il bene è immobile o mobile registrato l’atto è
efficace ma annullabile
- se il bene è mobile l’atto è valido ed efficace, ma
il coniuge deve pagare l’equivalente in
denaro all’altro coniuge leso
I beni raccolti in comunione formano un complesso
unitario, con una loro autonomia patrimoniale nei
confronti dei patrimoni personali dei coniugi; infatti
per i debiti presi da entrambi i coniugi o da uno solo
(ma nell’interesse della famiglia) risponde il
patrimonio comune.
La comunione si scioglie per separazione
personale, scioglimento del matrimonio per morte o divorzio,
annullamento, per accordo tra i coniugi o per
provvedimento del giudice su domanda di uno dei coniugi, per
fallimento di uno dei coniugi (191,193). La fase
successiva è la divisione, di regola in parti uguali.
www.uniappunti.com 75
Il regime patrimoniale legale può essere sostituito o
modificato attraverso l’accordo dei coniugi
(convenzioni matrimoniali) da:
- separazione dei beni
- comunione convenzionale
- fondo patrimoniale
Le convenzioni devono essere stipulate in forma di
atto pubblico e per essere opponibili a terzi devono
essere annotate a margine dell’atto di matrimonio.
Con la comunione convenzionale i coniugi
possono modificare il regime patrimoniale e comprendere nella
comunione dei beni che altrimenti sarebbero esclusi, o
viceversa. E’ inderogabile l’esclusione dei beni per
uso strettamente personale, dei beni usati per la
professione e dei proventi da risarcimenti per danni: non è
quindi possibile una comunione totale.
Il fondo patrimoniale si costituisce destinando
determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito
ai bisogni della famiglia. E’ un patrimonio autonomo
di cui i coniugi sono contitolari.
La crisi della famiglia. La
separazione personale
Prima di arrivare al divorzio si passa da una fase
intermedia, la separazione di fatto, che pur non cambiando
lo status giuridico ha delle conseguenze giuridiche:
- se uno dei due coniugi se ne va dalla casa coniugale
si sospendono i doveri di assistenza morale e
materiale (allontanamento ingiustificato). Se la
reazione è conseguenza di violazioni di doveri del
matrimonio da parte dell’altro coniuge
l’allontanamento è giustificato
- nella successione al contratto di locazione la
separazione di fatto è equiparata alla separazione
legale
Alla pronuncia di separazione si può arrivare in due
modi: separazione consensuale e separazione giudiziale.
La separazione consensuale richiede l’accordo
tra i coniugi sia sulla separazione, che sulla situazione
patrimoniale, che sull’affidamento dei figli. A questo
punto se il giudice accerta che l’interesse dei figli è
tutelato può omologare (rendere efficace) l’accordo
tra i coniugi, instaurando la separazione.
Se le parti non riescono ad accordarsi, ciascuna può
chiedere la separazione giudiziale, che può essere
chiesta se si verificano fatti tali da rendere
intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave
pregiudizio all’educazione della prole (151).
Con la separazione legale il vincolo matrimoniale non
si scioglie, ma il rapporto tra i coniugi viene ridotto ai
minimi termini:
- cessa l’obbligo di convivenza e il dovere di
assistenza morale e materiale
- si attenua il dovere di fedeltà, nel senso di
evitare comportamenti di grave offesa per l’ex
- la moglie separata conserva il cognome del marito,
anche se il giudice può autorizzarla a non
farne uso
- si scioglie la comunione legale
- il coniuge che non ha mezzi o capacità concrete di
lavoro può chiedere all’altro un assegno
di mantenimento
Questi effetti si possono modificare in sfavore di
quella parte che è responsabile con i suoi comportamenti
della separazione.
La potestà sui figli spetta ad entrambi i genitori, ma
il suo effettivo esercizio spetta solo al genitore
affidatario (anche se le decisioni più importanti
devono essere prese da entrambi). Al genitore non affidatario
spetta comunque il diritto di vigilanza e di visita
(155).
Lo stato di vita separata può cessare per volontà dei
coniugi con la riconciliazione, che può essere anche
tacita.
Lo scioglimento del matrimonio. Il
divorzio
Il giudice può disporre il divorzio quando accerta che
la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non
può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di
una delle seguenti cause:
- separazione legale durata per tre anni
- diverse cause penali (ergastolo o superiore a 15
anni, o delitti connessi alla prostituzione, o
di incesto o contro il coniuge ecc…)
www.uniappunti.com 76
- altre cause civili (non consumazione del matrimonio,
annullamento del matrimonio ottenuto
all’estero da coniuge straniero, o nuovo matrimonio
all’estero ecc…)
Non sarebbe previsto il divorzio consensuale anche se
i coniugi possono porre una domanda congiunta di
divorzio; nel divorzio, a differenza che nella
separazione consensuale, è il giudice a prendere le decisioni
riguardanti i rapporti patrimoniali e i figli.
Con il divorzio la donna perde il cognome del marito,
anche se può ricevere l’autorizzazione dal giudice ad
utilizzarlo; viene meno il diritto successorio anche
se il coniuge più debole ha diritto ad un assegno periodico
che può essere confermato anche dopo la morte
dell’altro, a carico dell’eredità.
La filiazione
Si distinguono due stati di filiazione (di figlio):
filiazione legittima e naturale.
E’ legittimo il figlio generato da padre e
madre uniti da un valido matrimonio; è naturale se i genitori non
sono sposati.
Quando nasce un bambino chi assiste la partoriente ha
l’obligo di fare una attestazione di avvenuta nascita,
sulla base della quale deve essere rilasciata in
comune la dichiarazione di nascita. In seguito verrà redatto
l’atto di nascita, che può contenere o meno il nome
dei genitori a seconda delle circostanze. La maternità è
accertata, la paternità viene presunta se la donna non
è nubile (sposata, divorziata, separata, vedova da non
più di 300 giorni ecc…), altrimenti la paternità viene
indicata solo con dichiarazione del padre.
La filiazione legittima
Se il figlio nasce nel periodo che va da 180 giorni
dopo le nozze a 300 giorni dopo la separazione, il
divorzio, l’annullamento, la morte del marito scatta
la presunzione legale assoluta che è stato concepito
durante il matrimonio (232), e quindi figlio del
marito.
L’azione di disconoscimento della paternità serve
a far cadere la presunzione di paternità. Se il figlio è
stato concepito durante il matrimonio il
disconoscimento può avvenire solo in casi tassativi:
- se i genitori non hanno coabitato nel periodo legale
del concepimento
- se nello stesso periodo il marito era affetto da
impotenza
- se la donna ha tenuta nascosta gravidanza e parto o
se si può provare che nel periodo del
concepimento ha commesso adulterio
Se il figlio è stato concepito fuori dal matrimonio
l’azione è liberamente esperibile dall’attore a cui carico
avrà l’onere della prova.
Il marito può agire fino ad un anno dalla nascita o
dal momento in cui è venuto a conoscenza dell’adulterio o
dell’impotenza.
Con la contestazione di legittimità chiunque vi
abbia interesse può provare a far venir meno lo stato di
figlio legittimo.
L’azione di reclamo della legittimità serve
invece ad accertare l’esistenza dei presupposti dello stato di
figlio legittimo e può essere esperita direttamente
dall’interessato.
La filiazione naturale
La Costituzione parla di figli nati fuori dal
matrimonio (30 Cost). Il pieno rapporto giuridico di filiazione si
costituisce in questi casi solo per effetto del riconoscimento
del figlio naturale o per dichiarazione
giudiziale di
paternità/maternità.
Il riconoscimento è un atto unilaterale (ma può essere
fatto congiuntamente dai due genitori), è
personalissimo (no rappresentanze) e puro (no
condizioni o termini); è irrevocabile. Sulla base della
dichiarazione si forma l’atto di nascita.
E’ possibile riconoscere figli nati da relazioni
adultere, è invece vietato riconoscere figli incestuosi (a meno
che non ci fosse ignoranza incolpevole fra i genitori.
Per riconoscere un figlio naturale occorre aver
compiuto 16 anni.
Se il figlio da riconoscere ha più di 16 anni è
necessario il suo consenso (benché sia un atto unilaterale)
oppure se minore di 16 anni c’è bisogno del consenso
del genitore che lo ha riconosciuto per primo.
Quanto alla forma il riconoscimento può
avvenire nell’atto di nascita o con dichiarazione apposita o con un
testamento.
Gli effetti del riconoscimento del figlio naturale
possono essere eliminati solo con l’impugnazione.
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Dato che mantenere un figlio è anche un dovere esiste
la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità
che permette di instaurare un rapporto di filiazione
anche contro la volontà del genitore naturale che non
riconosce il figlio.
Il figlio naturale di persona unita in matrimonio non
può essere immesso nella casa familiare se non con
autorizzazione del giudice (devono acconsentire i
figli legittimi maggiori di 16 anni, il coniuge e l’altro
genitore naturale).
Per la potestà dei genitori ci sono varie situazioni:
- se il figlio è stato riconosciuto da entrambe i
genitori e con entrambi convive, allora si
applica la disciplina simile a quella per i figli
legittimi
- se è stato riconosciuto da entrambi ma non
convivono, la potestà è esercitata dal genitore che
vive con il figlio
- se il figlio è affidato a terzi la potestà è
esercitata dal genitore che l’ha riconosciuto per
primo
Con la legittimazione, ovvero con il
matrimonio, il figlio diventa legittimo. E’ possibile legittimare il figlio
anche senza matrimonio, ma solo con un provvedimento
del giudice.
L’adozione
Si parla di filiazione civile poiché il rapporto è
fondato non sulla procreazione ma su un provvedimento di
giurisdizione volontario.
Adozione dei minorenni. Se si trovano in situazione di abbandono, privi di
assistenza morale e materiale, il
tribunale li dichiara in stato di adottabilità.
Adottanti possono essere solo due coniugi il cui
vincolo sia stabile (uniti in matrimonio da almeno tre anni e
non essersi separati negli ultimi tre anni). I coniugi
devono essere effettivamente idonei e capaci di educare e
mantenere i minori che intendo adottare (anche più di
uno).
Differenza di età minima tra adottato e adottante è 18
anni, la massima è 45. Una deroga a questo limite
viene fatta nei seguenti casi:
- solo uno dei coniugi ha superato i 45 anni di
differenza
- se gli adottanti hanno già figli naturali o adottivi
di cui uno sia ancora minorenne
- se l’adozione riguarda un fratello o una sorella
minore di un bambino già adottato
Per adottare un bambino con più di 14 anni è
necessario il suo consenso.
L’adozione rescinde completamente i legami con la
famiglia d’origine, e il minore acquista lo status di figlio
legittimo degli adottanti (e quindi fratello degli
altri figli, nipote dei nonni ecc..).
Per regolare la situazione del minore che sia
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è stata
introdotta la disciplina dell’affidamento dei
minori. L’istituto può fungere come alternativa all’adozione nei
casi in cui quest’ultima risulti difficile.
L’adozione di un maggiorenne ha lo scopo di dare un discendente all’adottante, e
non dare una famiglia
all’adottato. I legami dell’adottato con la famiglia
d’origine non vengono recisi e conserva per cui i suoi
diritti oltre ad acquisirne di nuovi verso l’adottante
(non verso i parenti dell’adottante).
L’adottato antepone al proprio cognome quello
dell’adottante.
In casi particolari è consentita l’adozione anche da
un solo adottante (con gli effetti dell’adozione di
maggiorenni), ovvero:
- un parente vuole adottare il minore orfano di padre
e madre
- minore affetto da handicap
Non è necessario che il minore sia in stato di
abbandono.
Il minore deve essere informato della sua
condizione adottiva da parte dei genitori; l’identità dei genitori
biologici può essere conosciuta dall’adottato solo
dopo il 25° anno di età.
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La famiglia di fatto
Per famiglia di fatto non si intende un istituto,
quanto una questione: se una convivenza di tipo coniugale tra
un uomo e una donna non sposati possa far nascere
relazioni giuridiche.
Nel caso in cui genitori naturali e figli siano conviventi,
il regime della potestà è uguale a quello che
abbiamo per una famiglia di coniugi con figli
legittimi. Da questo punto di vista la famiglia di fatto viene
trattata come una famiglia legittima.
La famiglia di fatto è quindi considerata come fonte
di obbligazioni naturali (doveri morali e sociali), e
rientra tra le formazioni sociali di cui parla l’art.
2 Cost.
Le conseguenze sono che le erogazioni spontanee tra i
conviventi sono irripetibili, oltre al formarsi di
legittime aspettative che possono essere tutelate
verso i terzi (diritto al risarcimento del danno per la morte
del convivente provocata da un terzo).
Gli alimenti
Presupposto dell’obbligo e del diritto agli alimenti è
lo stato di bisogno, cioè non essere in grado (senza
colpa) di provvedere al proprio mantenimento. La
misura degli alimenti dipende dalla gravità dello stato di
bisogno e dalle condizioni economiche dell’obbligato.
Da non confondere alimenti con mantenimento: alimenti
(non inteso come solo vitto) per i bisogni essenziali,
mantenimento per i bisogni ordinari. I genitori devono
mantenere i figli fino alla maggiore età, dopodichè
hanno solo l’obbligo degli alimenti.
Il coniuge separato che non ha mezzi sufficienti può
chiedere un assegno di mantenimento; se la separazione
è a lui addebitata ha diritto solo agli alimenti
(156).
CAPITOLO 45
LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE
Gli effetti della morte. La
successione
Il diritto delle successioni è retto da due principi
fondamentali: libertà testamentaria e trasmissione
familiare della ricchezza.
In base al primo principio si riconosce ad ogni
persona il potere di stabilire la sorte dei propri beni dopo la
sua morte. Il secondo principio riguarda il caso in
cui manchi un testamento e quindi ha luogo la successione
legittima tra i parenti. In realtà un quota
dell’eredità spetta per legge ad alcuni stretti congiunti, detti
legittimari (coniuge e figli legittimi/naturali).
Il sistema del diritto successorio è materia di ordine
pubblico; gli unici strumenti di autonomia del privato
sono il testamento, accettazione o rinunzia di
eredità. E’ per questo che vige il divieto dei patti successori
ovvero:
- qualsiasi convenzione che disponga della propria
successione
- qualsiasi atto che disponga beni futuri
L’oggetto della successione:
l’eredità e il legato
Oggetto della successione a causa di morte è la
totalità dei rapporti trasmissibili, attivi e passivi, di cui una
persona è titolare al momento della morte. L’insieme
di questi beni forma l’eredità (asse ereditario). La
successione nell’eredità è successione a titolo
universale (nell’universalità dei rapporti che facevano capo al
defunto). Erede colui che succede nella
totalità dei rapporti o in una quota matematica.
Una volta acquistata l’eredità questa non si
distinguerà più nel patrimonio dell’erede (confusione dei
patrimoni). Alcuni beni possono però essere destinati
a una successione a titolo particolare e quindi staccati
dall’eredità. Ciò avviene nel legato,
l’attribuzione di un determinato bene fatta nel testamento.
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Apertura della successione.
Delazione. Vocazione
Con la morte della persona si verifica l’apertura
della successione (456). Prima della morte non si può
nemmeno parlare di aspettativa dei possibili
successori, la situazione successoria è inerte.
La vocazione all’eredità è il titolo degli
eredi a succedere. SI distingue:
- vocazione legittima (titolo a succedere è una
situazione prevista dalla legge)
- vocazione testamentaria (titolo a succedere è il
testamento)
La delazione dell’eredità è la messa a
disposizione agli eredi dell’eredità, a seguito dell’apertura della
successione, che coincide con l’acquisizione del
diritto di accettare. Al titolare di questo diritto viene
attribuito il potere temporaneo di vigilare
sull’eredità, senza che ci siano implicazioni sulla sua decisione di
eventuale accettazione.
I titoli di successione
I titoli del diritto a succedere sono anche le fonti
della successione e quindi:
- successione legittima
- successione testamentaria
La successione legittima è regolata dalla legge
e ci si ricorre se manca del tutto o in parte il testamento
La successione testamentaria è regolata dal
testamento, cioè quell’atto revocabile con il quale taluno
dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere,
di tutte le proprie sostanze o di parte di esse (587). Dove il
testamento non sia sufficiente si integra con le norme
sulla successione legittima.
Il legittimario, come già detto, ha diritto ad una
quota del patrimonio. Se non già espressamente citato nel
testamento fa valere il suo diritto ad avere i beni,
non viene considerato un erede.
Capacità di succedere e indegnità
L’erede deve essere capace a succedere e quindi:
- aspetti della capacità giuridica: capacità a
succedere e capacità di ricevere per
testamento
- aspetti della capacità d’agire: capacità
d’accettare l’eredità
Sono considerati capaci di succedere i nati o
concepiti al momento dell’apertura della successione.
Un chiamato all’eredità che deve ancora nascere
acquisterà definitivamente l’eredità al momento della
nascita. Nel caso di vocazione testamentaria è valida
anche l’istituzione di un erede che deve ancora essere
concepito, purchè figlio di una determinata persona.
L’indegnità a succedere colpisce l’erede o il
legatario che abbia compiuto azioni particolarmente gravi
contro il defunto (come l’attentato alla vita,
denuncia calunniosa, raggiri per influenzare la volontà
testamentaria) ed è causa di rimozione dalla
successione. Solo la persona della cui successione si tratta può,
prima della morte e con atto pubblico, riammettere
l’indegno alla successione.
La vocazione legittima
I soggetti che hanno titolo a succedere per vocazione
legittima sono (565):
- discendenti legittimi e naturali
- coniuge
- ascendenti legittimi
- fratelli e sorelle legittimi
- collaterali dal terzo al sesto grado
- altri parenti (fratelli naturali)
- lo Stato
La posizione dei figli legittimi è parificata rispetto
a quella dei figli naturali, anche se i primi hanno il diritto
di commutazione,
cioè possono soddisfare la quota dei figli naturali con beni immobili o denaro.
Se questi
si oppongono interviene il giudice.
I figli non riconoscibili sono esclusi dall’eredità,
anche se gli viene riconosciuto un assegno vitalizio pari alla
rendita che riceverebbe dalla suo eventuale quota di
eredità.
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In mancanza di figli il coniuge concorre solo con i
fratelli e gli ascendenti legittimi del defunto. Al coniuge
spetta un terzo dell’eredità (un mezzo se ha un figlio
solo), il diritto di abitazione nella casa familiare e di
uso dei mobili che la corredano.
Il coniuge separato con addebito ha diritto ad un
assegno vitalizio di tipo alimentare, solo se già in
precedenza lo percepiva.
Il coniuge divorziato, benché escluso dalla
successione, può chiedere per uno stato di bisogno un assegno
alimentare a carico dell’eredità, che perde se passa a
nuove nozze.
Fratelli e sorelle legittimi concorrono con il
coniuge, con i genitori e con gli ascendenti. Fratelli naturali
vengono prima solo dello Stato.
I parenti collaterali dal terzo al sesto grado
succedono quindi solo in mancanza di figli, genitori o ascendenti,
coniuge, fratelli legittimi.
Nel caso di mancanza di successibili l’eredità è
dovuta allo Stato, che non ha bisogno di accettazione ed è
responsabile dei debiti solo nel limite del valore dei
beni acquistati.
La vocazione testamentaria
Il testamento è l’atto revocabile con il quale
taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di
tutte le proprie sostanze o di parte di esse (587). E’
un atto a contenuto patrimoniale.
Le disposizioni testamentarie che assolvono la
funzione di determinare la sorte del patrimonio del defunto
sono:
- istituzione di erede
- legato
- modo o onere
L’istituzione di erede è l’intento di designare
una persona (o più di una) come proprio successore, come
titolare del patrimonio per intero o per una sua
quota.
Il legato è il lascito testamentario di un
singolo cespite patrimoniale e abbiamo:
- legato di specie: ha per oggetto la proprietà di una
cosa determinata o di un altro diritto
esistente nel patrimonio del testatore
- legato di genere: ha per oggetto una somma di denaro
o una quantità di cose fungibili
Il legato può essere disposto anche a favore di uno
degli eredi, si chiama allora prelegato.
Se gli eredi non hanno accettato l’eredità con
beneficio di inventario rispondono dei legati anche oltre il
valore dell’eredità.
L’onere o modo è un obbligo imposto al
beneficiario di una liberalità, che limita la posizione liberale. Si
può trattare di dare una parte del patrimonio in
beneficenza, o costruire un monumento funebre ecc…
L’inadempimento può avere un effetto risolutivo.
L’istituzione di erede può essere sottoposto a
condizione risolutiva o sospensiva, ma non a termine. Si
considerano non apposte le condizioni illecite o
impossibili.
E’ previsto un contenuto atipico al testamento,
che non riguarda interessi patrimoniali. E’ il caso di
decisioni sul diritto morale di autore (non pubblicare
gli scritti), riconoscimento del figlio naturale ecc…
Il testamento come atto di ultima
volontà
Il testamento è revocabile: fino all’ultimo il
testatore può pentirsi delle sue disposizioni e farle decadere o
sostituirle. La revoca può essere espressa (magari in
un testamento successivo) o tacita. E’ tacita se ci sono
più disposizioni incompatibili tra loro, oppure per la
distruzione di un testamento olografo o il ritiro di un
testamento segreto.
La successione può essere regolata anche da più
testamenti e dalla legge.
Si ha revoca di diritto se dopo il testamento, ma
prima della morte, si ha la nascita di un figlio o il
riconoscimento di un figlio naturale.
Non è permesso il testamento congiuntivo né il
testamento reciproco, poiché è un atto unipersonale.
Sono incapaci legalmente di testare:
- il minore di età
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- l’interdetto per infermità di mente
- l’incapace di intendere o di volere (anche
momentaneo, al momento del testamento)
Sono invece legalmente capaci:
- inabilitato
- interdetto legale
La forma più semplice è quella dell’olografo (tutto
scritto): è un atto scritto di pugno dal testatore, datato e
sottoscritto. Solo il testatore ne è a conoscenza, ma
si presta ad essere distrutto, contestato ecc..
Con il testamento pubblico si evitano questi
rischi. Viene redatto dal notaio sotto indicazione del testatore
in presenza di due testimoni.
Il testamento segreto garantisce certezza della
data, riservatezza e sicura conservazione. Può essere scritto a
mano o a macchina dal testatore, sottoscritto da lui,
e consegnato in busta sigillata al notaio, di fronte a due
testimoni.
Sono ammesse forme diverse per i testamenti
speciali redatti in situazioni particolari come malattie
contagiose, calamità pubbliche, viaggio in mare o in
aereo, in guerra ecc… I testamenti speciali hanno
efficacia temporanea: 3 mesi.
Anche nel testamento abbiamo la distinzione tra nullità
e annullabilità, anche se con qualche differenza.
E’ causa di nullità il difetto di forma
(mancanza di firma o autografia nell’olografo). Se un testamento
segreto è nullo per difetto di forma è possibile una conversione
formale dell’atto: se il testamento
consegnato al notaio è scritto di pugno dal testatore,
datato e sottoscritto, vale allora come testamento
olografo.
Un testamento nullo non è come se fosse inesistente:
in effetti anche se nullo può essere spontaneamente
eseguito e quindi non può essere fatta valere la
nullità se il testatore conosceva la causa della nullità.
Il testamento può essere nullo anche per illiceità delle
disposizioni testamentarie, come motivo, condizione o
onere.
Le cause di annullabilità sono:
- mancanza della data
- incapacità legale o naturale
- errore, violenza e dolo
Nel testamento anche l’errore sui motivi è
causa di annullamento poiché risulti chiaramente dal testamento
e che sia detto errore ad aver condizionato le scelte
del testatore.
Violenza e dolo acquistano un’estensione maggiore
rispetto al contratto, ma seguono gli stessi criteri. Il
comportamento doloso di chi vuole raggirare e guidare
la volontà del testatore è detto captazione.
L’annullabilità è assoluta, può essere esperita da
chiunque vi abbia un interesse legittimo.
Il testamento diviene efficace al momento
dell’apertura della successione; se è un testamento pubblico
diventa anche eseguibile altrimenti, se olografo o
segreto, diventa eseguibile solo dopo la pubblicazione da
parte di un notaio.
I diritti dei legittimari
Una quota delle sostanze (da un minimo di 1/3 ad un
massimo di ¾) è riservata ai legittimari. Detta quota
indisponibile è
chiamata legittima.
La quota indisponibile si calcola su una base data
dalla somma (556):
- del valore dei beni che il defunto ha lasciato alla
sua morte, meno i debiti
- dal valore dei beni donati durante la sua vita
Se c’è stata lesione i legittimari possono agire in riduzione
contro le disposizioni che hanno determinato la
lesione, e quindi:
- istituzioni d’erede o legati fatti con il testamento
- donazioni
Il risultato può essere la restituzione in natura dei
beni acquistati o il diritto del legittimario a conseguirne il
valore in denaro.
Le quote di legittima sono così ripartite:
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- genitore lascia un solo figlio: metà dell’attivo
- genitore lascia più di un figlio: 2/3 dell’attivo
- il coniuge, se solo, metà del patrimonio
- il coniuge che concorre con gli ascendenti: metà al
coniuge, ¼ agli ascendenti
- il coniuge che concorre con 1 figlio: 1/3 ciascuno
- il coniuge che concorre con più figli: la metà ai
figli, ¼ al coniuge
- ascendenti, se soli, 1/3 del patrimonio
Il testatore può estromettere i legittimari
dall’eredità, rispettandone i diritti: può disporre in loro favore un
legato in sostituzione di legittima, cioè un lascito a titolo particolare in sostituzione
della legittima. Il
legittimario può rifiutare il legato e chiedere la
legittima, oppure conseguire il legato e non diventare erede.
Nel caso in cui non ci sia per il legittimario la
possibilità di scelta, il legato sarà imputato alla quota di
legittima, andando a ridurre o ad eliminare la lesione
del diritto del legittimario.
Acquisto dell’eredità e del legato
La delazione dell’eredità fa nascere nel chiamato il
diritto di accettare. Con l’accettazione si consegue
l’acquisto dell’eredità, con effetto retroattivo
all’apertura della successione. L’accettazione è un atto
unilaterale, puro ed irrevocabile.
L’accettazione può essere espressa (con un atto
scritto) o tacita (compiere atti incompatibili con la volontà di
rinunciare). Il silenzio (3 mesi) vale come
accettazione.
La rinunzia all’eredità è un atto solenne (che
si fa dal notaio), puro e totale (è nulla la rinunzia parziale) ed è
revocabile fino a che un altro chiamato non abbia
accettato.
Tra l’apertura della successione e l’accettazione il
patrimonio può essere conservato dal chiamato, che è
anche legittimato nel possesso. Se il chiamato non è
nel possesso dei beni ereditari il giudice può nominare
un curatore dell’eredità (situazione di eredità
giacente).
Il legato si acquisisce senza bisogno di accettazione,
ma si può anche rinunziare.
Il beneficio di inventario. La
separazione dei beni
La successione determina la confusione dei patrimoni.
Per evitare il rischio di dover rispondere
illimitatamente ai nuovi debiti acquisiti con
l’eredità viene concessa l’accettazione con beneficio di
inventario.
L’effetto non è quello di riservarsi nella decisione, poiché l’accettazione è
definitiva, ma quello
di tenere distinto il patrimonio dell’erede da quello
del defunto. In questo modo l’erede risponde dei debiti
ereditari solo con il patrimonio ereditato; i
creditori del defunto hanno preferenza sui beni dell’eredità
rispetto ai creditori dell’erede.
Se il chiamato è in possesso dei beni ereditari ha un
termine di tre mesi per fare l’inventario: se il termine
trascorre inutilmente viene considerato erede puro e
semplice (come anche nel silenzio). Se procede
all’inventario senza aver accettato deve accettare
entro 40 giorni.
L’accettazione con beneficio di inventario richiede l’atto
pubblico ed è obbligatoria per:
- minore d’età, interdetto o inabilitato, persona
giuridica
Nel caso in cui il patrimonio ereditario si confonda
con il patrimonio dell’erede che sia in una cattiva
situazione patrimoniale, la legge predispone un rimedio
per i creditori del defunto e i legatari, la separazione
dei beni del defunto da quelli dell’erede. In questo modo i creditori e i
legatari separatisti hanno diritto di
prelazione sia di fronte ai creditori dell’erede che
ai creditori del defunto non separatisti, pur conservando il
diritto di agire sui beni personali dell’erede.
I creditori dell’erede non sono invece protetti contro
il rischio di un’eredità dannosa. Però nel caso in cui il
chiamato rinunzi ad una eredità che potrebbe giovare
ai suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad
accettare in sua vece. Il chiamato non diventa erede, ma per i suoi
creditori è come se lo fosse. E’ una forma
di inefficacia relativa della rinunzia.
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Petizione dell’eredità. Erede
apparente
Può succedere che alcuni bene dell’asse ereditario
siano in possesso a soggetti che affermano un titolo
d’erede o che ne siano addirittura sprovvisti.
Chi si afferma erede può agire verso questi possessori
con la petizione dell’eredità, per ottenere la
restituzione dei beni ereditari. L’attore deve provare
di aver titolo di erede, quindi riguarda il complesso
dell’eredità e non il singolo bene.
Può succedere che un soggetto appaia erede anche senza
averne il titolo (erede apparente). Se questi aliena il
bene ad un terzo, prevale il principio a protezione
dell’affidamento di buona fede (limitatamente agli acquisti
a titolo oneroso) che impone al terzo l’onere della
prova della buona fede. Anche l’erede apparente potrà far
valere le regole sul possesso di buona fede.
La devoluzione dell’eredità; i
meccanismi di sostituzione
Quando il chiamato all’eredità non può o non vuole
accettare, il sistema successorio mette l’eredità a
disposizione di un altro successibile. Questa
ulteriore delazione si chiama devoluzione dell’eredità.
Nel caso di vocazione testamentaria il primo criterio
di devoluzione è la sostituzione volontaria che può
essere:
- ordinaria: se il testatore nomina un sostituto nel
caso il primo chiamato non possa o non
voglia accettare
- fedecommissaria: il primo chiamato riceve l’eredità
con l’obbligo di conservarla perché alla
sua morte sia acquistata da un secondo chiamato
(ammessa solo per assistenza di incapaci:
primo chiamato è l’incapace, secondo chiamato è
l’ente, la persona o l’associazione che si
occupa dell’incapace)
Il secondo sistema di devoluzione è la rappresentazione:
se il primo chiamato è figlio, fratello o sorella del
defunto, in caso di impossibilità o di non volontà ad
accettare, subentrano nel luogo e nel grado del primo
chiamato i suoi discendenti legittimi o naturali.
Nel caso in cui il chiamato muoia prima di aver
accettato l’eredità, il diritto di accettare, che è parte del suo
patrimonio, passa agli eredi (trasmissione del
diritto di accettare).
Il quarto sistema di devoluzione è l’accrescimento delle
quote: se un coerede rinuncia o non può accettare,
la sua quota viene divisa tra gli altri coeredi. I
presupposti per l’accrescimento tra coeredi sono:
- che i coeredi siano stati istituiti nello stesso
testamento senza la determinazione delle quote
- che non risulti la volontà del testatore di
sostituzione volontaria
- che non esistano i presupposti per la
rappresentazione e per la trasmissione del diritto di
accettare
Se mancano questi presupposti la quota del chiamato
che non può o non vuole accettare si devolve agli
ulteriori successibili.
La comunione ereditaria e la
divisione
Tra i coeredi che abbiano accettato l’eredità si
stabilisce una situazione di comunione destinata a risolversi
con la divisione.
L’oggetto della comunione ereditaria non coincide con
l’intero asse ereditario. Sono esclusi:
- i beni oggetto di legati di specie
- debiti divisibili (si dividono di diritto tra i
coeredi, che sono obbligati parziariamente verso il
creditore
Con la collazione i coeredi (solo per discendenti
e coniuge) devono aggiungere alla comunione anche i beni
ricevuti dal defunto per donazione.
Ogni coerede può alienare la sua quota, sulla quale
gli altri coeredi hanno diritto di prelazione.
La divisione della comunione può avvenire per
contratto tra i coeredi (divisione convenzionale) oppure, in
mancanza di accordo tra i coeredi, si procede alla divisione
giudiziale, dove le porzioni formate sono
assegnate per estrazione a sorte.
www.uniappunti.com 84
Il testatore può pilotare la divisione. Può designare
una persona (che non sia erede o legatario) di fiducia che
effettui la divisione oppure può stabilire
direttamente le divisioni. Per evitare disguidi può distribuire
direttamente tutti i beni fra gli eredi: in questo
caso non sorge la comunione. Per gli eventuali beni
dimenticati si agisce come per il testamento parziale,
si apre un successione legittima.
Ciascun erede ha diritto ad ottenere una parte in
natura dei beni mobili e immobili che fanno parte
dell’eredità.
La divisione ha efficacia retroattiva: una volta
effettuata gli eredi acquistano l’eredità come se la comunione
non ci fosse stata. Inoltre è soggetta ad annullamento
per violenza o dolo.
CAPITOLO 46
LE LIBERALITA’ TRA VIVI
Dono e liberalità
La donazione è giuridicamente un contratto. Può
sembrar strano dato che un bene passa da un soggetto
all’altro fuori da un contesto di scambio giuridico.
Ma la donazione ha un oggetto patrimoniale e c’è accordo
tra le parti.
Il carattere della gratuità non è sufficiente ad
identificare una donazione poiché esistono anche donazioni
remuneratorie,
ovvero donazioni fatte con lo spirito di sdebitarsi.
Disciplina della donazione
La donazione può avere ad oggetto qualsiasi diritto
disponibile di cui il donante sia titolare, oppure
l’assunzione di un obbligazione verso il donatario. E’
vietata e nulla la donazione di beni futuri.
E’ richiesta la forma dell’atto pubblico a pena
di nullità. Fa eccezione la donazione di cosa mobile di
modico valore (regalo).
Le caratteristiche della donazione sono:
- l’incapacità naturale è causa di annullamento della
donazione
- il tutore del donante non può essere il donatario
- può essere impugnata per errore sui motivi
- vale la possibilità di conferma della donazione
nulla
- la donazione può essere revocata per l’esistenza non
conosciuta al momento della donazione
di un figlio o discendente legittimo
- sono ammesse sostituzioni con gli stessi limiti che valgono per il testamento