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Varapodio
/ Autore
della ricerca e dell'analisi dell'importante comparto Tommaso Calabrò, neodottore in Scienze
agrarie L'olivicoltura nella storia dell'economia
della Piana
Vincenzo Vaticano
Vecchia macina olive - Tommaso
Calabrò, ex sindaco
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VARAPODIO – È sicuramente un importante
ed inedito studio sull'evoluzione del sistema olivicolo nella Piana di Gioia
Tauro. Una vera e propria analisi storica su questa grande
pianura, densamente abitata da 180.000 persone di 33 comuni,
posta in un anfiteatro naturale formato dalle propaggini degli
Appennini ed i monti Poro e S. Elia. Si tratta della tesi di
laurea con la quale Tommaso Calabrò, varapodiese neolaureato
in Scienze agrarie a Reggio, setacciando biblioteche, archivi
privati e raccogliendo notizie testimoniali, ha cercato di
“mettere a fuoco” e stabilire (con risultati decisamente
apprezzabili), in quale periodo si è realizzato quello che è
considerato un inconfondibile paesaggio con "cultivar" uniche
al mondo per le caratteristiche possedute e per il loro
impatto sul territorio. Un'esposizione, è il caso di rilevare,
che ha destato l'interesse e l'attenzione di parecchi studiosi
e addetti ai lavori. Non a caso, infatti, la rivista
scientifica specializzata “Italus Ortus” recentemente ne ha
pubblicato un ampio resoconto elaborato dallo stesso autore
con l'ausilio del prof. Paolo Inglese, dell'istituto di
coltivazioni arboree dell'Università di Palermo. A grandi
linee, ovviamente, e in modo estremamente sintetico, ecco
alcune importanti e salienti considerazioni che emergono
esaminando questa ricerca storica. Ritrovamenti archeologici,
testi greci e latini, monete antiche permettono di datare i
primi impianti olivicoli e di fare ipotesi molto attendibili
sulla presenza dell'olivo nella Piana di Gioia Tauro già dal
VII-VI secolo a.C., dove giunse dalla colonie greche della
Calabria ionica diffondendosi poi su due direttrici
principali: dallo Zomaro, già fino a Medma, l'attuale Rosarno,
e da Zervò, giù verso Mella, nei pressi dall'attuale Oppido
Mamertina, seguendo il corso del fiume Petrace fino a
Metauria, oggi Gioia Tauro e Taureana. Qui l'olivo fu per
lungo tempo una cultura secondaria, e, pur se, durante la
successiva denominazione romana fu intensificata, con gli
arabi, per motivi commerciali, decadde. Sotto la dominazione
normanna e sveva l'olivo "ebbe miglior sorte", ma decadde
nuovamente con la dominazione spagnola. A partire dal 1500,
con le attendibili testimonianze e le accurate descrizioni del
territorio, riportate nei loro scritti da storiografi come
Alberti, Barrio e Marafioti, la ricerca entra nel vivo e
analizza l'evoluzione della coltivazione dell'olivo nella
Piana, il cui sviluppo, peraltro, risulta piuttosto lento dal
1500 fino alla seconda metà del secolo XVIII, quando, in
particolare dopo il terremoto del 1783, la diffusione
dell'olio diviene tanto impetuosa ed imponente da cambiare
completamente la fisionomia della Piana, fino ad allora in
gran parte coperta di boschi, acquitrini o coltivata a
cereali. A questo rilancio e al notevole miglioramento dell'olivicultura contribuì in maniera determinante un
agronomo e grande illuminista calabrese, il marchese Domenico
Grimaldi, il quale, durante la dominazione dei Borboni,
introdusse profonde innovazioni tecnologiche nei metodi di
coltura dell'olivo e nell'estrazione dell'olio che, con la
diffusione dei frantoi idraulici "genovesi", assunse carattere
industriale. Con intuito e coraggio, egli, rigettò i vecchi
sistemi e inculcò l'adeguamento al sistema praticato in
Ligura, e perciò detto "genovese", con lo scopo di far
ottenere sia una maggiore quantità di olio sia una qualità
superiore dello stesso. Dai resoconti dei viaggi effettuati in
Calabria dai suddetti autori, i primi due centri di diffusione
olivicola, risultano, comunque, occupare una piccola parte del
territorio pianigiano e risultano essere posti ai suoi
antipodi. Uno localizzato nel territorio compreso tra i comuni
di Varapodio, Oppido, S. Cristina, Cosoleto, Delianuova,
Sinopoli, S. Procopio, Melicuccà, Seminara, Palmi. L'altro nei
comuni di Feroleto della Chiesa, Maropati e Galatro. Oggi
l'ovicultura è praticamente diffusa nei territori di tutti i
comuni della Piana. Dalla descrizione dei luoghi fatta
soprattutto dal Barrio, risulta poi sfatato il luogo comune
della esclusiva esistenza, nell'antichità, delle attuali
varietà di ulivi dominanti nella Piana ovvero di piante
"sinopolesi" ed "ottobratiche". Barrio, infatti, riferisce
della presenza, proprio a Sinopoli, ed in tanti altri comuni
adiacenti di «olive grosse come le mandorle e carnose,
preparate in botti, molto buone da mangiarsi». Olive, quindi
non "sinopolesi" ed "ottobraiche" (piuttosto piccole), ma
antiche varietà introdotte probabilmente in
età greca e soppiantante poi gradatamente. Alla fine del suo
excursus storico, l'autore –
che
vanta una discreta conoscenza del settore e delle difficoltà
in cui si dibattono gli olivicoltori, essendo stato nel
recente passato giovanissimo sindaco di Varapodio (dal 92 al
96) e membro del Consiglio direttivo
del Parco nazionale dell’Aspromonte –, dopo un'ampia trattazione della
situazione attuale dell'intero comparto olivicolo della Piana,
estremamente complesso nella sua struttura, tra le tante
riflessioni rileva come «la vetustà delle piante, la carenza e
la difficoltà della loro gestione e della raccolta, la scarsa
quantità dell'olio ed i redditi assai modesti impongono
l'individuazione a breve termine di strategie di conservazione
di ciò che può essere mantenuto, e di rinnovamento, con nuove
piantagioni di olivo od altra specie». |
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